Vocazione alla più alta forma di carità. Tommaso Moro

Il mio nome è Tommaso…

«La politica è la più alta forma di carità». Non è mia questa frase, ma riassume bene la mia vita e non dubito che Paolo VI, quando l’ha pronunciata, abbia pensato a me. Anche il suo successore, Giovanni Paolo II, aveva senz’altro in mente questa espressione quando mi ha proclamato patrono degli statisti e dei politici.
Ho vissuto in un periodo (1478 – 1535) particolarmente interessante, stimolante e… tragico, che mi ha fatto “perdere la testa” in senso figurato e reale: il tempo in cui la Chiesa veniva ferita dalla nascita del Protestantesimo con Lutero, Calvino…

Mi sono preparato fin da giovane a vivere la politica come espressione massima della carità, al servizio del bene comune, studiando molto e pregando ancora di più. Nel giro di pochi anni ho dovuto ricoprire importanti cariche nel governo dell’Inghilterra, fino a essere eletto cancelliere, cioè “primo ministro” del re Enrico VIII.

Tutte le mie attività politiche non mi sottraevano mai dal mio impegno quotidiano come credente, come sposo e padre, come uomo deputato ad ascoltare il popolo e a porlo nelle condizioni indispensabili per condurre una vita dignitosa e libera. Per questo ero molto metodico, sistematico nel mio stile di vita. Mi alzavo ogni giorno alle due del mattino per pregare e studiare fino alle sette, quindi partecipavo alla messa, recitavo le preghiere, i sette salmi penitenziali e le litanie. Compivo tutta una serie di pratiche devote nei vari momenti non solo della giornata, ma anche della settimana e dell’anno; ancor più quando, nell’ultima decade della mia vita, costruii una cappella in casa per potermi dedicare più intensamente al culto. Mia stella polare era la verità, mio balsamo la preghiera, mia priorità la giustizia per tutti.

Il re Enrico VIII mi voleva molto bene, mi stimava tantissimo, voleva a ogni costo la mia amicizia. Sì, egli mi era amico, ma la verità mi era più amica di lui. A lui davo ciò che spetta a Cesare, mentre a Dio davo ciò che spetta a Dio. Per questo, quando venne il momento della prova, non esitai a esercitare la carità nella verità.
Il re voleva divorziare per sposare Anna Bolena e farsi proclamare capo della Chiesa d’Inghilterra. Io mi rifiutai di prendere una posizione netta a favore del sovrano, che era perfettamente a conoscenza della mia ortodossia e del fatto che per nessun motivo avrei tradito la mia fede e la mia coscienza. Mi ritirai in un totale silenzio, sapendo che qualunque parola avessi detto, mi sarebbe costata la testa.

Fui messo in prigione. Solo i miei familiari – e comunque raramente – potevano farmi visita. E quando mi venivano a trovare, facevo ricorso alla mia fede, al senso dell’umorismo, al buon senso per non accrescere il loro dolore. E quando mia figlia Meg mi parlò dell’angoscia di mia moglie, le risposi: «Qui, in prigione, sento Dio vicino come in nessun altro momento della mia vita. E credimi, Dio è molto buono con me, a volte direi che mi tiene tra le sue braccia e mi culla viziandomi come un bambino…».

I cortigiani del re fecero di tutto per strapparmi anche solo mezza frase che esprimesse una critica nei confronti del regime. Di fronte al mio snervante silenzio e al mio comportamento che diventava per tutti profezia vivente, alcuni cortigiani – che da me erano stati aiutati in tutto – inventando calunnie mi tradirono, come Giuda.

Davanti al patibolo, sono stato cordiale anche col boia: «Su, amico, fatti animo; ma guarda che ho il collo piuttosto corto, perciò stai attento a colpire giusto per non macchiare la tua buona fama. E non tagliarmi la barba: almeno quella è innocente». E gli regalai una moneta d’oro. Invitai la gente a pregare per Enrico VIII e dichiarai che morivo da suddito fedele al re, ma innanzitutto a Dio, al Risorto, allo Spirito d’Amore, alla mia coscienza e al popolo per il cui bene – con gioia – ho speso la vita e ho fatto dono della mia morte.

Gioiosa fede nella risurrezione

Tommaso Moro affrontò gli anni di prigionia con estremo coraggio e nessun cedimento della propria fede. E guardò alla morte non solo con coraggio ma anche con un senso dell’umorismo che era dettato sì dal suo carattere, ma soprattutto dalla sua grande fede in Dio e nella risurrezione di Cristo e nostra.

Durante gli anni trascorsi in carcere, gli fu di grande conforto l’amicizia con un ricco mercante italiano, un certo Antonio Bonvisi. Questi gli mandò un abito nuovissimo, che Erasmo da Rotterdam avrebbe voluto indossare per il giorno della esecuzione, proprio perché considerava la morte come il momento più importate dell’esistenza umana. L’ora dell’incontro con il Risorto. Non glielo permisero, con la scusa che l’abito non doveva finire nelle mani del boia.

Fra le tante cose scritte da Tommaso, meritano di essere ricordate soprattutto le sue beatitudini:

BEATI quelli che sanno ridere di sé stessi: non finiranno mai di divertirsi.
BEATI quelli che sanno distinguere un ciottolo da una montagna: eviteranno tanti fastidi.
BEATI quelli che sanno ascoltare e tacere: impareranno molte cose nuove.
BEATI quelli che sono attenti alle richieste degli altri: saranno dispensatori di gioia.
BEATI sarete voi se saprete guardare con attenzione le cose piccole e serenamente quelle importanti: andrete lontano nella vita.
BEATI voi se saprete apprezzare un sorriso e dimenticare uno sgarbo: il vostro cammino sarà sempre pieno di sole.
BEATI voi se saprete interpretare con benevolenza gli atteggiamenti degli altri anche contro le apparenze: sarete giudicati ingenui, ma questo è il prezzo dell’amore.
BEATI quelli che pensano prima di agire e che pregano prima di pensare: eviteranno tante stupidaggini.
BEATI soprattutto voi che sapete riconoscere il Signore in tutti coloro che incontrate: avete trovato la vera luce e la vera pace.

Risposta alla vocazione di vivere felici

Padre, grazie per aver donato al mondo un grande santo, Tommaso Moro, la cui fede nella risurrezione e la cui opera furono sublimi. Non cada nel vuoto il suo esempio. Ascoltalo quando intercede per i politici, perché non siano corrotti e perché antepongano il bene comune a quello personale.

Cristo, fa’ che le beatitudini del santo statista, unite alle tue, diano slancio alla “follia evangelica”, insostituibile forza per creare un mondo di giustizia e di pace.

Spirito Santo, da’ ai cristiani quell’umorismo che permette di sdrammatizzare situazioni difficili, affrontare il dolore con quella pazienza che significa “patire con Cristo”, e affidarsi a quella carità che fa sperimentare il gusto di operare il bene anche nei confronti di chi ci vuole male.

Valentino