«Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,60-69)

Radicalità evangelica: per non essere vomitati

Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, si può riassumere il discorso di Gesù con tre parole: radicalità, libertà e tenerezza.

Cristo aveva predetto che nessun profeta è accettato nella sua patria. Ora, nella sua stessa terra, tra i suoi, in quella Cafarnao che aveva visto tanti miracoli e goduto del meglio del suo insegnamento, registra un clamoroso insuccesso. I suoi discepoli, dopo essere stati testimoni di quello strepitoso miracolo, dopo aver cercato Gesù per vedere altri “segni”, non accettano il discorso sul “pane vivo”, sulla necessità di nutrirsi del corpo di Cristo per avere la vita e risorgere. E uno dopo l’altro gli voltano le spalle. Se ne vanno. Non lo lapidano, semplicemente perché ancora stanno assaporando il gusto di quei pani moltiplicati e di quei pesci condivisi. Se ne vanno mormorando: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».

Altre parole Gesù aveva adoperato, molto più dure ed esigenti, come quando aveva affermato: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,43-44). Ma quelle parole sul pane eucaristico per i suoi uditori sono dure e inaccettabili, perché obbligano a cambiare il modo di pensare e di vivere: bisogna volare in alto, non assuefarsi al vivere quotidiano, non cercare il pane che perisce ma quello che dura per la vita eterna. Parole dure, perché impongono un capovolgimento del modo di concepire Dio: non il Signore che tuona dal Sinai, non il glorioso Messia che sconfigge i nemici, ma un Dio che tace: un Essere infinito che preannuncia di scomparire in un pezzo di pane.

E di fronte all’abbandono di tutti i discepoli, il Maestro si rivolge ai Dodici con una frase sconvolgente: «Volete andarvene anche voi?». Rischia! Anche i Dodici avrebbero potuto voltargli le spalle. Ma Egli non accetta le mezze misure, come verrà scritto nell’Apocalisse, là dove la parola di Dio è rivolta all’“angelo” – vale a dire, al vescovo – della Chiesa di Laodicea: «Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15-16).

Come Dio Padre, attraverso Giosuè (cfr. 24,1-18), aveva sfidato gli Israeliti a scegliere se stare con Lui o adorare gli idoli dei Cananei, ora Cristo sfida i Dodici: inaccettabile è la tiepidezza. Inaccettabili sono le mezze misure. Inaccettabile l’idea che Dio possa essere messo al secondo posto nella nostra vita. Chi lo fa è un “adultero”. Perché proprio questo è il primo significato di adulterio secondo la Bibbia: Dio non più al centro della nostra esistenza.


La libertà del figlio, non l’“amore” del servo

Dostoevskij, nel dialogo tra Ivan e Alyosha – ne_ I fratelli Karamazov_ – raccontando del “Grande Inquisitore” mette sulla bocca del cardinale queste parole: «Tu (Cristo) non scendesti dalla [croce] quando, per schernirti e per deriderti, ti gridavano: “Scendi dalla croce e allora crederemo che sei tu”. Tu non scendesti perché ancora una volta non volesti rendere schiavo l’uomo con un miracolo e bramavi una fede libera, non fondata sul miracolo. Bramavi un amore libero e non il servile fervore di uno schiavo dinanzi al potente che l’atterrisce per sempre».

Non l’amore di uno schiavo, ma quello di un figlio. Come l’amore dimostrato dal padre prodigo nei confronti del figlio secondogenito, che se ne va di casa sbattendo la porta, dopo aver chiesto al padre la sua eredità, per poi dilapidarla con le prostitute. Questo è il prezzo della libertà.

Nel capitolo sesto di Giovanni, vediamo Cristo che si commuove alla vista delle folle affamate. Sarebbe contento se – come dicono i Sinottici – fossero i discepoli a dare da mangiare alla gente, cioè, se facessero loro il miracolo: basterebbe avere un po’ di fede… Ma essi non hanno né la capacità di commuoversi, né la fede sufficiente per invitare la gente alla condivisione: questo sarebbe un miracolo più grande rispetto alla moltiplicazione stessa del pane. Gesù opera il miracolo e fugge sul monte, solo, a pregare: si ritira per non essere oggetto di un amore fanatico della folla saziata. Di fronte al fatto che tutti lo cercano, ecco la provocazione: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato…» (Gv 6,26).

E inizia un lungo discorso sulla necessità di cercare non ciò che perisce, ma quanto dura eterno. Spesso le cose materiali riducono l’essere umano in schiavitù. Solo quelle eterne liberano e rendono liberatori. E appunto perché Cristo ci vuole educare alla vera libertà dei figli di Dio, con quel «Volete andarvene anche voi?» mostra di non voler imporre nulla, di non avere risposte prefabbricate valide per tutti, di non voler rivolgersi ai discepoli con quell’odioso «Tu devi», ma con quel liberante: «Tu puoi». Come se dicesse: «Tu, uomo, puoi fare miracoli, se credi. Tu puoi diventare come me, che mi sono fatto come te, per divinizzarti. Tu puoi trovare pace, perdonando. Tu puoi trovare quella verità che rende liberi…».

Cristo vuole che i discepoli prendano in mano la loro stessa vita, si sentano corresponsabili nel creare un mondo migliore, si decidano a farsi pane per chi ha fame e a diventare amore per tutti. Perché tutti siamo sempre affamati d’amore. Ed è soltanto amando che ci realizziamo come esseri umani. È soltanto amando che diventiamo Amore. Diventiamo Dio. Diventiamo quel Cristo che, con il cuore pesante, chiede: «Volete andarvene anche voi?».


Tenerezza: la risposta di Pietro

«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». In due sensi, la risposta del primo degli apostoli fa tenerezza. In senso riduttivo, è come se questo povero uomo dicesse: «Signore, da quando mi hai chiamato, ho venduto la rete, ho lascito la mia famiglia… Dove vado ora a sbattere la testa?». È Simone Pietro che, forse, ragiona così, lui che sa di essere contemporaneamente peccatore e santo. Sa di essere stato chiamato “Pietro”: sia perché scelto in vista della costruzione della Chiesa sulla roccia della sua fede, sia perché… ha una testa dura come la pietra, secondo varie testimonianze su di lui, in tutti i secoli.

Al tempo stesso, la sua risposta suscita tenerezza anche in senso positivo. È come se Pietro dicesse: «Caro Maestro, mio Signore e mio Dio, per me la tua Parola è vita. Non mi hai scelto per i miei meriti, ma perché Tu sei la misericordia fatta persona. Con Te ho iniziato una nuova esistenza, agganciata a ciò che dura eterno, come eterno è l’amore che il Padre ha per tutti noi. Nella tua tenerezza mi chiami a seguirti, non come un servo: Tu mi chiami “amico”. Parola che dilata i miei orizzonti, mi purifica, scioglie la durezza del mio cuore.

Parola che accende il mio spirito e mi affascina, come già accadde a Mosè, davanti al roveto ardente. Parola che mette fuoco nelle mie vene, come capitò a Geremia, per cui come lui ripeto: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso”. Canterò in eterno il tuo amore».

Valentino