Frère Roger Schutz: ricerca della Pace nel silenzio

«Genti tutte, lodate il Signore, popoli tutti, cantate la sua lode,
perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre» (Sal 117,1-2).

In adorante ascolto del mistero. L’immensa tenda-chiesa di Taizé contiene migliaia e migliaia di giovani provenienti da tutte le parti del mondo e lì convocati per amalgamarsi nel canto, nella lode, nell’adorazione del Signore.

I canoni biblici, cantati melodiosamente in tante lingue, accompagnati dai diversi strumenti musicali, immergono in un’atmosfera di mistica bellezza che rende quasi inevitabile percepire la presenza del divino. Non si calcola il tempo donato a Dio. Il comune desiderio di incontrarlo è già una stupenda preghiera. L’essenzialità del rito, l’abbondanza dei versetti biblici, le litaniche preghiere dei fedeli rendono inutili le spiegazioni e le omelie: parla il silenzio orante.

Ed ecco che molti giovani, provenienti da diversi angoli del pianeta, si prostrano a terra, nella penombra vivificata da innumerevoli lumini, per permettere al loro corpo di esprimere al Signore ciò che la parola non sa e non osa dire.

Così pregavo fin dalla metà degli anni Sessanta, con tanti amici che a Taizé si abbeveravano alla fonte della Grazia: lo Spirito Santo, lì percepito come Forza vitale, Padre dei poveri e Datore di ogni bene. Quando, una quindicina d’anni dopo, più volte espulso dall’Africa, pensavo di diventare monaco a Taizé, il fondatore di questa comunità – frère Roger – trascorse con me tutta una notte in preghiera e al mattino sussurrò: «Torna in Africa e in Asia e fa’ di quelle terre il tuo monastero».

Roger Schutz (Provence,1915 – Taizé, 2005), figlio di un pastore protestante – esperto nell’esegesi del Nuovo Testamento – e di una madre musicista, ereditò dai genitori l’amore alla parola di Dio e alla musica, cardini della spiritualità di Taizé e strumento privilegiato di preghiera. Dalla famiglia imparò pure a sognare che tutti i cristiani potessero un giorno essere riuniti nella stessa dimora del Padre. Ciò, oltre ad essere una grazia in sé, avrebbe posto le premesse per scongiurare i conflitti crudeli che vedevano le nazioni cristiane dilaniarsi tra di loro. La coesione religiosa avrebbe potuto scongiurare le guerre e portare, assieme a Cristo, quella pace che è il suo messaggio, il suo testamento, la sua stessa persona.

Adolescente, si ammalò di tubercolosi e fu più volte in pericolo di vita. Si iscrisse alla facoltà di Lettere per diventare scrittore, ma il padre lo indirizzò allo studio teologico. Frequentò i corsi a Losanna e a Strasburgo.

L’intuizione della Comunità di Taizé. Neo pastore protestante, desideroso di attuare il sogno – maturato durante la malattia – di vivere in una comunità di preghiera, a venticinque anni partì alla volta della vicina Svizzera, per cercare un’oasi di pace nel fragore della seconda guerra mondiale. Voleva offrire agli oppressi del suo tempo – i perseguitati, i poveri, gli ebrei colpiti dalle leggi razziali naziste – un luogo di rifugio e di preghiera. Arrivò in uno sperduto villaggio, Taizé, posto su una collina tra Cluny e Citeaux. Allora (come oggi) il paese contava duecento abitanti, ma presto sarebbe diventato famoso in tutto il mondo: centro di attrazione soprattutto per moltissimi giovani, assetati di verità, di Dio, di silenzio per ritrovare il meglio di se stessi.

Lì Roger Schutz cominciò ad accogliere e nascondere i fuggiaschi, aiutandoli poi a varcare il confine con la vicina Svizzera. Mentre un giorno si trovava al confine, gli venne comunicato che la Gestapo aveva perquisito per due volte la casa di Taizé. Per non essere arrestato, frère Roger decise di rimanere in Svizzera. Qui scrisse un libretto che colpì positivamente Pierre Souvairan e Max Thurian, i quali raggiunsero Roger a Ginevra, decidendo di vivere con lui. Era il primo nucleo della Comunità, che si modellò sulla Regola francescana.

Alla fine del 1944 poté tornare a Taizé e ottenne un “ordine di missione”, che permetteva ai fratelli di circolare liberamente per la Francia, in aiuto dei più bisognosi. L’allora Nunzio Apostolico a Parigi, Angelo Roncalli (il futuro papa Giovanni XXIII), firmò l’autorizzazione per la piccola Comunità a riunirsi in preghiera nella chiesa cattolica del villaggio di Taizé.

