Nunzio Sulprizio, patrono dei giovani e dei lavoratori

Una povertà dignitosa

Nell’entroterra abruzzese, tra il Gran Sasso e la Maiella, in un paesaggio incantevole lontano da centri inquinati, si trova Pescosansonesco.
In questo paesello rupestre una giovane ragazza, Rosa, timida, seria e virtuosa, contrariamente alla sua volontà è promessa sposa al giovane calzolaio Domenico Sulprizio. Dal loro matrimonio nasce Nunzio, il 13 aprile 1817. Viene subito battezzato e a soli tre anni cresimato, approfittando della visita pastorale del vescovo.
La famiglia, di umili condizioni, vive in quella povertà che Cristo chiamò beata. È quel tipo di povertà magistralmente dipinta da Olmi nel film L’albero degli zoccoli. Una vita ritmata dall’alternarsi delle stagioni e dal calendario liturgico. Una povertà dignitosa… ma che non permetterà a Nunzio di frequentare le scuole superiori. Il sogno di studiare s’infrange di fronte alla dura realtà della morte prematura del padre. Cominciano presto le difficoltà e le sofferenze per il piccolo Nunzio. La madre si trasferisce nella casa paterna, ma presto passa a nuove nozze. Situazione dolorosa, poiché il figlio di Rosa non è accettato dal nuovo papà.

Nunzio, comunque, abitando nella casa dei nonni, ha la possibilità di essere accolto nella scuola materna istituita dal parroco. Vive giorni felici ed apprende tante cose della dottrina cristiana e delle parabole di Gesù, dal quale impara a sopportare i maltrattamenti del patrigno.

La giovanile ora della prova

Ma presto, tra gioie soffuse, si delinea il calvario: nel1823 gli muore la mamma ed egli, a nove anni, viene affidato alla nonna, una seconda mamma per lui. Da lei riceve le basi della cultura cristiana e impara a provare gioia nella preghiera. Aspira a ricevere la Prima Comunione, ma, secondo l’uso del tempo, la nonna l’invita a pazientare e a prepararsi bene al grande incontro, che non può avvenire prima dei quindici anni. A quell’appuntamento la nonna non sarà presente, perché muore nel 1826, a sessantacinque anni.

Nunzio si sente orfano per la terza volta, ma cerca di fare tesoro degli insegnamenti della nonna, vera maestra di vita. Si sforza di fare del bene agli altri: assisterli nelle difficoltà, aiutare il parroco a portare il viatico agli ammalati… Inoltre, non manca di partecipare alle funzioni religiose. E per non trascurare gli insegnamenti della Chiesa, eccolo sacrificare le pur lecite gioie giovanili, il divertimento tipico degli adolescenti, abbandonati alla spensieratezza del vivere.

Nunzio attende con impazienza il catechismo domenicale, durante il quale percepisce sé stesso come eco della Parola. Invita i compagni alla messa e lo fa con un entusiasmo tale da produrre notevoli risultati. Il suo fascino “porta frutto”. Forse percepisce, inconsciamente, che i giovani sentono una grande nostalgia di Dio.
Se per molti giovani la nostalgia di Dio è legata ad una mancanza di proposte di fede, per Nunzio essa è invocazione di vedere il suo volto.

«Se il chicco di grano non marcisce…»

Se Cristo avesse parlato del grano che deve morire sotto terra, l’immagine sarebbe stata forse accettabile. Ma l’idea di marcire ha in sé qualche cosa di repellente, disgustoso e contrario alla natura. D’altra parte, se il grano morisse, non porterebbe frutto. E il Maestro non si è smentito, ci ha dato un pugno nello stomaco: «Bisogna marcire!». E questa legge vale per tutti: marcire sulla cattedra di Pietro o nella più piccola parrocchia della terra… è uguale. L’importante è marcire!

Nunzio vive in pienezza l’insegnamento evangelico: accetta di marcire e “porta frutto” facendo della sua vita una continua preghiera e coinvolgendo pure altri giovani nella lode al Signore. Si noti che nel linguaggio biblico “portare frutto” significa pregare e far pregare.

Coltiva la sua spiritualità in quel silenzio che è “guardiano dell’anima”. Cerca maestri dello spirito e si dimostra ad essi rispettoso, sollecito ad accettare tutti i loro suggerimenti.

La breve esistenza di Nunzio è caratterizzata da un crescendo di prove e di dolori che fanno pensare a Giobbe. Come il santo Patriarca soffre, innocente vittima, pregando per chi lo fa soffrire.

E il crescendo delle sue sofferenze può essere così sintetizzato:

- deve lasciare la scuola per guadagnarsi il pane quotidiano;
- diventa artigiano nella bottega di uno zio che è peggio del suo padrino: rude, burbero, incapace di accorgersi dei bisogni degli altri, avido di denaro per consumarlo nella taverna del paese, dove beve fino a ubriacarsi;
- il suo lavoro è pesante e inadatto ad un minore;
- è sottoposto a sfruttamenti e vessazioni;
- i compagni di lavoro non gli risparmiano insulti e maltrattamenti;
- lo zio sottopone Nunzio ad un lavoro impari per le sue forze, tanto che esso costituirà il suo vero calvario e la croce che lo porterà alla morte;
- a causa di questo disumano lavoro, non solo non può frequentare una scuola, ma spesso non gli è possibile stare là dove maggiormente desidererebbe trovarsi: nella casa del Signore.

