14 settembre: Esaltazione dell’Amore

La Pasqua orientale. Non la croce, ma l’amore viene esaltato nella festa del 14 settembre, che per gli orientali è celebrata con la stessa solennità della Pasqua: l’“Esaltazione della Croce”. In questa commemorazione non viene proposto come modello del vivere cristiano il dolore, bensì quell’amore che Cristo ci ha dimostrato nel donarci tutta la sua vita, fino al martirio, per renderci partecipi della sua dignità di figli di Dio. Egli diventa come noi e noi diventiamo come Lui. Realtà che i greci chiamano “teopoiesi”: diventare Dio.

Alla scuola dei nostri fratelli ortodossi, con lo spirito ecumenico più volte dimostrato da papa Francesco – specialmente negli incontri avvenuti in Egitto nel maggio di quest’anno – guardiamo alla croce, tenendo presente la professione di fede: «Morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte».

La croce d’oro che portiamo al petto – simbolo della Risurrezione, della gloria e dell’immortalità – come il piccolo crocifisso di legno al quale leviamo lo sguardo, rimandano al mistero centrale della nostra fede. Il crocifisso è l’immagine della più grande rivoluzione che solo l’Amore, la follia dell’Amore, poteva inventare.

Rivoluzione compresa dagli ebrei, coscienti che Gesù è uno di loro e rappresenta tutti quelli che ingiustamente sono condannati a morte. Rivoluzione apprezzata anche da chi, pur dichiarandosi agnostico, non può rimanere indifferente di fronte al simbolo di una morte offerta come dono a tutta l’umanità, affinché comprenda l’illogicità dell’amore. Rivoluzione guardata con simpatia anche dai musulmani che si commuovono davanti al profeta Gesù, il figlio di Miriam che con devozione essi salutano, vedendola come simbolo di tutte le mamme che piangono un figlio non accettato, disprezzato e condannato ad una morte infame. Nel dialogo interreligioso, molti musulmani si meravigliano che noi occidentali ci chiediamo se si debba togliere il crocifisso dai luoghi pubblici per rispetto all’Islam. Non esitano a dire che è un problema di coloro che non conoscono i veri musulmani, e che strumentalizzano l’Islam per togliere di mezzo un segno che a loro dà fastidio.

La croce rappresenta e abbraccia tutti noi. Da essa discende il messaggio di un amore donato a tutti, anche ai crocifissori, non solo perdonati, ma anche giustificati: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

L’apostolo Giovanni non parla mai della morte sganciata dalla Risurrezione. Parla dell’“ora” di Gesù che è contemporaneamente morte, comunicazione dello Spirito Santo («emise lo Spirito» significa: donò lo Spirito), Risurrezione ed effusione dello Spirito quale anticipata Pentecoste. Quell’Uomo-Dio che ha speso tutta la sua vita per amore, poteva essere rinchiuso in una tomba? Poteva una pietra sepolcrale frenare un vulcano d’amore? No, un amore sconfinato non può avere confini. Ecco perché è risorto.

Ma prima di celebrare il trionfo sulla morte, «discese agli inferi». Questa professione di fede va meditata continuamente se vogliamo innamorarci della vita: bisogna scendere nell’infimo grado dell’abiezione umana, bere il calice fino alla feccia, se si vuole essere partecipi della Risurrezione. Dio, additandoci una croce e ponendo accanto a noi sorella morte, non ci ruba il gusto della vita, ma ci sfida con quel dolore che crea il santo, il mistico e il poeta, pronto a cantare il nascere, il vivere, il morire, atti eterni ed effimere passioni. Voli pindarici e cadute di dolore in dolore. Sconfitte e vittorie della fede, fonte di quella speranza che fa dire al cristiano: «…eppure un giorno sarò eterno».

«Il terzo giorno risuscitò da morte». La Pasqua: il giorno del trionfo della croce, là dove la morte si dissolve nella vittoria. Se è bello venire al mondo, è molto più importante credere di essere salvati, di avere davanti a noi un’eternità piena di gioia: vedremo Dio e saremo come Lui.

Dio, «tutto in tutti». Nell’attesa del giorno in cui saremo un’unica realtà con Cristo, guardiamo al Crocifisso, supplicandolo di aiutarci a portare con dignità la nostra croce, a non scaricarla sulle spalle degli altri, a vederla come un trampolino di lancio verso la risurrezione. Questa supplica fa sì che le nostre sofferenze non siano affrontate come realtà incomprensibili e con penosa rassegnazione, ma si trasformino in un’offerta d’amore.

Allora il dolore sarà meno assurdo e più sopportabile. La Croce apparirà nella sua vera essenza, come era nei progetti eterni, espressione di un amore senza limiti: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Così essa diventa emblema della fede del cristiano per il quale l’ultima parola non è morte, ma vita. Non è fine, ma inizio. Non è dolore, ma amore.

In ogni cultura popolare è radicata l’idea che la crescita nell’amore, qui in terra, non possa essere disgiunta dal dolore. Fa soffrire l’amore perché non sembra mai raggiungibile, non appaga tutti i desideri, fa sperimentare l’abisso tra il volare in alto e il rendersi conto di avere “i piedi di argilla” (cfr. Dn 2,1-49). L’amore fa soffrire perché legato allo svuotamento di sé e alla necessità di cercare ad ogni costo il bene della persona amata (dilectio). Sbaglieremmo però a sottolineare eccessivamente il concetto di sofferenza. La gioia che si prova amando supera di mille volte la sofferenza di sentirsi inadeguati nel regno dell’amore. Inoltre, come calcolare l’immenso beneficio che nasce quando, amando una persona, le affidiamo la nostra libertà? Come non apprezzare quell’amore che mi libera nella libertà dell’altro? Come resistere al fascino di cercare con tutte le forze quell’amore che nobilita, trasfigura e divinizza?

Questo è il messaggio legato alla festa dell’Esaltazione della Croce: un inno di lode all’Amore che essa esprime. Lode al Risorto, che invia tutti noi per le strade del mondo a gridare che Egli è vivo. Vivo nei più piccoli di quei fratelli con i quali Cristo si identifica. Vivo in ogni cristiano che si sente orgoglioso di ripetere con San Paolo: «Quanto a me, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6,14).

Valentino