Celebra te stesso

Era stanca la formica di ripetere continuamente l’estenuante lavoro di spostare cibo e uova da un formicaio all’altro e si poneva il problema se questa vita avesse un senso. Una mattina vide il cielo: era bellissimo! Ma non poteva fermarsi a contemplarlo, perché pressata da tutte le parti dalle sue colleghe. Trascorse una notte inquieta, sognando il cielo a occhi aperti e pregustando l’incanto di quella visione: «Domani lo vedrò ancora, ma non solo per qualche attimo!». Ma pure il giorno seguente si verificò lo stesso fenomeno. Il terzo giorno disse a se stessa: «Oggi, capiti quel che capiti, mi fermerò e contemplerò il cielo». Non badava alle formiche che la calpestavano e la schiacciavano da tutte le parti. Si beava del cielo, perdendosi in quell’azzurro immenso che le dilatava il cuore. Quando decise di rimettersi in moto, si accorse che non poteva muoversi: tutte le sue membra erano malridotte. Chiamò la formica infermiera che, intuendo l’accaduto, sentenziò: «Tu non hai prodotto e hai ostacolato il lavoro delle altre formiche. Stai lì e muori!». Sorrise la formica filosofa: «Io muoio, ma ho visto il cielo».

Una morale per contemplativi. Il Vangelo non è un testo di morale, perché si basa essenzialmente sull’accettazione di Gesù come Figlio di Dio. È la Buona Notizia che noi siamo salvati dalla fede nel Signore, che fa il primo passo per venirci incontro e così dare un senso alla nostra vita. Ma, come dice San Giacomo, «la fede senza le opere è morta», per cui il cristiano modella la sua esistenza sulla ricerca costante del Signore, approfondisce la Parola, prega molto per capire quale sia la volontà di Dio nei suoi confronti e trova pace nel viverla con amore, giorno dopo giorno.
Primo suo passo è quindi la contemplazione dell’affascinate mistero nel quale è stato immerso agli inizi della sua esistenza: in virtù del battesimo, è diventato “profeta, sacerdote, re e missionario”. Non è diventato un semplice cristiano, ma Cristo stesso. È lui, ora, “il Vivente”, il Risorto, il Cristo del Terzo Millennio. È lui il Signore che passa in mezzo alla gente facendo del bene, trovando «più gioia nel dare che nel ricevere» e onorando la sua vocazione a essere «collaboratore dell’altrui gioia».
Contemplando il volto del Signore e ascoltando la sua Parola, sperimenta la bellezza della sua fede che addita nel volto del fratello il volto stesso di Dio, che lo chiama a imitarlo: «Io sono il Dio che, in mezzo a te, tripudia di gioia e danza come nei giorni di festa» (Sofonia).

Gioia, essenza del cristianesimo. «Chi si lamenta non è un buon cristiano», va ripetendo papa Francesco. «Anche in mezzo alle tribolazioni, **il cristiano non è mai triste, ma testimonia sempre la gioia di Cristo**». Siamo chiamati a «guardare Gesù che ci invia a evangelizzare, ad annunciare il suo nome con gioia». «Non dobbiamo aver paura della gioia dello Spirito», via per vincere la chiusura in noi stessi. Nostra vocazione è imitare gli apostoli che, colmi di Spirito Santo, vincono la persecuzioni, affrontano il martirio, «parlano con la bellezza, aprono strade». È il loro corpo, il loro sguardo il segno della presenza di Dio in mezzo a noi. Un Dio che è Amore ed è venuto al mondo per darci la vita in abbondanza. Un Dio che ora parla attraverso di noi, grazie alla nostra gioia che è contagiosa. Un Dio che ci manda per le strade del mondo a evangelizzare in silenzio. Come raccomanda San Francesco ai suoi frati: «Predicate con la vostra vita, e se è proprio necessario, anche con le parole». È questa la morale di cui ha bisogno la nostra generazione, secondo papa Francesco.

