Anche Giuda amava Gesù

«Ne scelse dodici». Quando Gesù scelse gli apostoli – cosciente che nella sua terra “dodici” è il numero che indica la sacralità e fa riferimento alle tribù d’Israele – riservò per sé dodici persone «perché stessero con Lui» (Mc 3,14), apprendessero per connaturalità i valori da Lui vissuti e proposti, fossero testimoni qualificati della sua vita, morte e risurrezione. Venuto meno Giuda, gli Undici vollero colmare il vuoto di quella incresciosa perdita scegliendo una persona che avesse le stesse loro caratteristiche, soprattutto quella di essere testimone della Risurrezione. Per permettere allo Spirito Santo di esercitare il suo ruolo di guida della nuova comunità, decisero di trarre a sorte tra due candidati: Barsabba, soprannominato “il Giusto” e Mattia. Sembrava logico che la sorte avrebbe favorito il Giusto, invece essa cadde su Mattia, senza che la cosa amareggiasse Barsabba, che era ben cosciente della fine riservata a chi seguiva da vicino il Maestro: la persecuzione e il martirio.

Certamente Mattia aveva conosciuto bene Giuda e sapeva quanto Cristo lo amasse. Non come gli altri, ma più degli altri, perché Egli ha sempre avuto un amore di predilezione per i deboli. “Prediligere” infatti, nella lingua ebraica non significa amare di più, ma amare secondo il bisogno.

Di Giuda non si deve parlare in modo così negativo come ha fatto l’apostolo Giovanni. Questi era “il discepolo che Gesù amava” perché era il più giovane, entusiasta e innamorato dell’“Amore”. C’era tra loro un bellissimo rapporto: il fatto che durante l’Ultima Cena posasse il capo sul petto di Gesù non era una novità. Nelle fredde notti della Palestina, quando gli apostoli dormivano all’aperto, avvolti nel mantello, spesso il petto di un discepolo faceva da cuscino all’altro. Meglio un petto che «un sasso su cui posare il capo» …

Gesù era il miglior amico di Giovanni. Quando Giuda si mostrò l’ultimo anello della catena che avrebbe portato Cristo alla morte, il discepolo amato rivide Giuda solo nei suoi aspetti negativi: lo giudicò avaro, ladro e manipolato dal demonio. Non poteva sopportare il fatto che il suo Amico fosse stato tradito e consegnato alla morte ancora in giovane età. Inoltre, Giovanni non conosceva le mezze misure. Per lui non esisteva il grigio: una realtà doveva essere bianca o nera, buona o cattiva, calda o fredda. Non a caso scriverà nell’Apocalisse: «Poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (3,16). Giuda quindi, per Giovanni e per gli altri apostoli, doveva essere ben altro che vomitato: «Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!» (Mt 26,24; Mc 14,21).

In difesa del fratello Giuda. Al contrario di quanto pensa l’autore del quarto Vangelo, si può ritenere che, se Giuda fosse stato veramente malvagio, Gesù non l’avrebbe scelto per stare tre anni con Lui. Che il Maestro, poi, amasse Giuda, si vede proprio durante l’Ultima Cena. A lui ha dato il “boccone dell’amicizia”, rito che il padrone di casa o l’invitante riservava alla persona che voleva gratificare più di tutte le altre: intingeva un boccone di pane nella salsa e lo metteva in bocca alla persona amata. Infine, nell’Orto degli Ulivi, prima di
ricevere il bacio del tradimento, Gesù ha chiamato Giuda “amico”.

Perché ha tradito il Maestro? Si può formulare un’ipotesi: Giuda ha consegnato Gesù alle autorità religiose perché fosse messo in prigione e potesse ravvedersi, cambiare modo di parlare e così evitare di essere condannato a morte. Deluso dal piano mancato, ha troncato miseramente la propria vita. Molti Giudei attendevano un Messia che liberasse il popolo dall’umiliante giogo romano. Aspettativa condivisa anche da alcuni dei Dodici. Giuda seguiva la vicenda di Gesù con sentimenti contrastanti: godeva quando le folle volevano acclamarlo “Re dei Giudei”, e soffriva allorché lo vedeva perseguitato, come quando i suoi compaesani volevano buttarlo giù dal precipizio che si trova alla periferia di Nazareth.

A un certo punto cominciò a rendersi conto che tutte le tensioni e le accuse rivolte a Lui dagli scribi e dai farisei l’avrebbero portato alla morte più infamante, quella riservata ai “maledetti”: la croce. Ricorse allora a quello che ai suoi occhi avrebbe potuto essere uno stratagemma per impedirgli una morte certa: Gesù, consegnato ai sacerdoti, dopo essere stato flagellato (prassi comune riservata a tutti quelli che “disturbavano” per qualsiasi motivo le persone in autorità), messo in carcere per un po’ di tempo, alla fine sarebbe tornato in libertà. Quella punizione avrebbe costretto Cristo a ravvedersi e a decidersi a diventare una persona “normale”.

A sostegno di questa ipotesi sta il fatto che, appena Giuda seppe della condanna a morte del Maestro, buttò i trenta denari nel tempio, davanti ai sacerdoti e andò a impiccarsi. Povero Giuda! Amico di Gesù e fratello nostro: fa da specchio alla nostra povertà spirituale. Noi non siamo molto migliori di lui.

Cristiani: «scribi e farisei ipocriti»? Quando si scrivono o esprimono queste idee, c’è spesso un’alzata di scudi da parte di “buoni cattolici praticanti”, che si scandalizzano all’idea che Dio sia stato tanto misericordioso da salvare anche Giuda. Fanno come la comunità fondata dall’evangelista Luca, che non ha accettato il brano scritto dal suo fondatore riguardo all’adultera. Brano che è poi stato inserito all’inizio dell’ottavo capitolo del vangelo di Giovanni, grazie a una comunità più disposta ad accogliere la divina misericordia. Nuovi scribi e farisei, molti cristiani mostrano la fragilità della loro fede, la paura della Grazia, la limitatezza della loro carità, l’ignoranza delle Scritture e la non conoscenza del Magistero basato sull’infinita misericordia di Dio.

Non vogliono capire che, durante l’Ultima Cena, quando Gesù annunciò che uno di loro l’avrebbe tradito, tutti i discepoli si guardarono attorno, sospettando ognuno del proprio vicino, anzi, sospettando di se stessi: «Sono forse io, Signore?» (Mt 26,22). Fingono di non ricordarsi che tutti i discepoli, a uno a uno, se andarono lasciando solo Gesù, in mano a chi lo condannava, gli sputava in faccia e gli metteva sul capo una corona di spine. L’ultimo ad andarsene era stato proprio Pietro, rimasto là a curiosare e a rinnegare Gesù con un peccato più grave di quello di Giuda: «Non lo conosco. Non lo amo. Non lo amo per nulla» (questo è il senso del triplice rinnegamento: un rifiuto totale. “Conoscere”, per l’ebreo vuol dire “amare”).

Giuda, visto l’errore fatto, disperato, s’impiccò. Pietro incontrò lo sguardo di Cristo e scoppiò in pianto. E il pianto dovrebbe essere il pane quotidiano di noi cristiani, per la spudoratezza nel giudicare gli altri, per la presunzione di essere migliori di Giuda, per esserci dimenticati che anche noi avremmo meritato di sentirci dire: «Amico, con un bacio tradisci il tuo Maestro».

Valentino