Parola che brucia (Lc 12,49-53)

Provocazioni di Cristo: fuoco e divisione. «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione» (Lc 12,49-51).

«Cristo è la nostra pace» (Ef 2,14). San Paolo riassume così, in modo sintetico, il Discorso della montagna che culmina nella proclamazione: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Pace che non è qualche cosa, ma Qualcuno: Cristo, mandato dal Padre per “mutare il nostro mesto incedere in passi di danza”.

Se la pace è il cuore del suo messaggio, perché Gesù afferma di essere venuto sulla terra a portare fuoco e divisione? Se Cristo esorta ad amare tutti, compresi i propri nemici, con quale coraggio può affermare di essere venuto a dividere padre da figlio, suocera da nuora? Perché durante l’Ultima Cena pregherà «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21), mentre qui afferma: «D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre»? Si contraddice spudoratamente il Figlio di Dio?
Cristo porta il fuoco sulla terra. L’immagine del fuoco nella Bibbia può significare devastazione e castigo, ma anche purificazione e illuminazione. Giovanni Battista, che battezza con acqua, afferma che il Messia battezzerà con il fuoco (cfr. Lc 3,16): chiara l’allusione allo Spirito Santo-Amore, che gli apostoli riceveranno nel giorno di Pentecoste (cfr. At 2,2-4).

Per quanto riguarda il termine “divisione”, dal contesto del brano evangelico si può capire il pensiero di Gesù: l’annuncio della verità portata dal Messia diventa motivo di divisione tra i giudei. Non solo il popolo si divide, ma anche all’interno della famiglia le parole di Gesù diventano “segno di contraddizione”. Alcuni accettano, altri negano. Ci sono dibattito, scontro e persino persecuzione. Ciò è non solo permesso, ma predetto e, in un certo qual modo, suscitato dal Figlio di Dio che non vuole passare inosservato. Non vuole gli indifferenti e i tiepidi: «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15).

Cristo vuole essere al centro della nostra esistenza: non accetta, giustamente, di stare al secondo posto, dal momento che è Dio. Un Dio “geloso” (cfr. Es 20,4-5). La gelosia di Dio consiste nel fatto che Egli non tollera che si attribuisca ad altri ciò che a Lui è dovuto. Si aspetta da noi un amore al di sopra ogni cosa: sa, tra l’altro, che questa è la condizione per poter amare rettamente noi stessi e il prossimo. Egli infatti non è geloso dei nostri amori, anzi ne è il garante. È Lui che ci chiede di amare tutti, con tutte le nostre forze, e di sentire ogni essere umano come nostro fratello e sorella.

Cristo divulga ulteriormente questo messaggio di suo Padre e lo specifica in modo tale da provocare duramente i suoi uditori. È sconcertante per i connazionali del Maestro sentir parlare di “fraternità”, di condivisione, di uguaglianza di tutti i figli di Dio. Come può un benpensante mantenere i propri privilegi se siamo tutti uguali, tutti sulla stessa barca, tutti amati dal medesimo Dio? Poiché il fuoco dell’amore può sconvolgere tutti e tutto, chi mai desidera di essere scomodato, dopo aver vissuto tranquillamente tanti anni seguendo le norme della legge che dà sicurezza?

Questi interrogativi non turbano Cristo, che si presenta al mondo come un vero “guastafeste”, esperto provocatore, portatore di una pace e di una liberazione che si ottengono con una logica opposta a quella proposta dai “sapienti” di questo mondo.

Una sconvolgente liberazione. Con la sua persona e il suo messaggio, Gesù libera i suoi connazionali. Libera i peccatori dalla tentazione di ritenersi schiavi del loro peccato. Libera le donne dal giogo dei condizionamenti sociali e dal dominio dei loro mariti. Libera i bambini dalla schiavitù di sentirsi proprietà dei genitori. Si fa immondo toccando i lebbrosi. Perde la sua reputazione, mangiando con pubblicani e prostitute. Parla non per addormentare le coscienze, ma per metterle in crisi, così che gli uditori cerchino nuove vie, sganciate da quelle false proposte dai maestri della legge, dagli scribi e dai farisei. Sogna la sua Chiesa fatta di persone che siano capaci di camminare controcorrente, di scontrarsi con i dittatori di turno, di smascherare le ipocrisie degli pseudoinnocenti: di quanti, cioè, adoperano il loro potere, politico o sacro, per i propri interessi.

«Stare vicino a me è stare vicino al fuoco» afferma Gesù nel Vangelo apocrifo di Tommaso. I quattro Vangeli canonici, benché non utilizzino la stessa espressione, senz’altro proclamano lo stesso messaggio. Cristo, nuovo roveto ardente, ricorre a frasi che bruciano. La sua parola non è certo un sonnifero, un placebo o un anestetico. Non imbavaglia la gente, ma la obbliga a diventare “voce di chi non ha voce”, a lottare contro ogni ingiustizia, a rivelare il potenziale incandescente dell’umanità nuova, che Egli genera grazie all’Incarnazione e rafforza con il fuoco della Pentecoste.

Chi sta vicino al fuoco può scaldarsi, ma anche scottarsi. Cosciente di ciò, Gesù esclama: «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11,6). Il suo messaggio suscita scandalo, oggi, non meno di ieri. Scandalo provvidenziale, provocato da quanti hanno il dono dello Spirito Santo di lottare contro la tentazione del compromesso col potere, con ogni potere. Contro ogni tentativo di annacquare il Vangelo, per renderlo innocuo ed edulcorato.

Gesù non ha detto di essere il miele, ma il sale della terra, spada a doppio taglio che crea divisione, fuoco che purifica l’intimo dell’essere umano e l’aiuta ad amare come ama Dio. Questo è il miracolo di cui l’umanità ha bisogno, per ridare alla Parola il suo potere: portare fuoco.

Valentino