Vocazione missionaria - Daniele Comboni

Il mio nome è Daniele…

«Salvare l’Africa con l’Africa»: questa l’intuizione che ha dato unità, senso e bellezza alla mia vita. Il Signore mi ha fatto comprendere che l’evangelizzazione dell’Africa doveva essere compiuta, innanzitutto, dagli africani con la collaborazione di tutte le forze missionarie (maschili e femminili, religiose e laiche). Tutti chiamati a lavorare affinché l’evangelizzazione e la promozione sociale procedessero assieme, con questo scopo specifico: creare comunità cristiane stabili.

Questa intuizione è il risultato, innanzitutto, del clima che ho respirato in famiglia e nell’ambiente che mi ha generato alla fede in Dio e alla fiducia negli esseri umani.

Sono nato nel 1831 a Limone sul Garda (Brescia) da poveri genitori contadini, a servizio di un ricco signore della zona. Sono il quarto di otto figli, morti quasi tutti in tenera età. Unico sopravvissuto, ho alleviato la povertà dei miei genitori andando a Verona, ospite di un sacerdote che mi permise di studiare e… di scoprire la mia vocazione al sacerdozio e alla missione.

Nel 1857 sono partito per l’Africa: quattro mesi di viaggio per arrivare a Khartoum, capitale del Sudan. Terribile l’impatto: tragitti estenuanti, malattie, morte dei compagni di viaggio. Ma tutte le difficoltà non frenavano il mio entusiasmo, che esprimevo con i miei scritti. Così confortavo mia madre: «Dovremo faticare, sudare, morire, ma il pensiero che si suda e si muore per amore di Gesù Cristo e della salute delle anime più abbandonate del mondo è troppo dolce per farci desistere dalla grande impresa».
Di fronte al corpo inerme di un giovane compagno missionario, ho avuto la forza di gridare: «O Nigrizia o morte». E per “Nigrizia” intendevo l’Africa.

Tornato in Italia, nel 1864 ho messo in atto la strategia missionaria: cominciare dall’Europa, animando tutte le Chiese locali, chiedendo aiuti spirituali e materiali per le missioni africane. Ho creato la prima rivista missionaria italiana. Ho fatto nascere l’Istituto maschile e l’Istituto femminile dei miei missionari. Ho partecipato come teologo al Concilio Ecumenico Vaticano I. Nel 1877 fui nominato Vicario Apostolico dell’Africa Centrale e consacrato vescovo, nonostante non pochi giudicassero troppo azzardate le mie idee, per non parlare di chi mi considerava pazzo.

Ho lottato con i miei missionari contro la piaga dello schiavismo, contro le epidemie che falciavano la vita a tante persone, contro tanti accusatori. Chi mai accetta il profeta? Ho sopportato l’amarezza delle accuse e delle calunnie con quella pazienza tanto elogiata dall’apostolo Paolo, là dove esalta la carità paziente e benigna.

Sofferenze fisiche e morali – soprattutto per la morte di tanti giovani missionari – mi hanno logorato, ma non separato da quella croce che ho abbracciato come mia sposa. A soli cinquant’anni sono tornato alla casa del Padre sussurrando: «Io muoio, ma la mia opera non morirà». Sarà portata avanti da persone folli per amore, che si incammineranno nelle vie della carità, fedeli al comando di Cristo: «Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7).


Missione del cristiano

L’apostolo Giacomo afferma che «La fede senza le opere è morta» (2,26). Benché l’Occidente non abbia una conoscenza precisa e completa di ciò che sta capitando ai popoli impoveriti – soprattutto nell’Africa subsahariana, accanto a una fioritura spirituale si lamenta un crescente degrado in campo sociale –, quando ci chiediamo che cosa dovremmo fare per i popoli ridotti in povertà e per i cinque miliardi di persone che ancora non conoscono Cristo, bisogna riandare alla sapienza degli antichi Latini: «Primum non nocere (Prima di tutto non fare del male)», astenersi cioè dal sistematico sfruttamento di quella povera gente. Poi, è necessario abbandonare quello stile di vita che si nutre di disvalori – materialismo, presunzione di autosufficienza… – e incrementa l’ateismo. Passo successivo: vivere il nostro battesimo, in virtù del quale siamo tutti profeti, sacerdoti, re e missionari. Come tali siamo chiamati a testimoniare che la Chiesa è:
Comunione dei santi, cominciando dallo stretto legame con i nostri morti, “santi domestici”.

Comunione di fede e di preghiera: il mondo si salva in ginocchio.

Comunione attorno alla mensa eucaristica: riceviamo il corpo di Cristo non perché lo meritiamo, ma perché ne abbiamo bisogno. L’amore si accoglie, non si merita.

Comunione dei doni spirituali, morali e materiali: se condividiamo i beni spirituali (il corpo di Cristo), non dovrebbe essere più facile condividere i beni materiali, in modo che nessuno sia nell’indigenza?
Comunione e condivisione di risorse formative, stando uniti come Chiesa diocesana: l’unità ci fortifica, ci protegge e ci caratterizza.

Comunione con il vescovo, che è garante e custode della fede e primo responsabile dell’invio in missione.
Comunione nella santità, che si ottiene pregando e lavorando assieme, superando il campanilismo e la piaga di laici pseudoinnocenti (coloro che si servono del sacro per vantaggi personali, per mettersi in evidenza nella comunità). Essi formano una “cortina fumogena”, che impedisce al sacerdote di vedere le necessità della comunità e di aprirsi al mondo con un autentico spirito evangelico.


Risposta alla vocazione missionaria

Padre, chiama in terra di missione sacerdoti animati dallo spirito di San Daniele Comboni. Non tanti, ma santi. E dona ai laici la coscienza che, in virtù del battesimo, tutti siamo chiamati ad annunciare il Vangelo a tutte le genti.

Cristo, fratello universale, dona alla tua Chiesa cristiani con una fede salda, una carità operosa, una speranza animata dal sogno di un mondo in cui tutte le razze, le culture e le nazioni siano unite e concordi nel lodare il tuo nome e nell’adorare quella croce che profuma di risurrezione.

Spirito Santo, mostra a tutti i credenti il costato trafitto di Cristo, dal quale a Pentecoste hai fatto sgorgare la Chiesa, quale comune madre di popoli uniti nella ricerca della verità, della giustizia e della carità.
San Daniele Comboni, la sapienza della croce ti ha spinto a portare Cristo ai popoli che ancora non lo conoscevano, ti ha arricchito di una carità paziente nei confronti di chi ti riteneva pazzo, ti ha confortato nell’ora della prova. Dona anche a noi le stesse virtù, per diventare missionari là dove la Provvidenza ci chiama.

Valentino