Vittima di un male divenuto ormai inguaribile, perché mai curato, Nunzio accetta tutti i patimenti come partecipazione alle sofferenze di Cristo. E passando accanto a quanti lo fanno soffrire, ripete in cuor suo: «Padre, perdona loro».

L’assurdità del mondo senza Dio

La vita di Nunzio ha molto da dire, soprattutto a quei giovani che si pongono il problema del senso del dolore, fisico e morale, proprio e dell’umanità. Dolore che, affrontato con lo spirito di fede – grazie al messaggio cristiano – porta sollievo al corpo, ridimensiona l’angoscia e rafforza lo spirito, arricchendolo di valori umani e divini.

E il messaggio è riassumibile, paradossalmente, con questa espressione: «Con Dio il mondo è un mistero, senza Dio un assurdo» (Angelo Gatti). Il santo, illuminato dallo Spirito, comprende che vale la pena scommettere su Dio, guardare a Cristo che sconfigge la morte con la sua morte e lasciarsi condurre docilmente dall’Amore.

Nunzio affronta il suo “terribile quotidiano” guardando al Crocifisso. Per rimediare al male cui è sottoposto, non gli resta che intensificare la preghiera e coinvolgere in essa tante persone di buona volontà.

Lode al Signore per le cure ospedaliere

Nell’estate del 1831, Nunzio è ricoverato all’ospedale dell’Aquila. Per una persona abituata alle sofferenze, ai soprusi e alle angherie, una casa di cura si trasforma in un angolo di paradiso. Il ragazzo si riposa, prega e si mostra disponibile ad aiutare i vari ricoverati. Non si stanca di lodare il Signore per le cure ospedaliere. Queste danno un sollievo momentaneo, ma non guariscono l’infermo che però è rimandato a casa, presso lo zio. Questi, vedendo in quali condizioni si trovi il nipote, lo costringe a chiedere l’elemosina. Grande l’umiliazione che Egli offre a Dio con questa preghiera: «È molto poco che io soffra, purché riesca a salvare la mia anima, amando Dio».

Lode a Cristo eucaristico

Nel giugno 1832, grazie a un benefattore che si è preso cura di lui, Nunzio entra all’Ospedale degli Incurabili in cerca di cure e di salute. Non passa inosservato. Il personale ospedaliero e gli ammalati si accorgono d’essere alla presenza di una persona eccezionale, di un santo.
Vedendolo soffrire molto, un prete cerca di dialogare con lui: «Soffri molto?». «Sì, faccio la volontà di Dio». «Che cosa desideri?». «Desidero confessarmi e ricevere Gesù eucaristico per la prima volta!». «Non hai ancora fatto la Prima Comunione?». «No, dalle nostre parti, bisogna attendere i quindici anni». «E i tuoi genitori?». «Sono morti». «E chi pensa a te?». «La Provvidenza di Dio».
Indicibile la lode al Signore in quel primo incontro con l’Eucaristia, fonte di un visibile progresso nella santità. Vorrebbe appartenere a una congregazione religiosa, ma, purtroppo, si aggravano le sue condizioni di salute: si sviluppa il cancro alle ossa, contro il quale non c’è alcun rimedio medico.
Nel marzo 1836, la situazione di Nunzio precipita: la febbre è altissima e le sofferenze acutissime. Prega per la Chiesa, per i sacerdoti, per la conversione dei peccatori, mentre sospira: «Gesù ha patito tanto per noi e per i suoi meriti ci aspetta la vita eterna. Se soffriamo per poco, godremo in Paradiso». «Gesù ha sofferto molto per me. Perché io non posso soffrire per Lui?». «Vorrei morire per convertire anche un solo peccatore».
Il 5 maggio 1836 riceve i sacramenti. Stringe forte il crocifisso e consola il suo benefattore: «State allegro, dal Cielo vi assisterò sempre». Verso sera, un sospiro: «La Madonna, la Madonna, vedete quanto è bella!». E tra le braccia della Vergine torna alla casa del Padre.

Paolo VI beatifica Nunzio e Papa Francesco, nel contesto del Sinodo dei Giovani 2018, proclamerà santo questo “operaio di Dio”, scomparso a diciannove anni. Lo addita, assieme a San Luigi Gonzaga, come patrono dei giovani e degli invalidi. Lo esalta per la sua profonda devozione mariana, che costituisce un indispensabile mezzo per santificarsi. Maria – ribadisce spesso papa Bergoglio – è la prima discepola di Gesù. Ci è stata donata come Madre ai piedi della croce, per amare sempre di più suo Figlio e accettare anche le prove più dolorose senza perdere la fiducia nella divina provvidenza. Chi la prega continuamente, godrà del privilegio di averla accanto “nell’ora della nostra nascita” e di ripetere le ultime parole di Nunzio prima di tornare alla casa del Padre: «La Madonna, la Madonna. Vedete quanto è bella!».

Valentino