Anna Frank - Pienezza di vita grazie alla fede

Si uccidono i corpi ma non i sogni

La fede in Dio e nell’umanità, grande nonostante i suoi gravi limiti, fa scoprire che c’è sempre un po’ di bellezza – nella natura, in se stessi, nei grandi ideali – che stimola a guardare «queste cose e ritroverai te stesso e Dio e riacquisterai il tuo equilibrio. Chi è felice farà felici anche gli altri, chi ha coraggio e fiducia non sarà mai sopraffatto dalla sventura!». Così parla una ragazza di quattordici anni, messa alla prova dal disumano regime nazista. Nel silenzio di due anni vissuti nell’isolamento quasi totale, raggiunge vertici inspiegabili per chi adotta parametri puramente umani: «So quello che voglio. Ho uno scopo, un pensiero, ho la fede e l’amore. Permettetemi di essere me stessa e sarò soddisfatta. So che sono una donna, una donna piena di coraggio e di forza d’animo». “Donna”, in senso biblico, anche a soli quattordici anni perché, come afferma il libro della Sapienza: l’uomo giusto, «giunto in breve alla perfezione, ha conseguito la pienezza di tutta una vita» (4,13).

Annelies Marie Frank, chiamata Anne – per noi, Anna –, nasce a Francoforte sul Meno (Germania) il 12 giugno 1929. È una ragazza vivace, arguta ed estroversa, grazie al fatto di vivere un’infanzia serena e bella, arricchita del dono della fede.
Suo padre proviene da una famiglia molto agiata, e questo gli permette di ricevere un’educazione di prim’ordine. Durante la [prima guerra mondiale], alla quale partecipa combattendo valorosamente, il suo patrimonio svanisce a causa dell’inflazione e, per sfuggire alle leggi razziali di Hitler, nel 1933 si trasferisce con la famiglia ad Amsterdam.
Con l’invasione dei Paesi Bassi, i nazisti perseguitano spietatamente gli ebrei, che vengono privati di tutti i mezzi e beni propri e costretti a cucire sugli abiti la stella giudaica. Comunque, durante la permanenza in Olanda, Anna e la sorella possono iscriversi al Liceo ebraico e condurre una vita sociale intensa. Ciò è dovuto al fatto che i loro genitori fanno di tutto per non far trapelare la grande paura per il futuro, che si presenta molto cupo per gli appartenenti alla razza ebraica: corrono voci sulla creazione, da parte dei nazisti, delle camere a gas…
Nel luglio del 1942 la sorella di Anna, Margot, riceve l’ordine dalla Gestapo di presentarsi per un “lavoro” non specificato. La famiglia Frank intuisce il pericolo e subito si trasferisce in un rifugio: un appartamento il cui ingresso è nascosto da uno scaffale girevole, contenente alcuni schedari. Le stanze sono piccole e umide. Tutto sembra cospirare contro l’innato senso di godere la vita e di credere nella naturale bontà degli esseri umani.
Presto, a loro si aggiungono altri rifugiati. Vivranno lì, per due anni, condannati a non vedere la luce del sole, perché le finestre sono oscurate. Vedono solo – attraverso il lucernario della soffitta – un frammento di cielo e un ippocastano che segna lo scorrere dei mesi e delle stagioni: un albero che regala bellezza sia «in piena fioritura» sia «spoglio con le goccioline brillanti sui rami». A questa bellezza Anna si aggrappa come si aggrappa alla vita, per non perdere la speranza.


