Onore, rispetto e ... distacco


Unità nel distacco


«Gesù salì a Cana». Le rivelazioni non avvengono in pianura, cioè nella piatta assuefazione, né presso la riva del mare – che per gli Ebrei è simbolo del male –, ma in montagna. Sul monte Dio consegna la Legge, sul monte parla a Mosè, sul monte Cristo proclama le Beatitudini.

«C’era la madre di Gesù». Maria è l’amica degli sposi. Partecipa alle nozze con un grande regalo: suo Figlio, il quale, come dono… porta altri invitati, i discepoli. I poveri generalmente non escludono nessuno dalla loro gioia, quando decidono di fare festa. Più numerosi sono gli amici, più grande è la festa, con l’unico inconveniente che si esaurisce il vino.

«Non hanno vino». Secondo il Vangelo di Giovanni, questa è l’unica osservazione espressa da Maria: fa notare che manca il vino. Teme che venga a mancare la gioia e che la festa perda il suo fascino.

«Donna, che vuoi da me?». La frase può essere interpretata in vari modi: «Che cosa c’è tra me e te, donna?». Invito a non anticipare l’ora della manifestazione pubblica di Cristo, con il conseguente anticipo della morte. Può anche significare: «Che cosa posso fare io, Donna, che non possa fare anche tu?». In greco la frase è lapidaria e cruda: «Ti emoi kai soi, gunaika?» (che cosa a me e a te, donna?). Cristo, venuto al mondo per condividere la gioia dell’umanità, non va alla ricerca della sofferenza. Ma si arrende all’amorosa insistenza di sua Madre, anticipa la sua “ora”, che è contemporaneamente morte e risurrezione.

«Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Questa frase di Maria è di capitale importanza: è l’unico comando che il Vangelo ci riporta di Lei. È il suo testamento, che è tanto incisivo proprio perché costituisce l’unica frase di Maria, sotto forma imperativa, tramandata dal quarto Vangelo._ _La Vergine non ha parlato molto. Non ha compreso tutto. Ma ha conservato nel suo cuore ciò che la gente diceva di suo Figlio. E, quando è intervenuta, si è limitata a indicare Cristo come nostra salvezza e fonte dell’impegno morale.

Egli, in tutta la sua vita, ha preparato Maria ad affrontare la sua morte, con un crescente invito ad armonizzare l’unità che deve regnare in famiglia con il necessario distacco da tutti gli affetti. Anche per Lui esisteva l’obbligo di mettere in pratica il quarto comandamento: «Onora il padre e la madre». Onore e rispetto… ma con il necessario distacco, perché al primo posto nella propria vita il credente mette Dio.


“Per avere una vita felice”


Secondo il Decalogo, per poter godere di questa nostra esistenza, bisogna onorare i genitori: «Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra» (Ef 6,2-3).
Vedendo certi rapporti familiari e tanti errori compiuti dai genitori – molti involontari, ma pur sempre errori – potrebbe nascere il dubbio che il quarto comandamento debba essere riformulato: «Genitori, onorate i figli». Forse a questo pensava anche San Paolo quando scrisse: «Voi, padri, non esasperate i vostri figli» (Ef 6,4; Col 3,21).
Non è difficile, incontrando una persona, scoprire se ha avuto un’infanzia felice, o se ha subito situazioni di disagio, problematiche, conflittuali. Indipendentemente dalle nostre percezioni, oggi non pochi giovani non nascondono gli errori dei loro genitori e si chiedono perché mai dovrebbero onorare chi è causa di tante loro frustrazioni. Per non parlare poi di chi abbandona i genitori e… si esenta anche dall’obbligo di partecipare ai loro funerali.
A questi figli, papa Francesco dice: «Il quarto comandamento (…) non richiede che i padri e le madri siano perfetti. Parla di un atto dei figli, a prescindere dai meriti dei genitori, e dice una cosa straordinaria e liberante: anche se non tutti i genitori sono buoni e non tutte le infanzie sono serene, tutti i figli possono essere felici, perché il raggiungimento di una vita piena e felice dipende dalla giusta riconoscenza verso chi ci ha messo al mondo» (Udienza generale, 19 settembre 2018).
Ma questo ragionamento può essere fatto da persone che non siano morbosamente attaccate le une alle altre – genitori nei confronti dei figli e viceversa – e che sono state aiutate a passare dalla domanda: «Perché mettere al mondo una creatura o ricevere il dono della vita?» a quella più impegnativa: «Per quale fine dare vita ad un figlio e qual è lo scopo del dono della vita?». In altre parole: è possibile godere la vita anche nel dolore, nella fatica, nella tribolazione, nella sofferenza?


Ferite mutate in feritoie


A quei giovani che si lamentano di avere avuto dei genitori inadeguati e si pongono il problema se tanto loro soffrire, fin da bambini, abbia un senso, sia pure con difficoltà si può balbettare qualche risposta.
Alla luce della fede, la sofferenza non è una realtà puramente passiva: può essere resa attiva se accettata come mezzo per crescere, purificarci e imparare che cosa voglia dire essere uomini. Nel dolore guardiamo a Cristo, che non è venuto a liberarci dalla sofferenza, ma dal nonsenso in essa implicito per chi non ha fede. Guardando a Lui comprendiamo che è possibile non subire passivamente il dolore: se questo è subito, diventa una maledizione. Accettato con fede e con lo sguardo rivolto all’Uomo dei dolori, è liberato dalla sua disperata inutilità.

Le ferite inferte dai genitori, con i loro sbagli, i loro litigi e… anche i loro tradimenti, possono mutarsi per i figli in feritoie, in possibilità di vedere la realtà in modo nuovo e in uno stimolo a lottare per una maturità affettiva che impedisca loro di ripetere gli errori dei genitori. Le crisi si possono convertire in opportunità.
Si rende feconda la sofferenza inserendola nella vita, morte e risurrezione di Cristo. Chi decide di offrire tutto a Dio e di morire per Lui, riesce a diminuire l’aspetto terrificante del dolore e della morte, come è avvenuto per Nino Baglieri, che è passato dalla maledizione della sofferenza al fare di essa lo strumento che lo porterà presto agli onori degli altari. Così pure per: Nunzio Sulprizio, dichiarato santo e patrono dei giovani; San Camillo de Lellis, che da un’infanzia disordinata costruì una vita di amore e servizio; Santa Giuseppina Bakhita, cresciuta in un’orribile schiavitù… Dai santi comprendiamo che gli enigmi delle nostre vite si illuminano al pensiero che ogni essere umano è figlio di Dio, è unico e irripetibile, ha enormi potenzialità di crescita, dedizione, sacrificio, amore e successo se, staccato da tutti e da tutto, mette Dio al primo posto nella sua esistenza.

Valentino