La domanda del senso della vita

Mobbing generazionale. È una bellissima giornata di maggio. Mentre il treno passa veloce dai monti alla pianura, è facile e bello lodare Dio con il creato in festa, per una giornata sempre nuova che il Signore instancabilmente ci regala. A una stazione, un gruppo di adolescenti entra nella silenziosa carrozza. Il primo impatto è positivo: vengono ad aggiungere la primavera della vita alla primavera di questo anno, in cui non si fa altro che parlare delle difficoltà incontrate dai giovani per inserirsi nel mondo del lavoro. Ma alle iniziali aspettative nei confronti dei nuovi compagni di viaggio, subito subentra un senso di fastidio: chiasso, volgarità, discorsi demenziali.

Un adolescente chiede a un uomo di spostarsi, per potere stare accanto al suo amico. Ha come risposta: «Io dai miei nipoti mi aspetto un po’ di educazione e di chiedere qualsiasi cosa premettendo: “Per favore“». Ne consegue un ironico, ripetuto scimmiottamento della voce di quel povero uomo che mi guarda con pietà, come se implorasse compassione. Probabilmente si sente vittima di un “mobbing generazionale”.

Mobbing: violenza psicologica che non deriva da una singola azione, ma da un ripetersi di piccole, snervati provocazioni che costringono una persona innocente a cambiare il posto di lavoro, la scuola o… il posto in carrozza. Si crea una situazione snervante per eliminare chi ha interessi diversi dal gruppo, finché la vittima, depressa, si arrende: se ne ha la possibilità cambia situazione, altrimenti ricorre ai farmaci.

Mi alzo. Guardo in silenzio quei ragazzi, con un volto che si fa sempre più triste al punto da abbozzare una lacrima. Finalmente, uno di essi si accorge che la situazione è insostenibile: «Facciamo troppo rumore? Perché ci guarda così triste?». E nasce una bellissima discussione, centrata su quel rumore programmato nella loro vita per evitare di pensare; per non permettere al silenzio di essere il guardiano della loro anima; per soffocare nel chiasso quei sentimenti belli e puri che ancora esistono nei singoli individui, ma che scompaiono nel gruppo; per non porsi la domanda più che mai scottante per la presente generazione: «Che senso ha la mia vita?».

**Vivere… se questo basta.**Definendo la teologia morale, abbiamo messo in evidenza il passo che Dio fa per chiamare l’uomo a scoprire la dignità della sua vocazione a essere un’unica realtà con Cristo, portando frutti d’amore per la vita del mondo: la “vita in abbondanza” promessa dal Maestro al credente e la vita che egli deve salvaguardare per il bene dell’umanità.

La teologia morale non può prescindere dall’interrogarsi sul progetto di vita che Dio ha nei confronti dell’umanità. Cerca di scoprire il senso dell’avventura umana nel suo inizio, nel suo svolgersi, nella sua fine. Nelle cose, negli avvenimenti invita tutti a cogliere la domanda del senso. Domanda tanto più esigente, quanto più si è convinti che l’essere umano non è il frutto del caso o di una forza selettiva, bensì di una Forza che Hegel chiama “Oggetto immenso” e il credente chiama Dio.

E quando si parla di vita, è opportuno ricordare la sapienza dell’Antico Testamento: «La somma dei nostri anni è settanta e ottanta per i più validi. E la maggior parte di essi è fatica e vanità». Al Salmista fa eco Qohelet: «Vanità delle vanità e tutto è vanità». Ma la sapienza cristiana si ribella alla vanità del tutto, affermando che tutto è vano tranne l’amare. E nei vari secoli va tracciando sentieri d’amore, alla ricerca del senso e del gusto di vivere. Ravviva desideri di rendere belli i giorni della nostra vita, più che di aumentarne il numero. Sprona a scalare affascinanti vette, sulle orme di tanti maestri di vita: i loro insegnamenti sono semi di bontà, tracce di saggezza, splendore di verità. Invitano tutti a intraprendere un cammino verso quell’amore che scioglie l’enigma: «Vivere… se questo basta».

**Nell’affrontare “la domanda di senso”**il teologo morale cerca la direzione che dà valore e significato alla persona chiamata, nella libertà, a raggiungere la propria realizzazione, in ciò che è e in tutto ciò che fa. In questo tendere cosciente e libero verso il proprio compimento, l’essere umano scopre che vale la pena vivere, accogliere anche la sofferenza e accettare la morte, non come scacco matto dell’esistenza, ma come realtà che ci obbliga a vivere bene l’istante presente, appunto perché siamo mortali.

Porsi la domanda del senso implica anche il chiedesi se valga la pena moltiplicare i giorni della nostra esistenza senza preoccuparsi della qualità della vita stessa. Finché si è giovani, si vive “di rendita”: si è appetibili sulla piazza, gli amici bastano al bisogno di svago, la scuola serve come luogo in cui socializzare, il divertimento momentaneo impedisce di pensare e di essere preoccupati per il futuro. Ma quando si tratta di entrare nella vita, se le mani suono vuote e ancora più vuoti sono la mente e il cuore, che sarà di quello sprovveduto che non ha mai sparso semi di bontà e di bellezza? Su che cosa si baserà per formare una famiglia? A chi si rivolgerà se non ha mai cercato di capire che Dio è gratuito, ma non superfluo?
Scoprire il disegno di Dio nella storia di ogni individuo, ogni giorno: ecco il compito della teologia morale che, ben compresa, diventa l’anima di una nuova antropologia. Mentre afferma che il credente pone come assoluto il suo rapporto con Dio, subito aggiunge che questo assoluto si raggiunge amando il prossimo. Se il rapporto con Dio non fosse considerato in relazione con l’essere umano, diverrebbe uno stimolo al fanatismo e all’integrismo. Ciò non si verifica, proprio perché la teologia morale mette come parametro dell’amore di Dio l’amore per il prossimo. Teologia e antropologia mirano quindi alla perfetta realizzazione dell’essere umano, difeso da chiunque tenda a fare di lui un oggetto, a offenderlo, a manipolarlo, a renderlo diverso da quello che è realmente.

Il cristiano vede nella Rivelazione la risposta alla domanda del senso della vita umana. La prima pagina della Genesi (soprattutto 1,26-28) ci rivela la nostra identità: l’essere umano è immagine e somiglianza del Creatore. Egli è il coronamento della creazione. È simile a Dio nella capacità di conoscere e di amare; è capace di creare relazioni con Dio e con il prossimo; è immagine del Creatore in quanto maschio e femmina, cioè nella differenziazione sessuale, che gli permette di produrre la vita, di collaborare con Dio stesso alla continuazione della creazione e di realizzare lo scopo per cui siamo venuti la mondo: amare ed essere amati. Ed è l’amore che dà un colore, un gusto, un senso alla vita, in qualsiasi stagione, a qualsiasi età, in ogni situazione: in famiglia, a scuola, sul lavoro e… in treno.

Valentino