La Sapienza che nasce dalla fede

Con Dio il mondo rimane mistero, senza Dio è assurdo. Al credente non sono risparmiati i dubbi, la prova, la sofferenza. A lui viene data la forza di convertire anche il peggior limite in una indiscussa grandezza. Con Dio la morte non perde il suo aspetto “mostruoso”, ma rivela che nella bocca del “mostro” c’è un tesoro: lo stimolo ad amare adesso, perché domani potrebbe essere troppo tardi. Con la fede in Dio e nell’umanità, la vita riceve un supplemento di forza per affrontare i mali del mondo con quella serenità che fa dire alla giovanissima Teresa di Lisieux: «Tutto è grazia».
Con queste immagini si potrebbe caratterizzare uno dei più validi messaggi del Diario di Anna Frank. In esso cogliamo tantissimi semi di sapienza che parrebbero inconcepibili per una adolescente, maturata in fretta grazie all’educazione familiare, alla fede ebraica, alla costante ricerca di dare un senso alla vita, alla solitudine, all’isolamento, al dolore morale proprio e a quello della sua razza perseguitata.
L’autrice ci fornisce una cronaca molto preziosa di due anni, che sono stati tra i più tragici che abbia sperimentato l’umanità. Descrive minuziosamente l’assurda situazione delle due famiglie (otto persone) costrette a convivere in pochi metri quadrati, con tensioni, scontri, malumori legati soprattutto alla paura per quanto sta capitando agli ebrei, al terrore di essere scoperti e al terribile presentimento di quella che poi sarà la loro fine. Anna dialoga con il suo diario come se parlasse con un’amica. Scrive il primo ottobre 1942: «mi sono terribilmente spaventata. (…) Ebbi un solo pensiero, che stessero venendo; chi, lo sai bene…». Racconta dettagliatamente come si svolge la giornata tipo: dalle otto e trenta alle dodici e trenta nessuno può muoversi nell’appartamento, per non destare sospetti in quanti lavorano nell’ufficio sottostante. Si può bisbigliare qualche cosa solo per estrema necessità. Quelle ore sono impegnate nello studio. Per Anna è bello approfondire la storia e le materie letterarie, mentre odia la matematica, la geometria e l’algebra. Si appassiona alla mitologia greca e romana. Le piacciono moltissimo i film e tappezza la sua camera con le foto dei suoi attori preferiti.
Mentre coltiva i suoi hobby, continua a interessarsi della drammatica situazione degli ebrei, delle torture che a essi infligge la Gestapo, delle immani tragedie soprattutto dei giovani che, tornando da scuola, non trovano più i genitori che finiscono nei campi di concentramento.
Vivendo reclusi in quel nascondiglio, i Frank non hanno diritto a nulla, neanche alle misere razioni di cibo che spettano alla povera gente, perciò si devono accontentare di quanto gli amici riescono a portare loro: ortaggi spesso marci, fagioli ammuffiti, cavoli, rarissimi pezzetti di carne e tante patate.
E arriva il 4 agosto del 1944. In seguito a una soffiata, la polizia tedesca fa irruzione nell’alloggio segreto, arresta tutti e deporta gli ebrei nascosti in quella città (mille e diciannove persone) nel campo di sterminio di Westerbork. Da lì sono trasferiti nel lager di [Auschwitz]. Margot e Anna passano un mese ad Auschwitz-Birkenau, poi vengono mandate a Bergen-Belsen, dove contraggono il tifo. Anna farnetica: «… non ho più la mamma né il papà, non ho più niente…». Muoiono di stenti tre settimane prima che gli Alleati liberino i prigionieri dai campi di concentramento.


Un messaggio per tutte le culture

Il diario di Anna è pubblicato nel 1947, con il permesso dell’unico superstite della famiglia, Otto Frank, che afferma di sentire viva la figlia nelle pagine da lei scritte con passione, freschezza di stile e forza nei suoi messaggi.
Innegabilmente, la grazia di Dio dà forza nell’affrontare dignitosamente le disavventure umane e nel trasformarle in un’occasione di crescita intellettuale, morale e spirituale perché la sofferenza morale e fisica non può essere considerata solo un limite. Non è un blocco nell’evoluzione cosmica né nella crescita integrale dell’essere umano, che arriva alla propria realizzazione guardando il cielo – dice Anna –, contemplando un albero in fiore, scommettendo sulla bontà della creazione e del cuore umano. Riuscendo ad accettare la vita anche così com’è, poiché «gioia e dolore hanno un confine incerto» (De André). «Come l’amore vi incorona, così vi crocifigge» afferma Khalil Gibran, ma è anche vero che l’amore, come ci crocifigge, così c’incorona. Noi sperimentiamo che più si ama, più si soffre, ma anche che più si soffre, più si ama perché il dolore può dilatare il nostro cuore e renderci grandi nella nostra capacità di amare.
La sofferenza, per il credente, accresce quella conoscenza che fa dire a Sant’Agostino: «Ama e capirai».

Valentino