Uomo: bisogno d'amare e di essere amato

Non vivere su questa terra come un estraneo
e come un vagabondo sognatore.
Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare, ma prima di tutto credi all’uomo.
Ama le nuvole, le macchine, i libri, ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca, dell’astro che si spegne,
dell’animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell’uomo.
Ti diano gioia tutti i beni della terra:
l’ombra e la luce ti diano gioia, le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto, a piene mani, ti dia gioia l’uomo!
(Nazim Hikmet, Prima di tutto l’uomo)

Nazim Hikmet, poeta turco del secolo scorso, presenta l’uomo come l’alfa e omega di tutte le cose, ne mette in evidenza la centralità nel complesso dell’universo, invita a non considerarci estranei e clandestini nel mondo, ma artefici del nostro destino e protagonisti di un’esistenza che esalta l’essere umano, grande nella sua precarietà.
Affermazioni scontate? No, se pensiamo che pure il documento principale del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel mondo moderno, “Gaudium et spes”, inizia con l’esaltazione dell’essere umano, la cui vita – con i suoi alti e bassi – e la cui gioia e sofferenza sono la vita, la gioia, la sofferenza della Chiesa: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».
Pure papa Paolo VI, nel suo magistero, soprattutto parla di ciò che sta a cuore alla Chiesa ed è il centro della morale: «Tutto l’uomo e tutti gli uomini».
«È un umanesimo plenario che occorre promuovere. Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma “senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo. L’umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano”. Non v’è dunque umanesimo vero se non aperto verso l’Assoluto, nel riconoscimento d’una vocazione, che offre l’idea vera della vita umana. Lungi dall’essere la norma ultima dei valori, l’uomo non realizza se stesso che trascendendosi. Secondo l’espressione così giusta di Pascal: “L’uomo supera infinitamente l’uomo” » (Populorum Progressio 37).
La gioia di donarsi ed accogliere. Quando Mosè si avvicinò al roveto ardente, Dio lo invitò a togliersi i sandali, perché il terreno che calpestava era sacro. Lo stesso invito: «Togliti i sandali», andrebbe rivolto a ogni persona che ne incontra un’altra, perché ogni essere umano è un mistero. “Togliersi i sandali” significa contrapporsi alla leggerezza con la quale la cultura dominante impoverisce i rapporti umani, svuotati dai mass-media e sfruttati dalle leggi dell’economia del mercato. “Togliersi i sandali” diventa simbolo dello stupendo sentimento del pudore, moto dell’animo che pervade l’uomo, allo scopo di fargli mantenere una purezza di fondo e di impedire che sguardi indiscreti rubino la parte più intima del suo essere. Istinto che conserva il corpo per la persona amata, davanti alla quale cadono tutte le barriere per offrire ed accettare il dono gelosamente custodito. Valore che unifica le emozioni per lasciar rifulgere solo l’amore, preservandolo da quel tipo di erotismo che – se è mal compreso e vissuto al di fuori di un contesto definitivo – confonde la mente, eccita i sensi ed umilia la personalità, nella ricerca di stimoli che ubriacano il corpo per un breve momento e poi lo lasciano più avvilito di prima.
Il saggio sa che la sua grandezza consiste nell’accettarsi come stupendo mistero e nell’offrirsi al prossimo come un dono. Accoglie la vita con gratitudine e fa del suo donarsi agli altri una delle più belle preghiere che Dio si aspetta da noi: essere adorato nei suoi figli, sue icone.

«Che cosa è l’uomo?», si chiede il Salmista e dà la risposta: «L’hai fatto poco meno di Dio». Definizione che spiazza la pure interessante risposta che aveva dato Aristotele: «Animale ragionevole». La risposta della Bibbia ha fatto sì che il grande teologo San Tommaso d’Aquino, dopo avere scritto in maniera stupenda «quanto un uomo non riesce a leggere in tutta la sua vita», dopo aver catalogato tutto lo scibile dei secoli precedenti, sul letto di morte ha definito l’uomo: «Bisogno d’amare e di essere amato».
Il grande teologo e filosofo medioevale, partendo dalla Rivelazione espone in modo sistematico ciò che dà senso al vivere e specifica quali siano le condizioni per ricevere e donare amore. L’essere amati fa riferimento alla grazia: il Signore ci ha amati per primo. L’amare non è altro che la conseguenza e la traduzione etica del nostro essere immagine e somiglianza di Dio. Il presupposto quindi del nostro amore è l’accettazione dell’amore di Dio.
Questo continuo riferimento a Dio ci fa capire che il senso del vivere è dato da quell’amore che trova la sua radice nella fede, da considerare come una dimensione dell’amore. Non c’è amore senza fede, così come è inconcepibile una fede che non si faccia corpo nell’amore. Questo riferimento alla fede ha molte ricadute sul piano etico e morale. Ci sprona innanzitutto a rispettare l’uomo.

«Ecco l’uomo», dice Pilato mostrando Cristo, sfigurato dalla flagellazione, alla folla che ne reclama la morte. Ogni essere umano va rispettato, onorato e amato. Ma, secondo la “follia evangelica”, Dio esige che per il credente ci sia un “amore preferenziale”, vale a dire basato non sui meriti ma sui bisogni. E questo amore va riservato a quell’“uomo” che ispira questa preghiera:

«Ecco l’uomo»: sei tu, Gesù, il Figlio di Dio e il più bel Figlio dell’umanità.

«Ecco l’uomo»: mio Signore e Redentore, che continuamente sali i Calvari
 del mondo,
per lenire ogni dolore e dare un senso al vivere e al morire.

«Ecco l’uomo»: mio Amico e Fratello, che mi chiama a seguire le sue orme
per diventare Cireneo della gioia.
Figlio di Dio, falegname di Nazareth, ecco, io sono l’uomo:
peccatore, imploro perdono;
affamato, sospiro un cibo che introduca alla vera vita;
povero, elemosino tutto da te.
Aiutami a rialzarmi dopo ogni caduta.
Continua a inondarmi del tuo amore.
Chiamami ancora una volta per nome.
E io risponderò con il grido del profeta Geremia:
«Tu mi hai sedotto, Dio, e io mi sono lasciato sedurre.
Hai fatto violenza, sei stato il più forte».
Hai vinto Tu, per far vincere me:
per salvarmi dal nulla e introdurmi nella Vita.

Valentino