Dal Kosovo: giovani, preziosi perché fragili

Non ricordavo d’aver tenuto una conferenza in un liceo, a Pristina, nel 1994… ed ecco, dopo ventidue anni, in questa città del Kosovo mi accosta un giovane prete: «Padre, la devo ringraziare perché il suo entusiasmo, le sue parole e il suo amichevole rapporto con noi mi hanno convinto sempre di più che dovevo diventare prete». Passo in mezzo alla gente cercando di seminare: molte volte mi sembra di arare le pietre, mentre il seme non è mai sparso invano, anche se nessuno viene a ringraziarmi o lo fa solo se – magari dopo anni – il Signore mi mette ancora sulla stessa strada la persona un tempo incontrata, mai per caso.

A Letnica, in un villaggio kosovaro tanto caro a Madre Teresa per la presenza di un antico santuario mariano, mentre mi aggiro per la campagna, tutti i giovani mi salutano dicendo: «Sia lodato Gesù Cristo», come si era soliti fare in tante parti dell’Italia nel passato (nel Friuli, terra di mia made, fino a pochi anni fa). Mi diverto a chiedere a tutti se siano o no cristiani. La maggior parte di loro è musulmana, ma mi saluta così perché sono vestito da prete, ho i capelli bianchi e a tutti regalo un sorriso. Un musulmano mi dice: «La saluto nel nome del grande profeta Gesù».

Nel campus dell’università di Pristina discuto con uno studente che si presenta così: «Sono antimusulmano, filo-cristiano e ateo».

…E il pensiero corre ai giovani italiani che si ritengono agnostici. Pochi dichiarano di essere atei. Molti sono confusi, simpatizzanti della New Age, pasticcioni nel mettere sullo stesso piano Cristo, Budda, le divinità induiste, Maometto… Altri dicono: «Penso che ci debba essere un qualche cosa oltre il mondo in cui viviamo». Povero Dio, ridotto ad essere “un qualche cosa”!

Ogni generazione produce figli diversi culturalmente, moralmente, socialmente. Ai nostri giorni, i giovani sono immersi in una cultura complessa, indeterminata, fluida, ingannevole nel promettere ciò che non può dare. Sono deboli, insicuri, fragili, condizionabili, paurosi di tutto, aggrappati disperatamente ai tre o quattro amici con i quali sono sempre assieme a smanettare sullo smartphone, per essere in relazione con un migliaio di “amici” su Facebook. Assolutamente incapaci di comunicare nell’era della comunicazione. Alla ricerca di sensazioni forti, da bruciare in fretta, anche senza sapere il nome della persona dalla quale mendicano un momento di piacere.

Quanto più li vedo limitati, tanto più sento di voler loro bene, perché se si comportano quasi tutti così, significa che sono frutto di una generazione di padri e di nonni che hanno commesso non pochi errori nell’educazione, nel non essere modelli positivi e maestri di vita, nel ricoprirli di cose materiali, ignorando che essi avrebbero avuto bisogno di Dio tanto quanto del pane.

Li vedo non impegnati nel sociale e facilmente posso immaginare che cosa hanno abbiano sentito e respirato in famiglia riguardo alla politica e a quanti esercitano ogni forma di potere.

Vengo a conoscenza dei loro risultati scolastici, dei diritti che vantano pensando di essere promossi senza merito, delle loro due misere ore di studio al giorno… (magari fossero almeno due!) e penso a quei genitori che minacciano i professori se osano pensare che il loro figlio abbia una qualche debolezza.
Soffro nel vedere che le chiese si svuotano – si riempiono solo là dove prosperano i movimenti ecclesiali – e vado ripetendo che, se i padri dimostrassero nei confronti di Dio la centesima parte di quell’entusiasmo che manifestano nel parlare di sport, dovremmo chiamare i carabinieri a regolare il flusso dei fedeli alle nostre Eucaristie.

Tutto ciò fa male, ma se vogliamo essere realisti, dobbiamo ammettere che “questi nostri figli” vanno amati così come sono, vanno visti belli come il Creatore vide la coppia delle origini, vanno ascoltati, dopo aver loro chiesto perdono per tutti i nostri sbagli. Sbagli di metodo, molte volte, ma pur sempre sbagli che facciamo pagare a chi naviga solo, come barchetta di carta, su un fiume ora in piena, ora in secca, ora arrivato alla foce, spesso troppo presto per affrontare il mare della vita…

Questi nostri figli sarebbero contenti di salutare il sacerdote e il credente con il «Sia lodato Gesù Cristo» che ancora si augura nel Kosovo, o con il «Grüß Gott» che si augura tuttora in Germania e in Austria: saluto che è una benedizione del Signore. Sarebbero contenti, perché è ancora grande in molti di loro la nostalgia di Dio. Basta un sorriso aperto e cordiale, un cenno di attenzione nei loro confronti, la volontà di comunicare ed essi non guardano più all’orologio né al cellulare. Non si preoccupano più di cercare “amici” su Facebook, perché finalmente hanno trovato una persona con la quale possono cercare Dio.

Si comportano da vuoti, insensati e vani in un mondo che per loro non ha senso. Guardano ai mass media per avere qualche cosa di cui parlare, scimmiottando i divi televisivi. Cercano battute per far ridere in continuazione i quattro amici… Poi incontrano una persona disposta ad ascoltarli e allora svuotano il sacco: parlano del loro bisogno di senso, di bellezza e di amore. Non si scansano da chi ha i capelli bianchi, anzi, sono proprio questi a dare un senso di sicurezza e di stabilità contro tutto quanto sa di tanta liquidità, vuotezza e insulsaggine.

Chi li vede poco belli, li fa diventare brutti. Chi li vede cattivi toglie loro la speranza. Chi li vede senza Dio, bestemmia contro la Provvidenza che non abbandona una generazione al suo destino come se Cristo non fosse morto e risorto anche per loro. Come se lo Spirito Santo, Amore, non stesse lavorando in loro per creare un futuro migliore.

Da un po’ di tempo vado ripetendo che questa generazione o diventerà mistica o scomparirà. Ma siccome il sole ci fa sperare che brillerà sul mondo per altri cinque milioni di anni, sarebbe assurdo pensare alla prossima fine di questi nostri giovani. Quindi mi è caro rinnovare la mia fede in Dio, in questi giovani amati dal Signore e… nel misticismo che essi vanno abbozzando per le future generazioni, che saranno preziose perché fragili. Fragili perché preziose.

Valentino