Ponte Nossa, Mercoledì 9 Aprile

Martirio di spada e di spillo

Scopro, un po’ alla volta, i diversi volti di Benedetto XVI. Quand’era giovane lo conoscevo come grande teologo. Nel mezzo della sua vita lo vedevo come rigido difensore della fede. Diventando papa, si mostra come un “papà” che ci parla d’amore e non teme di rendersi impopolare pur d’insegnare la difficile strada dell’apprendimento dell’arte d’amare.

Ora, incontrandolo in privato, si è mostrato come un cultore dell’amicizia: gli stavo presentando il libro che scrissi sul mio compagno di studi, don Andrea Santoro, ammazzato in Turchia, e quando gli dissi che eravamo amici, mi mise una mano sulla spalla, mi guardò intensamente, con un senso di umana compartecipazione al dolore, e ripetè: “Oh, poveretto! Era tuo amico. Era tuo amico”. Poi ha portato le mani alla testa, su quei bianchi capelli, sussurrando: “ I martiri del nostro tempo!”.

“Era tuo amico!”. Niente di più. Eppure il tono della voce e lo sguardo mi hanno aperto uno spiraglio di luce sia sull’amicizia, sia sul martirio.

L’amicizia. Già da giovani, Andrea ed io, poiché non giocavamo al pallone, durante le ricreazioni passeggiavamo nei cortili del seminario Romano, al Laterano, discutendo di teologia, sognando un futuro come missionari, pregando tanto per la conversione degli “infedeli” e la santificazione dei testimoni del Vangelo.

Don Andrea andò in missione a 55 anni. Trascorse cinque anni testimoniando la sua fede, tutta intessuta di preghiera ed è diventato pienamente missionario grazie al suo martirio.

Lo hanno ammazzato nella “terra santa di Turchia”. Santa perché lì sono passati gli Apostoli e lì abbondante è stato versato il sangue dei martiri.

Se si fa pesante il cuore nello scrivere dei missionari – preti barbaramente uccisi nelle terre da poco nate al cristianesimo (mediamente una trentina ogni anno), che dire quando nel martirologio si è chiamati ad annoverare l’amico?

Don Andrea non è andato in Turchia per fare proseliti, ma per testimoniare il discorso della montagna: l’amore per tutti; la scelta della povertà; la convinzione: “Io mi sento prete per tutti”; la certezza che “i cristiani sono quelli della croce, non quelli della spada. A noi il Signore ha detto: ‘Metti la spada nel fodero’. Se vuoi tenere la spada in mano, non farai mai l’unità”(A.Santoro).

Egli voleva fare unità, essere ponte, collegare quelli che sono divisi. Abbattere le barriere. “Cercare quello che unisce”, come era solito ripetere Giovanni XXIII.

L’Amore l’ha chiamato in una terra dove il cattolicesimo è quasi scomparso. E’ passato in mezzo alla gente, silenzioso testimone dell’Amore, sussurrando preghiere. E pregare che cosa è se non mandare a tutti onde d’amore?

Se pochi l’hanno conosciuto in vita, ora, in tanti angoli della terra, molti cristiani lo guardano e pregano perché il suo sangue non sia sparso in vano, ma serva a stimolare altre persone a seguire le orme di missionari che sanno morire per amore.

Il martirio. Al canto dell’amicizia aggiungo l’inno al martirio. E’ una vocazione e un dono offerto a tutti i cristiani. Ovunque il professare la propria fede richiede l’eroismo dei martiri. Questo non è una novità: ciò che è accaduto a Cristo, accade pure ai suoi discepoli, desiderosi di testimoniare la propria fede.

Ma al martirio si arriva per strade diverse: c’è il cruento versamento di sangue e il martirio quotidiano di una vita vissuta dignitosamente, accettando l’inevitabile persecuzione di quanti non sopportano la bellezza, la verità e l’amore. Cristo è stato ammazzato perché era sincero e bello, emanava dal suo corpo una forza che attraeva molte persone, ma ne allontanava tante altre. E quello che è capitato a Cristo, ripeto, deve capitare anche al cristiano. Morire di spada o di spillo, vale a dire accettando le piccole persecuzioni di ogni giorno, offrirle al Signore, trasformarle in preghiera. “Martirio di spillo”: felice espressione di S.Teresa del Bambino Gesù, silenziosa martire della vita di clausura, fin dai quattordici anni…

“Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”. Il secolo scorso ha visto più martiri rispetto ai precedenti diciannove secoli. Siamo tutti chiamati a fare memoria di tante donne e di tanti uomini morti nel Novecento perché cristiani. Non è solo la storia di qualche cristiano coraggioso, ma quella di un martirio di massa. Un mondo di deboli e di vinti, in apparenza, ma che in realtà è il mondo dei forti e dei vincitori. Su questo il XXI secolo è chiamato a riflettere, per meglio comprendere la storia del secolo passato e anche per cogliere quale sia oggi la “forza” del cristianesimo. Non per implorare il martirio delle spada, ma per trasformare in serena accettazione, e non senza un sorriso, il martirio dello spillo. A questo ci richiama Benedetto XVI, nel discorso commemorativo dei martiri, tenuto alla comunità di S.Egidio il 6 aprile 2008:

“L’esempio dei martiri che abbiamo ricordato continui a guidare i vostri passi, perché siate veri amici di Dio e autentici amici dell’umanità. E non temete le difficoltà e le sofferenze che questa azione missionaria comporta: rientrano nella ‘logica’ della coraggiosa testimonianza dell’amore cristiano”.

Valentino