Ponte Nossa, 6 giugno 2008

“Io mi accontento della Porsche”

Il cameraman e l’intervistatrice sono preoccupati delle riprese e delle domande da pormi, prima della conferenza sul vantaggio d’essere credenti, o per lo meno d’essere alla ricerca di Dio. La mia preoccupazione, invece, riguarda questi due giovani, ai quali chiedo se abbiano la fede. L’intervistatrice risponde che reputa i cristiani degli alienati e irresponsabili: demandano a Dio quello che dovrebbero fare loro. Il cameraman dice di non aver bisogno dell’Infinito: a lui basta la porsche che suo padre gli ha promesso al raggiungimento del venticinquesimo anno.
Quest’intervista mi va abbastanza male, non perché non sappia che cosa dire, ma perché sono addolorato al pensiero che fino a venticinque anni la vita va automaticamente bene, poi le cose materiali per un po’ sostituiscono anche Dio, per arrivare in fine nell’età matura con un pugno di mosche morte in mano. Vecchi prima del tempo: morti dentro, privi dell’entusiasmo tipico di chi ha una fede 0, per lo meno, la cerca.
Certo: anche al credente non è risparmiata la fatica di vivere cercando il senso del tutto. Dio non risolve i nostri problemi. Ma ci dà alcuni mezzi privilegiati per capire il dolore e trasformarlo in un mezzo utile alla nostra maturazione: la preghiera.
Mi spiego con una parabola. Su di un’altura c’è una bella casa. Si sparge la voce che sotto di essa c’è un giacimento di petrolio. Cominciano gli scavi, ma non si trova nulla. Gli scavatori si erano fermati a trivellare solo fino a 200 metri. Dopo un po’ di anni si sparge la stessa notizia. Gli scavatori trivellano fino a 600 metri, senza alcun risultato. Abbandonano tutto, come gli Italiani in Libia, nel 1912: lasciarono il Paese dicendo che non c’era l’oro nero… Altri, in quell’altura, scoprono il petrolio, dopo aver perforato il terreno fino a 3000 metri.
La scarsa profondità di analisi impedisce all’uomo di cogliere l’essenziale della vita, così come la scarsa possibilità di diagnosi delle malattie impedisce il ricorso a quei mezzi che potrebbero salvare la vita.
Il malessere attuale affonda le radici nella superficialità di chi si accontenta della porche o si scusa accusando i cristiani di irresponsabilità o di mancata coerenza.
L’incoerenza e il limite, a volte anche il peccato, sono il nostro pane quotidiano. Questo però non mi scandalizza: so che Dio mi perdona ed è contento quando mi vede ogni mattina con la volontà di rinascere. So che devo allenarmi a perdonare a me stesso e a cercare di diventare santo accettando i miei limiti che porterò con me nella tomba. Quante volte prego per cambiare vita e carattere, invece mi trovo tutti i giorni a lottare von gli stessi difetti. Mi sento come S.Paolo: “Vedo il bene, lo approvo, ma poi faccio il male”.
Ciò, comunque, non mi fa perdere la speranza, perché ancora conservo la fede, in virtù della quale investo parecchio tempo nella preghiera. A che cosa serve pregare se poi non miglioro? Cambia pensiero Dio quando lo supplico?
“Le nostre preghiere non accrescono la gloria a Dio, ma donano a noi la forza che salva”. Il pregare non insegna nulla al Signore, ma modifica i miei sentimenti. Il pregare lega le mani della giustizia divina e le slega per concedermi quella speranza che è indispensabile per una autoguarigione, per un supplemento di fede, per rafforzare la convinzione di essere fatto non per una porsche, ma per l’Infinito.

Valentino