Ponte Nossa, 13 Gennaio 2009

Credere aumenta il gusto di vivere

Durante un’intervista televisiva in commento al discorso di Benedetto XVI per la giornata della pace 2009, affermo che la fede incrementa il gusto di vivere ed è un ottimo strumento per alimentare il proprio impegna a sradicare dalla terra la miseria e così creare la pace. L’intervistatrice mi chiede se anche un laico non credente può operare bene quanto un missionario. Rispondo che all’inizio del proprio lavoro umanitario, tanto il credente quanto l’ateo possono essere sorretti dallo stesso entusiasmo, ma con il passare del tempo, se una persona non è illuminata dalla fede, fatica molto di più rispetto al credente. Le statistiche rilevano che la fede aiuta nell’impegno a favore dei più poveri e constatano che spesso il non credente non regge al cumulo dei mali del mondo.

Al termine della conversazione, il giovane che filma esprime il suo parere: “Io senza Dio sto benissimo”. Avendomi così provocato anche a seguito di una precedente registrazione, mi sono permesso di metterlo in guardia: “Ci tieni un po’ troppo a vantarti del tuo ateismo. Fino ai venticinque anni non pesa molto la mancanza di fede, ma, con il passare del tempo, non è uguale credere o non credere, cercare o non cercare la verità che rende liberi”. E gli racconto un’esperienza vissuta in un paese africano con un medico europeo. Si vantava d’essere come me missionario, pur senza credere. Si dispiaceva per me che alla domenica, dopo una settimana d’insegnamento, lavorassi più degli altri giorni, in chiesa, anziché divertirmi. E riteneva eccessivo il mio vivere secondo regole etiche e precetti morali. Inoltre, purtroppo, praticava l’aborto. Per tre anni ha retto il disagio della miseria africana. Un giorno una amica mi comunicò che si era tolto la vita.

Spesso affermo che chi ha una fede ha una marcia in più e sistematicamente trovo chi mi contesta. Forse sarebbe sufficiente dire: “Chi non crede ha una marcia in meno rispetto al credente”. E l’eventuale marcia in più non è legata primariamente al fatto che il credere aiuta nel proprio impegno missionario, umanitario bensì al vantaggio enorme dato dalla fede nell’incrementare la qualità del vivere umano.

E’ vantaggioso credere d’essere amati da Dio, pensare di non essere venuti al mondo a caso, d’essere stati scelti prima ancora della fondazione del mondo per essere grandi, santi, realizzati nell’ideale di diventare come il Signore. Che gioia pensare che morendo non cadrò nel nulla, ma mi congiungerò con quanti ho amato qui sulla terra. Il nulla fagocita tutto e crea angoscia, la malattia del nostro secolo, in Occidente. In trent’anni di lavoro in Africa, non sono mai venuto a conoscenza di un africano che si sia tolto la vita, perché in quel contenete tutto manca, ma non la fede.

In Dio scopro me stesso, supero i miei limiti che accetto e imparo ad amare. In Cristo ho un Vangelo che dà un volto ai desideri più profondi del mio cuore, buttandomi in un’esistenza che diventa bella quando smetto di contemplare il mio ombelico, per accorgermi delle necessità degli altri. Nello Spirito Santo incontro quell’amore del quale ho bisogno tanto quanto dell’aria che respiro. Amore che mi aiuta a fare pace con la mia finitezza e i miei problemi che sono nulla visti in prospettiva dell’eternità. Nella Trinità, inondato di grazia, riesco ad esprimere tutte le potenzialità di bene, bello, buono insite in ogni essere umano.

Il mio credere diventa il modo più concreto e più “utile” per amare me stesso e valorizzare questa mia esistenza. Un credere che non è assolutamente facile, anzi spesso ha il volto di una spina conficcata nel fianco: devo pregare molto, studiare tantissimo, essere dono per chi mi chiama a lavorare nei paesi impoveriti, mentre, umanamente parlando, a volte starei più volentieri a casa , a riposare leggendo, scrivendo e lasciando che la musica alimenti i miei sogni, che ancora esistono sulla soglia della terza età.

E quando forte mi assale il dubbio di fede? Sperimento che essa torna a fiorire in me nella misura in cui la comunico agli altri, grato al Signore nel vedere che la fede si muta in speranza e si concretizza nell’amore .

La fede non è una realtà da dare per scontata, una volta acquisita: è un dono che va nutrito continuamente con la modestia, virtù che ci aiuta ad essere “umilmente fieri”dei doni ricevuti, a svilupparli a vantaggio comune, poiché una persona possiede realmente solo ciò che dona. La fede si nutre dell’umiltà, termine che nasce da “humus”, terra che è feconda allorché concimata, perché, come dice Fabrizio d’André: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”. O, per chi preferisce una citazione biblica: “Quando sono debole dice S. Paolo allora sono forte”. La debolezza di dipendere da Dio diventa forza nel vincere la tentazione di ripiegarsi su se stessi, con il deludente risultato di trovarsi nudi, a mani vuote e confrontati con lo spettro della morte che, per il non credente, è simbolo dello scacco matto dell’esistenza di un essere angosciosamente galleggiante sul nulla.

La fede cresce nella libertà, dono stupendo da Dio concesso a questa umanità dalla quale Egli non toglie il male, per lasciare a noi la possibilità di diventare come Lui, nella nostra lotta contro le tenebre che avvolgono il mondo.

Dio crede nella bontà dell’essere umano. Manda suo Figlio a mostrare il cammino più spedito per creare la civiltà dell’amore. Manda lo Spirito Santo per renderci forti e gioiosi nel testimoniare il privilegio d’essere credenti e di pronunciare anche noi, come Maria, quel rivoluzionario “sì” che immette un supplemento di grazia nell’umanità. Maria, la donna “beata perché ha creduto”. La donna del sì alla vita. Un sì che ha ribaltato la storia del genere umano, permettendo al Verbo di farsi carne e venire a danzare con noi , percorrendo prima di noi, e ora con noi, la via della perfezione, con quella marcia in più che è la fede.

Valentino