Oscar Arnulfo Romero: «Risorgerò nel popolo salvadoregno».

Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo naturale, risorge corpo spirituale (1Cor 15,42-44).

Tutta la vita un continuo martirio. «Il martirio di monsignor Romero non avvenne solo al momento della sua morte; fu un martirio-testimonianza, sofferenza anteriore, persecuzione anteriore, fino alla sua morte». Così si rivolge papa Francesco ai salvadoregni. E spiega che il martirio continuò anche dopo la morte: «Io ero un giovane sacerdote e ne sono stato testimone, fu diffamato, calunniato, infangato, il suo martirio continuò persino da parte dei fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato. Non parlo per sentito dire, ho ascoltato queste cose. Dopo aver dato la sua vita, continuò a darla lasciandosi colpire da tutte quelle incomprensioni e calunnie». E aggiunge: «Solo Dio conosce le storie delle persone, e quante volte persone che hanno già dato la loro vita o che sono morte continuano a essere lapidate con la pietra più dura che esiste al mondo: la lingua».

Si ammazzano i testimoni della fede, si cerca di denigrarne e di cancellarne il ricordo, ma il loro canto, la loro speranza rifulgono sempre di più, nel loro rimando alle origini del Cristianesimo: il sangue dei martiri, unito a quello di Gesù, ha posto le fondamenta della Chiesa e di una civiltà che deve a Cristo e ai suoi seguaci il suo splendore, i suoi progressi in campo spirituale, culturale e scientifico.

La puzza delle pecore. Modesta è la famiglia nella quale nasce Oscar Arnulfo Romero, a Ciudad Barrios di El Salvador, nel 1917. A dodici anni è apprendista falegname, ma dopo un anno entra nel seminario minore di San Miguel, per poi passare al seminario maggiore, retto dai Gesuiti, a San Salvador. Terminate le scuole superiori va a Roma, di nuovo dai Gesuiti, presso l’Università Gregoriana. È ordinato prete nel 1944 e gli viene affidato l’incarico di parroco, direttore della rivista ecclesiale Chaparrastique e del seminario interdiocesano di San Salvador.

Presto riceve incarichi importanti come segretario della Conferenza episcopale dell’America Centrale e di Panama. Nel 1967 è nominato vescovo di Tombee e solo tre anni dopo vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di San Salvador. E quando infierisce la repressione sociale e politica nel Paese, Stato e Chiesa approvano la sua nomina ad arcivescovo della capitale, perché agli occhi di tutti Romero sembra un uomo che non crea problemi, non s’immischia nella politica, va d’accordo con chi conta nel campo politico e sociale.

Ma presto la triste situazione dei poveri, i quotidiani omicidi di contadini e di oppositori del regime politico, i massacri compiuti da organizzazioni paramilitari di destra – protetti e sostenuti dal sistema politico – suscitano una radicale “conversione” nel Vescovo. Da “uomo di studi” e “conservatore” passa ad una pastorale aliena dal compromesso, non limitata al campo spirituale – quindi disincarnata – ma imbevuta di quelle idee che ora papa Francesco ci mostra essere comuni a molti vescovi dell’America Latina: pastorale di uomini di Dio che si fanno voce dei “senza voce”, che vivono con gli “ultimi”, che “puzzano di pecore”.

Contro ogni dualismo. Folle la separazione dello spirituale dal temporale, del corpo dallo spirito, della vita terrena da quella eterna. Romero alza la voce per denunciare le ingiustizie e lo fa con una forza tale che le sue parole fanno presto il giro del mondo, ottenendo consensi che egli accetta, come mezzo per aiutare i salvadoregni: «Nella ricerca della salvezza dobbiamo evitare il dualismo che separa i poteri temporali dalla santificazione». E ancora: «Essendo nel mondo e perciò per il mondo (una cosa sola con la storia del mondo), la Chiesa svela il lato oscuro del mondo, il suo abisso di male, ciò che fa fallire gli esseri umani, li degrada, ciò che li disumanizza».

In seguito all’assassinio del gesuita Rutilio Grande da parte dei sicari del regime, Romero apre un’inchiesta sul delitto e ordina la chiusura di scuole e collegi per tre giorni consecutivi, accusa il potere politico e giuridico di El Salvador, istituisce una commissione permanente in difesa dei diritti umani.
Le sue omelie, trasmesse alla radio, gli creano tanti nemici da parte dei conservatori che lo dipingono come un «incitatore della lotta di classe e del socialismo». Sperimenta sulla sua pelle ciò che sostiene il vescovo di Recife, Dom Hélder Câmara: «Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista». 

Romero non incita alla lotta di classe, ma alla presa di coscienza dei diritti dei poveri. Le sue omelie sono centrate sull’importanza di essere fedeli alla parola del Maestro «La parola resta. E questa è la grande consolazione di chi predica. La mia voce scomparirà, ma la mia parola che è Cristo resterà nei cuori di quanti lo avranno voluto accogliere». «Fratelli, custodite questo tesoro. Non è la mia povera parola a seminare speranza e fede; è che io non sono altro che l’umile risuonare di Dio in questo popolo».

Il Calvario. Minacce e intimidazioni si alternano. Romero non demorde: continua a chiedere udienze al governatore per perorare la causa di tante vittime del sistema. Subisce indicibili umiliazioni. Fa ore e ore di anticamera, al punto di trascorrere anche delle notti su una sedia, nella speranza di ricevere udienza da parte dei “grandi”… Grandi che si alleano per eliminarlo: il 24 marzo 1980 Oscar Romero, proprio nel momento in cui sta elevando il calice durante l’Eucaristia, viene assassinato dopo aver detto, al momento dell’offertorio: «In questo calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di offrire il nostro corpo e il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo. Questo momento di preghiera ci trovi saldamente uniti nella fede e nella speranza».

Quanti cristiani dovrebbero chiedere perdono a Dio per non aver “meritato” quella pallottola! “Grazie” ad essa, il sangue di Cristo consacra il sangue del santo vescovo Oscar Arnulfo Romero. E sua è la santità proposta dal Concilio, aperta a tutti, con la precedenza non a chi aiuta a morire bene (chi prepara ad una buona morte), ma a chi aiuta a vivere creando condizioni di giustizia e di pace qui, sulla terra.

Valentino