Crisi come opportunità

Intervista a Don Valentino Salvoldi

Dopo tanti anni di insegnamento di filosofia e teologia morale in diversi seminari in terra di missione, lei è stato chiamato, come teologo, dalla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli per l’aggiornamento dei formatori del clero in Africa e in Asia. A contatto con realtà tanto diverse, che idea si è fatto del sacerdote?

Il ministro ordinato (diacono, sacerdote e vescovo) è grande nella misura in cui vive bene il suo battesimo, grazie al quale – come ogni cristiano – è consacrato “profeta, sacerdote, re”, missionario. Non solo è seguace di Cristo, ma è il Risorto del Terzo Millennio. In virtù poi della sua vocazione specifica, ha la grazia di crescere in santità quando vive la sua originaria scelta di essere un dono per tutti. Quando, quotidianamente, rinnova la sua consacrazione alla felicità umana e la sua determinazione a essere l’uomo di tutti e per tutti ministro di pace. Quando prende sempre più coscienza che farsi sacerdote «non significa mettersi una divisa fuori, ma un tormento dentro» (F. Boy), accettando di diventare il «ministro della pazienza di Cristo» (B. Marshall), disposto a essere «il più amato e il più odiato degli uomini, il più incarnato e il più trascendente, il fratello più vicino e l’unico avversario» (E. Suhard). E la sua bellezza consiste nel «lusso di poter amare tutti» (T. de Chardin). È un uomo che rinuncia a fare l’amore per essere amore. Ministro di un Dio che si definisce Amore.



Non le sembra che questo ideale sia troppo alto e, forse, non sia percepito come realizzabile neppure da molti cattolici che – oltretutto – sperimentano una situazione di disagio e insofferenza per il fatto di non riuscire ad accostare un sacerdote, anche perché molte comunità non hanno più il loro parroco?

Innanzitutto non si devono fare sconti sugli ideali, né annacquare messaggi testimoniati, lungo i secoli, da santi che hanno dato la vita per essere fedeli al Vangelo e al magistero della Chiesa. Riguardo alle parrocchie che non hanno un sacerdote residenziale, chi ha fede nella Provvidenza prega affinché la scarsità di sacerdoti europei si trasformi in un’opportunità data ai laici di prendersi le loro responsabilità. Tocca a tutti i battezzati l’obbligo (che è anche un privilegio) di educare cristianamente i loro figli, di dare buon esempio nella comunità, di non vergognarsi a dimostrare di essere cristiani, se non vogliono che Cristo – come dice il Vangelo – si vergogni di loro, nell’ultimo giorno… Inoltre, non solo per ragioni pratiche, ma soprattutto teologiche, l’esiguità del numero dei sacerdoti sarà un motivo in più per favorire il ministero dei diaconi permanenti, chiamati a esercitare la carità a nome della Chiesa locale. Potrebbero essere inoltre incaricati di gestire le varie parrocchie, in modo tale che il sacerdote possa svolgere il suo ministero specifico: preghiera, amministrazione dei sacramenti, discernimento dei carismi, in vista del bene comune.


Ma se il sacerdote si limita all’aspetto spirituale nel suo apostolato, sarà accettato dai parrocchiani? Inoltre, pensa che egli possa ancora avere una certa rilevanza nella società di oggi?
La gente non accetta il ministro ordinato quando questi fa tutto meno quello che gli compete. Nelle varie diocesi ho sperimentato che le persone – soprattutto i giovani – vorrebbero essere accostate da un sacerdote che non parli di cose ordinarie, che non agisca come un operatore sociale che trasforma la parrocchia in una ONG, ma che sia testimone della bellezza di essere cristiano e crei un ambiente in cui sia possibile fare un’esperienza di fede. Molte persone avvertono la nostalgia di Dio. E se un sacerdote è disposto all’ascolto e al dialogo, l’interlocutore non guarda all’orologio quando parla con lui.
Ho avuto questo riscontro in molti stati, non solo nei Paesi impoveriti, ma anche negli Stati Uniti d’America, in Canada…, incontrando gente, sia nei luoghi di culto che nelle discoteche. Ovunque e in ogni tempo. Ad esempio a Mosca, negli anni Settanta, quando l’ateismo veniva imposto dallo Stato, passavo lunghe notti a discutere di fede con giovani studenti. Ho visto che chi cercava di strappare Dio dal cuore dell’uomo, assieme a Dio gli strappava il cuore. Ma l’uomo di Dio aveva pur sempre la possibilità di riaccendere la nostalgia dell’Eterno. Il comunismo è svanito, mentre la nostalgia di Dio è rimasta.



L’Editrice Rogate ha appena pubblicato un suo libro sulla formazione permanente del ministro ordinato: “Ne scelse Dodici”. Qual è l’idea di fondo e a chi si rivolge?
La formazione che Gesù ha impartito agli apostoli è riassunta da ciò che dice l’evangelista Marco: «Ne scelse Dodici, perché stessero con Lui». Tutto qui: formare “stando con”. La prima parte di questo testo – utile per la spiritualità sia dei sacerdoti che dei laici – presenta la novità assoluta portata da Cristo, che crea un popolo a Lui consacrato che, vivendo il battesimo, si divinizza. Sulle orme dei Padri della Chiesa, spiego la loro intuizione: «Dio si è fatto uomo, perché l’uomo si faccia Dio».
Passo poi a illustrare il bisogno di una formazione permanente per “inculturare” il Vangelo e conciliare armonicamente fede e vita. Fede in dialogo con le scienze umane, in particolare la psicologia. Nella parte dedicata alla pastorale, do alcuni suggerimenti per la formazione dei seminaristi, analizzo l’attuale crisi dei sacerdoti, espongo alcune riflessioni sulla vocazione missionaria di ogni vescovo – chiamato a sentire la responsabilità di evangelizzare tutti i popoli – e abbozzo il ministero dei diaconi permanenti legato alla carità.

E riguardo alla crisi del sacerdote, che cosa dice?
La crisi in senso negativo, per il sacerdote, inizia quando dimentica che Cristo scelse dodici apostoli «perché stessero con Lui». Quando celebra troppe messe e per di più in fretta, per accontentare alcuni fedeli… Quando sull’altare fa rappresentazioni e non attualizzazioni del Mistero. Quando prova invidia nei confronti dei colleghi. Quando non vive la fraternità del presbiterio, sta isolato, non ha il coraggio di fare né accettare correzioni fraterne. Quando si comporta come se fosse un funzionario. Quando si rassegna al fatto che i fedeli lo lascino solo e non si rendano conto che “anche i preti mangiano la minestra”.

La crisi può però diventare un’opportunità. Il credente, infatti, sa che «tutto è grazia», che lo Spirito Santo continua ad animare la Chiesa e che Cristo ha affermato: «Le potenze degli inferi non prevarranno». Sa che il male non prevarrà sul bene. Vede la crisi dei sacerdoti europei come una possibilità di conversione, di purificazione e di stimolo ad aggrapparsi sempre di più a Dio. Come un richiamo a non essere autoreferenziali e a dare spazi ai laici. Questi dovrebbero essere invitati a pregare, ma non perché i sacerdoti siano necessariamente tanti. Non tanti, ma santi.

Maria Rosa Lorini