Sette passi con i Re Magi

Un quarto “Mago” si era messo in cammino assieme a Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, per seguire la stella che si sarebbe posata sulla dimora del Re dei re. Ma, essendo un tipo molto compassionevole, ogni volta che incontrava una persona sofferente, un povero o un moribondo, si fermava a prestare le sue cure. Nel lungo viaggio trovò innumerevoli motivi per soccorrere i miseri, e così arrivò in Palestina dopo trentatré anni, allorché Gesù stava morendo sulla croce. Si scusò il Mago per il ritardo, ma il Figlio di Dio gli sorrise: «Ogni volta che ti fermavi a soccorrere chi era nel bisogno, adoravi me». Poi soggiunse: «Che regalo mi avresti portato?».

Imbarazzato, rispose: «Mio Signore, ho ancora qui il mio regalo: una bottiglietta di vino. Ma… ora sarà diventato aceto». Di nuovo gli sorrise Gesù: «Ho rifiutato l’aceto dal soldato romano, ma da te lo accetto, perché avevo fame, sete ed ero nudo e tu mi hai soccorso nei miei fratelli più poveri».

Questa è la mia versione della leggenda del “Quarto Mago” che propongo in questo periodo dell’Epifania, parlando del nostro Dio che si rivela nascondendosi e aprendoci alla vera gioia.

Dio si rivela nascondendosi: nasce in una grotta, perché nessuno apre la porta ai suoi genitori; si fa battezzare al Giordano, in fila con i peccatori. E si rivela – ospite taumaturgo – ad un banchetto di nozze, perché non venga meno la gioia degli sposi.

È bello considerare i Magi come i santi a noi più simili. Grandi nell’affrontare sconfinati spazi, nel chiedere, nel non perdere la speranza. Da essi impariamo che il nostro è il Dio dei lontani, dei cieli aperti, del deserto. Dio che nasce nella piccolissima Betlemme e non in Gerusalemme la grande; vive in una casa e non nel tempio; non siede su un trono, ma sulle ginocchia di una giovane donna, Maria.

I Magi cercano il Figlio di Dio, seguendo inconsciamente ciò che aveva predetto il profeta Isaia: «Alza il capo e guarda». Dal racconto evangelico fatto da Matteo apprendiamo il metodo più sicuro per arrivare a Dio e per esaminare se il nostro cammino si ritma su passi sicuri.

Il primo passo: abbandonare le nostre certezze, uscire dagli schemi, inseguire un sogno. Se non sogniamo più, vuol dire che siamo già morti. Se non abbiamo una intuizione, siamo paralizzati e imprigionati. Se non guardiamo oltre, siamo soffocati dalle vane proposte del mondo.

Secondo passo: camminare. Incontriamo il Signore per le strade del mondo, viaggiando con intelligenza e cuore aperti. E il viaggio non implica necessariamente lo spostarsi di terra in terra: può essere intrapreso anche leggendo libri interessanti, confrontandoci con persone stimolanti, meditando ogni giorno la Parola antica e sempre nuova.

Terzo passo: cercare e proclamare la “Verità nella carità”, nella propria comunità. Il testo evangelico non parla di tre Magi, ma di “alcuni magi”. Siamo chiamati a guardare insieme nella stessa direzione. Guardare alla stella, simbolo della fede che ci fa cercare Dio nell’alto dei cieli e ce lo fa trovare sul volto dei fratelli.

Quarto passo: non avere paura di commettere sbagli. Anche i Magi sbagliano. Sbagliano città: Gerusalemme invece di Betlemme. Sbagliano persona: vanno a chiedere lumi al sanguinario Erode. Sbagliano stella: la confondono con le luci della città. Sbagliano valutazione di grandezza: cercano un re, anziché un bambino… Eppure sanno trasformare gli errori e le crisi in possibilità di ulteriore ricerca e opportunità di superare se stessi: noi sbagliamo, pecchiamo, ma non siamo il nostro sbaglio. Non siamo il nostro peccato.

Quinto passo: scoprire nella gioia la firma di Dio. «Al rivedere la stella i Magi gioirono grandemente». L’intima, profonda gioia, al di là di tutti i nostri problemi, è il segno che stiamo compiendo ciò che da noi si aspetta il Signore, “nella cui volontà è la nostra pace”.

Sesto passo: trasformare le piccole realtà in grandi possibilità. I Magi trovano un** **piccolo Bambino. S’inginocchiano davanti ad una scena ordinaria: una mamma che allatta la sua creatura. Un giovane uomo che diventa “padre” nel dare un senso e un gusto alla vita di un bambino. In ginocchio immergono il tempo nell’eternità, perché solo la preghiera riscatta l’effimero scorrere dei nostri giorni, abbozzando il paradiso, che altro non sarà se non un sogno reso eterno.

Settimo passo: tornare a casa per un’altra strada. Se abbiamo incontrato il Signore, dobbiamo cambiare stile di vita. Non possiamo più vivere come prima. Pensieri nuovi. Nuovo linguaggio. Testimonianza sempre nuova, gridando dai tetti: «Ho trovato un Bambino e ho adorato il mio Dio».

E ora tocca me chiederti se tu hai incontrato il Figlio di Dio. Se l’hai trovato, dimmelo, perché anch’io venga a prostrami ai suoi piedi, anch’io possa amarlo sempre di più, possa portargli l’oro per riconoscerlo come Re, l’incenso per adorarlo come Dio, la mirra per mostrargli la tenerezza in vista della sua e della mia morte, e… il vino. Vino che metto sul suo altare, sicuro che Egli lo trasformerà nel suo sangue, dal quale prenderò forza per cercare, camminare, sognare. Il tutto alla luce della stella, la fede. Fede che dà un senso al nascere, una gioia al vivere, e un’aspettativa anche al morire, quando finalmente vedrò Dio faccia a faccia, capirò, gli darò ragione e diventerò come Lui. Diventerò Dio.

Valentino