Per riconoscere la chiamata all’amore

Tra il santo e il dotto, chi preferire? «Io ho sempre amato di aver confessori istruiti, perché dai semi-dotti, a cui in mancanza di altri dovetti ricorrere, ebbi sempre del danno». Così scrive Santa Teresa d’Ávila, Dottore della Chiesa. Alle sue suore – desiderose di riconoscere la chiamata all’amore e alla santità – suggeriva di cercarsi un accompagnatore spirituale che fosse intelligente. Tra il santo e il dotto, preferiva quest’ultimo.

Chi vuole fare progressi nella vita spirituale, dovrebbe avere la sapienza di partecipare agli “esercizi spirituali”: sarebbe bello attendere a quelli ideati da Sant’Ignazio di Loyola. Ma essendo questi molto lunghi, è consigliabile disseminare nella propria vita brevi periodi di ritiro in luoghi belli, silenziosi e animati da religiosi intelligenti – e, possibilmente, santi – esperti nel discernimento dei doni dello Spirito.

S’impara così a scoprire la volontà di Dio nella quotidianità della nostra vita, cercando le motivazioni e le intenzioni che ci spingono all’azione, sforzandoci di ascoltare le ispirazioni dello Spirito Santo e trovare pace nei silenzi fatti diventare preghiera.

La grazia dell’accompagnamento. Non per mio merito, ma per un puro dono del Signore, se ho potuto fare qualche cosa a vantaggio degli altri lo devo al privilegio – di cui godo tuttora – di essere circondato da persone che mi fanno la correzione fraterna, mi aiutano in tutto, mi sostengono con l’affetto e con la preghiera. I miei familiari in primo luogo, il teologo morale Bernhard Häring e il parroco del paese natale di mia madre. Dei primi due ho parlato spesso. Merita un accenno don Adriano.

Ha vissuto per cinquantasette anni nel piccolo paese di San Marco, in provincia di Udine. La parrocchia è stata la sua estasi e il suo tormento. Il suo amore e la sua croce. Il suo campo di semina e il suo calvario. E lì ha dato tutto se stesso, assieme ai tesori incomparabili del perdono e dell’Eucaristia. E lo ha fatto in modo tale da caratterizzare la vita di tutti i parrocchiani e da dare un volto al mio ministero sacerdotale.

Era orgoglioso d’influire sulla mia vocazione, da lui seguita con amore fin da quando avevo undici anni. Ogni volta che mi recavo a San Marco, oltre ad ospitarmi nella canonica, mi concedeva l’assoluzione dei miei peccati ed era contento delle messe da me celebrate, perché ad esse accorrevano molti giovani. Mi parlava del modo in cui concepiva il sacerdote, ideale che tuttora propongo ai formatori del clero ovunque vada. L’uomo di Dio: sublime la sua originaria scelta di essere un dono per tutti, la sua consacrazione alla felicità umana, la sua determinazione ad essere, per ogni persona, ministro di pace, dispensatore della misericordia di Dio; disposto ad essere il più amato e il più odiato degli uomini, pronto al dono totale di sé, come ha fatto Cristo per noi.

Mi capiva quando gli parlavo del mio bisogno d’amore. M’incoraggiava a non demordere quando la fede era messa alla prova. Lungi dell’essere invidioso, era contento quando radunavo in chiesa, per esercizi spirituali, i giovani della sua parrocchia e quanti accorrevano anche da altre parti del Friuli.

Godeva quando mi sentiva parlare dello Spirito Santo e della Madonna e m’incoraggiava a non stancarmi mai di parlare d’Amore. Amore umano e divino. Amore d’amicizia e di coppia. Amore dei genitori. Amore che è benedicente, sempre. Amore che perdona e immette nella vita. Amore che vince la morte.

Quando gli ho amministrato l’unzione degli infermi, vedendo quanto soffriva, gli ho chiesto se mi permettesse di pregare il Signore di accoglierlo al più presto nella sua gloria. Egli era sereno, mentre io ero inondato di lacrime quando gli dicevo: «Parti, anima cristiana, da questo mondo». Mi commuovevano le sue mani alzate al cielo, mentre egli sussurrava: «Amen, Amen!».

Dopo l’accompagnamento spirituale in questa vita, ora ho la certezza che il mio padre spirituale m’accompagni con la preghiera là, nella (tolto: la)vera vita, immerso nell’Amore nel quale pure io desidero perdermi. Vivo nell’eterna Bellezza.

Il profilo ideale dell’accompagnatore. Ho voluto sottolineare, attraverso immagini concrete, quanto dice il documento preparatorio del Sinodo 2018 riguardo all’importanza di scegliersi un accompagnatore spirituale, per scoprire la propria vocazione alla santità e discernere quanto Dio si aspetta da noi, nei vari momenti della nostra vita.

Importanti sono le riflessioni rispetto al modo con il quale Gesù ha aiutato i suoi uditori a fare scelte, guidate da Lui, Maestro di vita: «I brani evangelici che narrano l’incontro di Gesù con le persone del suo tempo mettono in luce alcuni elementi che ci aiutano a tracciare il profilo ideale di chi accompagna un giovane nel discernimento vocazionale: lo sguardo amorevole (la vocazione dei primi discepoli, cfr. Gv 1,35-51); la parola autorevole (l’insegnamento nella sinagoga di Cafarnao, cfr. Lc 4,32); la capacità di “farsi prossimo” (la parabola del buon samaritano, cfr. Lc 10, 25-37); la scelta di “camminare accanto” (i discepoli di Emmaus, cfr. Lc 24,13-35); la testimonianza di autenticità, senza paura di andare contro i pregiudizi più diffusi (la lavanda dei piedi nell’ultima cena, cfr. Gv 13,1-20)».

In sintesi, si può affermare che l’accompagnamento consiste in un aiuto a rileggere la propria vita alla luce della Parola, e in particolare a confrontarsi con la vita di Cristo e con il suo insegnamento, come conseguenza di un’esperienza forte di fede. Il giovane di oggi ha bisogno di chi lo accompagni favorendo un rapporto intimo tra lui e il Signore. L’accompagnatore verifica immediatamente se è fruttuoso l’incontro con il suo “figlio spirituale”: se entrambi riescono a pregare assieme e a far pregare altre persone. Ripeto quanto vado sempre suggerendo ovunque: “portare frutto”, secondo la Bibbia, significa pregare e far pregare. Tutti gli altri frutti sono secondari e saranno il naturale risultato di un’esperienza forte di fede, di un cammino intrapreso con una persona disposta a condividere la fatica del viaggio. Il figlio spirituale deve essere spronato da questa convinzione: un nano, sulle spalle di un gigante, vede più in là del gigante stesso.

Valentino