Di fronte allo svuotarsi delle chiese

Simon’s Town, cittadina nel distretto di Città del Capo (Sudafrica). Un anziano signore sudafricano, discendente da antenati europei, dopo avermi “studiato” per un mese nella parrocchia dove regolarmente celebro l’eucaristia e faccio conferenze, m’invita a cena, con lo scopo di dirmi tutto ciò che pensa della Chiesa cattolica. Ha notato la mia tristezza nel vedere che l’apartheid è ancora presente, che i giovani non partecipano alla liturgia domenicale e che la gente non si confessa. Spera che possa dire ai formatori del clero che le chiese si svuotano per i seguenti motivi:

- Non c’è gioia nelle nostre liturgie.
- Entrando in chiesa non siamo capaci di far percepire la Presenza, sia quella di Gesù vivo nel tabernacolo, sia quella della Parola di vita, sia quella dei fratelli che sono il corpo di Cristo.
- Manca la formazione sui temi vitali della religione.
- Molti preti non sono innamorati della parola di Dio – forse neppure la conoscono… – per cui le loro prediche, oltre ad essere spesso molto noiose, peccano di un moralismo che non tocca la vita.
- Non ci si rende conto nella Chiesa che c’è bisogno di una nuova antropologia e di un nuovo linguaggio, conforme a quello che adesso adopera la gente.
- Fingiamo di non accorgerci che tanti cattolici si trovano bene nelle Chiese protestanti pentecostali che, nonostante tanti grossi limiti, riescono a radunare masse oceaniche di persone, compresi tanti giovani.
- Alla base di tutto c’è il fatto che ci diciamo cristiani, ma non abbiamo fatto una vera esperienza di fede, per cui, all’emergere dei problemi, ci comportiamo come se Dio non esistesse e come se Cristo fosse passato invano nella nostra vita. Lasciamo naturalmente da parte lo Spirito Santo, il grande sconosciuto.

Così mi parla l’anziano ex docente universitario che, godendo buona salute, riesce ancora ad assistere quei parrocchiani che hanno bisogno sia di consulenze, sia di aiuti materiali, con la tristezza che nessuno l’interpelli su problemi morali o religiosi.

Invidie e divisioni. Nella sesta domenica di Pasqua (2017) – al Regina Coeli, in piazza San Pietro – papa Francesco ritorna per l’ennesima volta sul tema della Chiesa, lacerata da invidie e discordie. Non è questa la Chiesa che Gesù ha sognato e della quale ha parlato agli apostoli, promettendo loro di non lasciarli soli, d’inviare lo Spirito Santo perché formino, con gioia, un unico corpo: «Meditando queste parole di Gesù, noi oggi percepiamo con senso di fede di essere il popolo di Dio in comunione col Padre e con Gesù mediante lo Spirito Santo. In questo mistero di comunione, la Chiesa trova la fonte inesauribile della propria missione, che si realizza mediante l’amore. (…) L’amore a Dio e al prossimo è il più grande comandamento del Vangelo. Il Signore oggi ci chiama a corrispondere generosamente alla chiamata evangelica all’amore, ponendo Dio al centro della nostra vita e dedicandoci al servizio dei fratelli, specialmente i più bisognosi di sostegno e di consolazione». Ma non si può prendere per scontato l’amore, perché non è una realtà facile da realizzare: «A volte i contrasti, l’orgoglio, le invidie, le divisioni lasciano il segno anche sul volto bello della Chiesa. Una comunità di cristiani dovrebbe vivere nella carità di Cristo, e invece è proprio lì che il maligno “ci mette lo zampino” e noi a volte ci lasciamo ingannare». E il risultato? Le vittime – sostiene papa Francesco – sono i più deboli, che si allontanano anche da parrocchie e comunità perché non si sentono accolti, capiti e amati.

Questo recente discorso non è altro che l’eco di quanto il Papa aveva espresso, durante l’Udienza Generale, il 12 giugno 2013: «La Chiesa sia luogo della misericordia e della speranza di Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato, incoraggiato a vivere secondo la vita buona del Vangelo. E per far sentire l’altro accolto, amato, perdonato, incoraggiato la Chiesa deve essere con le porte aperte, perché tutti possano entrare. E noi dobbiamo uscire da quelle porte e annunciare il Vangelo». Questa la Chiesa che papa Francesco sogna: Chiesa cattolica, sfidata dall’abbandono di tanti fedeli che passano alle Chiese protestanti-carismatiche.

Uno sguardo ai Pentecostali. In America Latina le Chiese pentecostali di matrice protestante strappano alla Chiesa cattolica milioni di fedeli. Il Pew Research Center di Washington (centro di ricerca non governativo), nel 2014 ha condotto un’inchiesta sulla caduta dell’appartenenza cattolica nel subcontinente latinoamericano. Questo, fino alla metà del secolo scorso vantava la quasi totale appartenenza del popolo alla Chiesa cattolica: 94%. Nel 1970 i cattolici erano ancora il 92%. Oggi siamo il 69%.

Al crollo dei cattolici è corrisposta ovunque l’esuberante crescita dei cristiani evangelici e pentecostali. E questo passaggio è compiuto prevalentemente non da persone indifferenti o tiepide, ma dai più ferventi cattolici che trovano in altre Chiese spazi per esprimere la loro fede, sentirsi accolti, poter esercitare vari ministeri, soprattutto a servizio dei più poveri. I neoconvertiti frequentano con regolarità la loro nuova Chiesa, con percentuali di fedeltà alla liturgia domenicale che superano di gran lunga le statistiche riguardanti i cattolici. Se, ad esempio, solo il 9% dei cattolici dell’Argentina frequenta la messa domenicale, partecipa alla liturgia settimanale ben il 41% degli evangelici.

È innegabile che papa Francesco, ben a conoscenza di quanto stia avvenendo nel suo Paese, mostri un atteggiamento dialogante nei confronti di un fenomeno che lo porta ad essere comprensivo e amichevole con i protestanti.

Unità nella diversità. Nel discorso del 19 novembre 2014, papa Francesco così si è rivolto ai leader della Communion of Evangelical Episcopal Churches: «Stiamo peccando contro la volontà di Cristo, perché guardiamo soltanto alle differenze. Ma tutti abbiamo lo stesso battesimo ed il battesimo è più importante delle differenze. Tutti crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Tutti abbiamo dentro lo Spirito Santo che prega, “ora” per noi, lo Spirito che prega in noi. (…) Non so, è una pazzia… Avere un tesoro e preferire usare imitazioni del tesoro. Le imitazioni sono le differenze, quello che interessa è il tesoro». E rifacendosi alla promessa di Cristo di essere con noi sempre, afferma: «Non è con me soltanto perché sono cattolico; non è con me perché sono luterano; non è con me perché sono ortodosso… Un manicomio teologico!». Rifacendosi, infine, al fenomeno delle persecuzioni in atto di tanti cristiani di diverse denominazioni, conclude così: «Attualmente in Medio Oriente, in Africa, in tanti luoghi, quanti cristiani sono morti! Non domandano loro se sono pentecostali, luterani, calvinisti, anglicani, cattolici, ortodossi… Sono cristiani? Li uccidono perché credono in Cristo. Questo è l’ecumenismo del sangue».

Valentino