Brazzaville, 20 Settembre 2008

«Non maledire le tenebre, ma accendi una candela»

Bella questa vacanza estiva in Italia. Ho goduto pregando con mia madre, lodando il Signore per la saggia presenza di lei che mi ha dato la vita e vivendo ogni incontro con i suoi 95 anni come se fosse il primo. Come se fosse l’ultimo. Ho goduto del tempo trascorso con Qohelet, letto come predicatore della gioia, lui il cantore del nulla, del vuoto, della vanità del tutto. Ho goduto anche del distacco da persone amate, vedendo in ciò il volere di Dio: credere per me ora è accogliere, senza vedere, l’Infinito e già qui in terra diventare eterno.
Poi arriva il momento di tenere due corsi nel Congo Brazzeville e nel Gabon. Parto con il cuore pesante, anche perchè viviamo un momento in cui i cristiani sono ovunque perseguitati: é urgente rievangelizzare l’Occidente, soprattutto i giovani, immersi in una cultura carente di valori umani e divini. L’emergenza educativa.
Arrivo all’aeroporto di Parigi nel giorno in cui Benedetto XVI visita quella Francia sempre più laica e anticlericale. L’hostess, visto che sono un inviato dalla Santa Sede, mi fa ospitare in un salone dove si può prendere gratuitamente raffinati cibi e deliziose bevande. Sull’aereo si offre Champagne. Benessere, lusso, spreco e mangiare per imbrogliare il tempo.
Poi inizia il volo sul Sahara. Resto incollato al finestrino e piango vedendo la zona di Agadesh e Maradi, là dove trent’anni fa incontrai quel tuaregh che mi aiuto’ ad uscire da una crisi di fede.
Sbarco a Brazzaville di notte: dall’aria condizionata ad un calore asfissiante ; dai profumi parigini all’acre odore delle fogne ; dai paradisiaci orizzonti sconfinati delle vie del cielo, alle strade simili a valli di lacrime della capitale. Grazie a Dio é notte, e non vedo quanto scorgo il giorno seguente: un Paese appena uscito da tre guerre civili e in via di un grave regresso economico, come tanti altri paesi di questo continente.
Placido scorre l’immenso fiume Congo. Da Brazzville contemplo Kinshasa e chiedo se posso recarmi là. Impossibile. Costa carissimo il visto d’entata nel Congo democratico. Innumerevoli le formalità burocratiche. E per un quarto d’ora di traghetto si deve calcolare di perdere un’intera giornata.
Mi fermo a guardare i ragazzi che giocano al pallone: sono contenti perché hanno una vera palla di gomma e non un insieme di stracci legati da liane.
Vedo un ragazzino di circa otto anni, solo, sdraiato per terra. Gli chiedo perché non gioca con gli altri. Prende la scusa d’essere stanco. Ma mentre sto allontanandomi da lui, mi chiede se posso tenerlo un momento per mano. Ha le gambe paralizzate.
Poco più avanti m’imbatto in un altro bambino, cui Dio ha lasciato solo grandi occhi per invocare pietà.
Dio. Dio… Per un momento mi sembra d’invocarlo in vano e ritenerlo incapace d’intervenire. Lui pure impotente di fronte al male che si avvinghia alla terra come l’antico serpente attorno all’albero della vita.
Reagisco con la stessa disperata invocazione del Salmista: «Non nascondermi il tuo volto, Dio». Reagisco cercando un segno, aggrappandomi a tutto ciò che ho detto e scritto sul mistero dell’Incarnazione, evento inevitabile di un Dio che si fa corpo per godere di tutto ciò che é bello e piangere tutte le nostre lacrime e fare di esse una preziosa riserva su nei cieli e un diadema per ciascuno di noi: «Le lacrime mie nei tuoi otri raccogli, Signore».
Reagisco pensando a un Dio che finisce nella polvere: Cristo, Figlio prediletto, sola valida risposta all’infinito silenzio.
Reagisco cercando un segno nel seminario che mi ospita. Segno che non tarda a venire: il canto delle suore nell’ora del vespro: «Signore, tu mi scruti e mi conosci … ».
Al tramonto il sole sembra un’immensa ostia rossa che mi guarda e piano piano scompare. Subito cade la notte qui, all’equatore. Ma lo stesso sole, svanito ai miei occhi, ora illumina altri popoli dai quali mi giunge come dono e segno il ricordo della saggezza indiana: «Non maledire le tenebre, ma accendi una candela».

Valentino