Una morale, non solo un’etica. Il mondo non si cambia con le grandi speculazioni filosofiche, ma con scelte concrete, sistematiche, di coraggiosi testimoni che si donano agli altri, coscienti che l’amore verso il Padre si misura con l’amore verso il prossimo. È importante l’etica per il vivere comune, ma non basta a salvare questa società che può vincere il male solo con un supplemento d’amore, con una forza che viene dall’alto.
S’impone una specificazione: mentre l’etica riunisce i popoli che, alla luce della ragione, cercano un minimo comune denominatore per vivere in pace, la morale, basandosi sulla rivelazione presenta i diversi progetti di Dio, in risposta alle varie culture.
In altre parole: per “etica” intendiamo quella scienza che studia il concetto di bene e di male, alla luce della sola ragione, in vista del bene comune. La morale, mentre presuppone l’etica, si chiede: «Se Dio esiste, ha qualche cosa da dire all’umanità?». La morale presuppone dunque una rivelazione, un riferimento al “Libro”: Antico Testamento per gli ebrei; Nuovo e Antico Testamento per i cristiani; Veda per gli induisti; Corano per i musulmani. Esistono tante “morali” quante sono le religioni del “Libro”, le religioni rivelate. In particolare per l’Occidente è importante la definizione della morale cristiana, presentata dal documento conciliare “Optatam totius” (n. 16) come quella scienza che, basata sulla parola di Dio, studia l’alta vocazione dell’uomo a essere un’unica realtà in Cristo e a portare frutti d’amore per la vita del mondo.

Celebrare se stessi. Questo tipo di morale (che verrà presentata nelle successive riflessioni toccando i temi più utili alla nostra formazione) si basa su di un’idea tanto cara ai Padri della Chiesa: «Dio si fa uomo, perché l’uomo si faccia Dio». Che volto ha Dio? Il nostro. Siamo sua icona, sua immagine. Egli è Amore e ci chiama a identificarci sempre più con Lui, fino a diventare noi stessi Amore. Diventare quello Spirito d’Amore che abita in noi, e «nel quale viviamo, ci moviamo e siamo». Per cui la nostra morale consiste nell’atto di fede che ci porta a credere nell’Amore, a crescere nell’Amore, a testimoniare quell’Amore che ci sprona a celebrare noi stessi:

Tu meriti di essere celebrato! Tu sei unico, irripetibile.
In tutto il mondo non esiste un altro come te.
La tua esperienza, i tuoi doni sono unici.
Nessuno può prendere il tuo posto in ciò che tu sei.
Dio ha creato solo te così come sei, prezioso ai suoi occhi.
Tu hai un’immensa potenzialità d’amore, di dedizione, di creatività,
di sacrificio, di crescita, se tu credi in te stesso.
Non ha importanza la tua età, la tua cultura, e se i tuoi genitori ti hanno amato oppure no:
può darsi che abbiano voluto, ma non hanno potuto. Lascia perdere. Appartiene al passato.
Tu appartieni al presente. Non ha importanza che cosa sei stato,
le cose che hai fatto, gli errori che hai commesso.
Tu sei perdonato. Tu sei accettato. Tu sei buono.
Tu sei amato nonostante tutto.
E quindi ama te stesso! E sviluppa i semi che sono dentro di te.
Comincia ora, parti di nuovo. Da’ a te stesso una nuova nascita, oggi.
Tu sei tu e questo è tutto quello che devi essere. Tu sei temporaneo,
sei qui oggi e domani non ci sei più.
Ma oggi può essere un nuovo inizio, una nuova vita.
Tu non hai il dovere di meritare questa vita nuova,
ti viene data gratuitamente:
questo è il miracolo chiamato Dio. E quindi celebra il miracolo:
celebra te stesso. Ama adesso.
Non aspettare la partenza per dire: «Ti amo».
Non aspettare la lontananza per scrivere: «Ti amo».
Non aspettare la morte per esprimere con le lacrime: «Ti amo».

Valentino