I nostri santi: “folli” per amore

Don Milani e don Mazzolari: due personaggi scomodi perché, animati da spirito profetico, anticipano le grandi intuizioni del Concilio Vaticano II: parlano di una Chiesa povera e a servizio dei poveri. Due preti che, innamorati del Vangelo, sono accomunati nell’essere “anti-sistema”. Fedeli al Cristo che vive nell’ultimo, nel povero, nel sofferente e che chiede ai battezzati di seguirlo fino all’effusione del proprio sangue. “Folli” per amore.
Per tenere vivo il loro ricordo e per proporli all’umanità come modelli di vita, papa Francesco si reca sulla loro tomba, in forma privata, per ribadire il messaggio di don Milani: «Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati, e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa». Questa si purifica e si rinnova quando ogni cristiano prende le sue responsabilità di essere per tutti un dono, disposto a morire perché altri abbiano la vita.

Di don Mazzolari, papa Francesco mette in risalto soprattutto gli scritti sulla pace, convinto che ora stiamo combattendo a pezzi la terza guerra mondiale: il cristiano deve opporsi ad ogni ingiustizia, ma con metodi non violenti. Deve alzare la propria voce contro i mali del mondo, costi quello che costi, anche la non approvazione della Chiesa ufficiale. Don Mazzolari accetta umilmente le ingiunzioni del Sant’Uffizio – che gli impongono innanzitutto di non scrivere, di non rilasciare interviste, di non predicare fuori diocesi, infine di restare nella propria parrocchia –, obbedisce all’istituzione che non lo accetta, ma sempre ribadendo che la prima obbedienza deve essere data a Dio e al povero.

Don Mazzolari, don Milani, don Barsotti, La Pira… e tanti, tanti altri profeti del nostro tempo ci insegnano che la fede cristiana fa appello alla nostra umanità: vuole innanzitutto che noi siamo uomini veri, prima di vantarci d’essere cristiani. Vuole vederci impegnati nella salvaguardia della dignità della persona umana e dell’inviolabilità dei suoi diritti. Vuole che noi siamo amici della povera gente, che papa Francesco definisce la carne stessa di Gesù. Secondo Mazzolari «i poveri non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano».

Questi nostri contemporanei, perorando la causa del povero, oltre a rifarsi al messaggio evangelico altro non fanno che mettersi in fila con i santi di tutti i tempi, che si sono fatti dono totale al povero, fino a morirne. Tra i tanti, ci bastino come esempio due santi tanto amati ancora ai nostri giorni: San Nicola e San Rocco.

Nicola da Bari. Nasce a Patara – in Licia, provincia dell’Asia Minore – nel quarto secolo. Rimasto orfano in giovane età, riceve in eredità una consistente fortuna, che usa per fare del bene a persone bisognose. Ciò grazie all’eredità di fede ricevuta dai familiari, che fin da bambino lo introducono alla lettura dei testi sacri. Ha l’occasione di aiutare un padre che, disperato per la sua povertà, vuole iniziare alla prostituzione le sue tre figlie. Queste, con i soldi di Nicola possono procurarsi una dote e sposarsi.

Si trova nella città di Mira quando muore il vescovo e il popolo, a conoscenza della carità che Nicola esercita con le persone maggiormente provate dalla povertà, lo acclama suo pastore. Egli lotta a lungo contro l’eresia ariana che sostiene che Gesù, in quanto “generato”, non partecipa della stessa sostanza del Padre, non può essere considerato come Lui, ma solo come una creatura del tutto singolare. La sua fermezza nella lotta contro Ario preserva la sua diocesi da questa eresia. Ma la sua irruenza gli costa cara: è imprigionato e perseguitato durante il regno di Diocleziano. È poi liberato con l’elezione di Costantino.

È reputato “grande” dai piccoli e dai poveri, a causa del suo impegno a salvare quanti sono perseguitati e ingiustamente votati alla morte. Il Signore lo dota del potere taumaturgico: a favore dei più poveri opera grandi miracoli in vita e… dopo la morte. I cristiani lo reputano il protettore della “vita debole”: debole per chi è in giovane età; debole per chi è in crescita e ha bisogno di un particolare aiuto per non sprecare il proprio tempo di grazia; debole per il venire meno delle forze, con quell’invecchiamento che molti reputano non un privilegio, ma una malattia; debole per la mancanza di beni necessari per condurre un’esistenza dignitosa e bella: «Io sono venuto – dice Cristo – perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
**San Rocco di Montpellier. **Ciò che si afferma della vita di San Nicola – la radicalità delle scelte, lo stile di vita che si fa dono per i poveri, il genere di santità e la devozione dei fedeli che dura nei secoli – può essere detto anche di San Rocco. Nasce tra il 1345 e il 1350 a Montpellier (Francia) da una famiglia benestante, orgogliosa della fede cristiana. Vive in un periodo fortemente segnato dal flagello della peste e in un momento nel quale la Chiesa soffre per una grave crisi. Rimasto orfano di padre e madre all’età di vent’anni, sceglie di appartenere esclusivamente a Cristo: il Gesù di Nazareth e il Risorto che vive nei battezzati, in particolare nei più poveri. Mette in pratica il testamento spirituale dei genitori, che gli hanno insegnato a stare sempre aggrappato al Signore.

Affascinato dall’ideale di San Francesco, lascia tutti i suoi beni, e facendosi pellegrino si mette in cammino verso Roma, fermandosi solo là dove incontra persone bisognose di aiuto. Si dedica totalmente all’assistenza dei malati di peste e presto scopre di avere il dono di compiere miracoli. L’ha detto Gesù: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi» (Gv 14,12).

Presto si diffonde ovunque la sua fama di santità e di guaritore. Guarisce gli altri, ma si ammala di peste. Soffre tantissimo e i suoi lamenti sono così forti da costringere gli infermieri dell’ospedale di Piacenza ad allontanarlo, per non essere di disturbo agli altri ammalati. Si ritira, solo, in un bosco e quando guarisce si rimette in cammino. Arrestato perché sospettato di essere una spia, si rifiuta di rivelare il suo nome, perché ha fatto il voto di non farsi conoscere, per non rendere note le sue origini nobiliari e non far sapere che egli è il grande taumaturgo. Rimane in prigione per cinque anni, spesi nella preghiera, finché muore il 16 agosto tra il 1376 e il 1379. Riconosciuto come il “famoso” Rocco, subito si sparge ovunque la devozione a questo cristiano, che la Chiesa proclama santo durante il Concilio di Costanza (1414): i padri conciliari attribuiscono alla sua intercessione il miracolo della cessazione della peste nella città dove si celebra l’assise ecumenica.

Ovunque ora i cristiani chiedono a Dio, per intercessione di San Nicola e di San Rocco, di essere liberati dalla peste del peccato e di godere di quella sapienza che ribalta la logica di questo mondo: la scelta della debolezza, il vivere nel nascondimento, la presa di coscienza che servire i deboli, i poveri e gli ultimi è regnare già qui, sulla terra, per poi condividere in Cielo i frutti della “follia evangelica”.

Valentino