Vivere il segreto della Pasqua

Una notte diversa dalle altre

«L’unica cosa che voglio sapere è se quell’Uomo è veramente risorto
e se quella risurrezione c’entra con me, ora». Chi lancia questa provocazione sottintende l’idea che non serve avere fede nella risurrezione se la si ritiene un evento del passato, o se si crede riguardi una realtà che dovremo affrontare in un futuro remoto. La fede nella risurrezione o c’entra davvero con tutto il nostro essere, con la nostra vita di ogni giorno, oppure non solo non interessa, ma è blasfemo celebrare la Pasqua. La fede è una virtù utile se mi aiuta a vivere bene adesso, nel luogo in cui mi trovo, con le persone che Dio mi mette accanto.

Il rito della pasqua ebraica – sia quello antico, come quello che tuttora rivivono gli ebrei sparsi in tutto il mondo – prevede che mentre si mangiano le erbe amare, a ricordo delle sofferenze dei padri in terra d’esilio, il ragazzo più piccolo della famiglia chieda al padre: «Perché mai questa notte è diversa da tutte le altre notti? Perché mangiamo pane azzimo ed erbe amare? Perché celebriamo la pasqua?». Il padre risponde: «Eravamo schiavi e Dio ci ha liberato».
Diventiamo liberi scoprendo il segreto della “pasqua”. Questa parola deriva dall’aramaico pasah che significa “passare oltre”. E ricorda il passaggio attraverso il mar Rosso: gli Ebrei fuggono dalla schiavitù d’Egitto, attraversano il deserto per quarant’anni e giungono alla Terra promessa, mutando il mesto incedere in passi di danza. Quarant’anni: un’intera generazione che nell’arida solitudine, in quell’immensa distesa di sabbia, tra tante sofferenze si purifica e incontra il vero Dio. Pasqua: passaggio pure per i cristiani, che celebrano la crocifissione e la risurrezione di Cristo. Festeggiano il passaggio dalla morte alla vita.

Passaggio che è il fondamento della nostra fede: la risurrezione non è un miracolo, ma un mistero di fede. Per testimoniare l’autenticità di un miracolo sarebbe assurdo per un cristiano affrontare il martirio, ma, grazie alla fede, per lui è un privilegio donare la propria vita per dire al mondo che Gesù è vivo. Tanti cristiani, nello scorrere dei secoli hanno affrontato torture, hanno subito la morte sbranati dai leoni, si sono lasciati mettere in croce, lodando il Signore e addirittura opponendosi a quelli che li volevano salvare da morte certa. Aspiravano vivamente a unirsi al Risorto. Proclamavano tacitamente quanto un po’ ovunque vado ripetendo: Una tomba è troppo piccola per contenere il mio amore. Risorgerò.

Non si sradica Dio dal cuore umano

A Mosca, agli inizi della rivoluzione bolscevica, è indetto un dibattito pubblico per dimostrare scientificamente che Dio non esiste. La precedenza è data al professore ateo, orgoglioso di poter porre basi irrefutabili per demolire la fede. Finita la lunga arringa, un pope è chiamato sul palco, per un’eventuale confutazione della tesi del docente. L’uomo di Dio accarezza la folla con lo sguardo e si limita a sussurrare: «Christòs anesti (Cristo è risorto)», e tutto il popolo, a viva voce risponde: «Alethés anesti (È veramente risorto)»…
Chi vuole sradicare Dio dal cuore dell’uomo, assieme a Dio gli sradica il cuore. Ma al di là di ogni tentativo di indurre all’ateismo, al di là delle maschere che impone il regime o il “politicamente corretto”, un po’ ovunque prevalgono il buon senso e la fede.

Dio, Cristo, risurrezione, vita eterna: di queste realtà ha sete l’umanità. Chi indossa un abito clericale, chi non si vergogna di fare il segno della croce, chi non teme di mostrarsi con il Vangelo in mano e di frequentare la messa domenicale, scoprirà quanto sia facile e bello trovare interlocutori interessati a iniziare una discussione sulla ricerca di Dio, e sul nostro bisogno di lasciarci da Lui cercare. E si accorgerà che molte persone non smetterebbero mai d’interpellarlo sulla fede, sulla morale e sulla risurrezione. Vorranno approfondire quest’idea di pasqua-passaggio che ha fatto dire al cardinale Newman: «Vivere significa cambiare, e si arriva alla perfezione cambiando continuamente».

Un aiuto per avvicinarsi alla perfezione è offerto dalle celebrazioni annuali della Pasqua e dai nostri quotidiani cambiamenti.
Cambiamenti vitali nella misura in cui portano a correre verso il domani, volgendosi al passato solo per ricordare esperienze belle, che servono a farci godere del presente e a tenere viva la speranza di un futuro migliore. Ed è bello camminare aiutati dal Risorto, sperimentando che nessuna pietra sepolcrale è tanto pesante da non poter essere ribaltata dall’Amore.

Morte: mostro con un tesoro in bocca

«A che serve sognare il giorno di Pasqua – qualcuno potrebbe obiettare – se domani comincerò ancora la stessa vita, con le stesse difficoltà e le stesse croci?». Chi pone questa domanda, dimostra di concepire la “croce” in modo negativo, di non vederla come l’espressione massima dell’amore di Dio per noi, di non essere stato educato a considerarla come un trampolino di lancio verso la risurrezione. La croce è pietra di inciampo, pietra di scandalo, per chi non si allena a scoprire il segreto della Pasqua, a meditare quanta saggezza racchiuda la parola Risurrezione. La croce dà fastidio a chi fa di tutto per esorcizzare la morte e va ripetendo: «Si muore», ma pensa che siano sempre gli altri a morire. Così facendo, perde l’occasione di scoprire la bellezza di pensare alla morte come a un mostro che ha un tesoro in bocca.
Mostro: anche Cristo ha avuto paura della morte. È scoppiato in pianto davanti alla tomba di Lazzaro; ha pianto davanti a Gerusalemme, pensando alla tragica distruzione che avrebbe subito; ha sudato sangue nell’orto del Getsemani prevedendo gli strazi della sua morte.
Ma questo mostro – la morte – ha un tesoro in bocca. Ci aiuta a meditare che, siccome siamo effimeri, ci aggrappiamo all’Eterno. Siccome siamo deboli, cerchiamo forza nella preghiera. Siccome possiamo morire da un momento all’altro, non attendiamo che sia troppo tardi per esprimere il nostro amore.
Come i cristiani orientali ortodossi si salutano con l’espressione: «“Cristo è risorto”. “Sì, è veramente risorto”», così i cattolici potrebbero sperimentare un’intima pace se reciprocamente si scambiassero questo augurio: «Buon cammino. Buon passaggio. Buona Pasqua. Buona Risurrezione». Questa concezione di morte-vita, mi porta a formulare così i miei auguri pasquali ai lettori:

Non aspettare la partenza per dire: «Ti amo».
Non aspettare la lontananza per scrivere: «Ti amo».
Non aspettare la morte per esprimere con le lacrime: «Ti amo».

Valentino