Nel 1952 Roger scrisse una prima versione della “Regola di Taizé” per la Comunità, in seguito modificata e pubblicata con il titolo: “Amore di ogni amore”. Nel 1958 la Comunità fu accolta da papa Giovanni XXIII con entusiasmo: «Ah, Taizé, quella piccola primavera!».

Il 6 agosto 1962, festa della Trasfigurazione, venne inaugurata una chiesa denominata “Chiesa della Riconciliazione”. Fu l’occasione per un incontro ecumenico tra le varie Chiese: cattolica, ortodossa, protestante e anglicana.

Con l’espandersi dei membri della Comunità, raggiungendo il centinaio, nacque l’idea di fondare diverse fraternità in Paesi poveri. Altra bella intuizione: l’organizzazione in diverse città, ogni anno – dal 28 dicembre al 1° gennaio – di un “Pellegrinaggio di fiducia sulla Terra”, al fine di stimolare i giovani perché divengano, a casa loro, creatori di pace, portatori di speranza, animatori di piccole comunità che preghino seguendo la spiritualità di Taizé.

Frère Roger ebbe uno speciale rapporto con l’India sin dal 1976, quando visse per un periodo in una bidonville di Calcutta. Lì conobbe Madre Teresa, con la quale intrattenne un’amicizia durata fino alla morte della suora, nel 1997.

Il fascino di Taizé. Il prostrarsi in adorazione risponde innanzitutto ad un bisogno di fedeltà a quel Dio scoperto come origine della propria vita, sostegno della precaria esistenza e causa della più intima gioia nel fare la volontà del Padre. Volontà che si concretizza innanzitutto nell’appassionato invito di Gesù a pregare incessantemente. Egli si aspetta la nostra adorazione, vuole che restiamo con Lui («Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora?» Mt 26,40 ). E ciò serve soprattutto a noi che diventiamo ciò in cui crediamo e per cui preghiamo.

Dio vuole essere adorato, messo cioè al primo posto nella nostra esistenza: “adultero” – lo ripete continuamente l’Antico Testamento – è chi pone il Signore al secondo posto nella sua vita e preferisce l’idolo al Dio vivente. Dio vuole essere adorato: esige un rapporto di intima amicizia, scambi di sentimenti e una presenza motivata dalla bellezza di stare con l’Amico. Un riconoscimento che Lui, Lui solo è il motivo primo e ultimo della nostra esistenza.

Dio vuole essere adorato nel silenzio. Ma appena si cerca il silenzio dei sensi interni, quando – finalmente – si arriva a gustare la preghiera, nasce subito un combattimento tra il bene al quale aspiriamo e la polvere della quale siamo impastati. Dio vuole essere adorato, infine, per il gusto di essere adorato: tutta la vita del credente è un elogio alla gratuità. L’umanità sembra muoversi attorno a questi slogan: «Niente si fa per niente»; «Nessuno regala niente a nessuno»; «Se gratis, c’è l’inganno». Sembra che tutto si svolga in vista di un interesse ben preciso, che ruota intorno al successo, al potere, al denaro: misere misure della nostra incapacità di amare il nostro prossimo come noi stessi. E dicendo “prossimo” si deve intendere innanzitutto il primo “Prossimo” in senso assoluto: Dio.

Riconoscimento e… martirio. Frère Roger è stato un inno alla gratuità. Un dono per Dio e per l’umanità. Un pellegrino alla continua ricerca dell’Assoluto. Così lo ha esaltato Giovanni Paolo II, che nel suo viaggio apostolico in Francia, nel 1980, ha detto: «Come voi, pellegrini e amici della Comunità, il Papa è di passaggio. Ma si passa a Taizé come si passa accanto ad una fonte. Il viaggiatore si ferma, si disseta e continua il cammino». Ecco lo scopo dell’esistenza della Comunità monastica ecumenica di Taizé: essere punto di ristoro, riposo e meditazione dello spirito, a qualunque confessione religiosa si appartenga, per poi riprendere – rinvigoriti e in comunione d’intenti – il cammino quotidiano, animato dalla speranza ecumenica e dal sogno di una vita migliore.

Per questo Roger non si stancava mai di pregare, fino alla conclusione della sua vita, a novant’anni, accoltellato durante la preghiera serale il 16 agosto 2015. Ammazzato nella chiesa della Riconciliazione, attorniato da tanti giovani, con i quali stava lodando Dio per la sua infinita misericordia.

Valentino