Vittorio Messori: la scommessa sul Dio che si nasconde

Il Figlio di Dio parla in parabole per salvaguardare la libertà dell’ascoltatore. Suscita sensazioni facendo ricorso ad immagini frequentemente lasciate senza conclusione, per permettere a noi di riprenderle in ogni epoca e apportarvi il nostro contributo. Agisce come suo Padre, il cui creato è la firma della sua umiltà e l’emblema del suo rispetto della nostra libertà. «Se avesse dato una prova certa della Sua esistenza l’uomo non sarebbe libero», afferma Messori e ribadisce, sulle orme di Pascal: «Dio ha lasciato luce per chi vuol vedere e tenebre per chi non vuol vedere».

Vittorio nasce a Sassuolo – in provincia di Modena – nel 1941, da una famiglia anticlericale. Frequenta le scuole pubbliche a Torino. Si iscrive all’Università, alla facoltà di Scienze Politiche, ricevendo una formazione razionalista ed agnostica. Discute la tesi con Alessandro Galante Garrone – “il massimo del laicismo sabaudo” – e con Norberto Bobbio.

Nel 1964, in seguito alla lettura dei Vangeli Messori si converte, sperimentando «una forza imprevista e irresistibile», una «evidenza del cuore». La lettura di Blaise Pascal lo porta ad approfondire il rapporto tra «ragioni della ragione» e «ragioni del cuore». Parla della sua esperienza di fede in Ipotesi su Gesù, libro che ha raggiunto oltre un milione e mezzo di copie vendute in Italia. Come pubblicista, collabora con la SEI, la Stampa, il Corriere della sera e la rivista Jesus dei Paolini, «tenendosi lontano dalla tentazione ideologica del 1968 e dalla tentazione teologica»: lontano cioè dalla politica e dal clericalismo. Di fronte al successo mondiale di Ipotesi su Gesù, Messori – lungi dall’inorgoglirsi – si ritira per sei mesi in un villaggio del Monferrato, lontano da tutti, continuando i suoi studi nel più grande silenzio.

Dopo la pubblicazione di Scommessa sulla morte, segue un lungo periodo di contatti con il cardinale Ratzinger (1982-1998), che darà vita al libro Rapporto sulla fede. Nel 1993 Giovanni Paolo II lo interpella per essere intervistato. Messori di primo acchito rifiuta: «Santità, abbiamo bisogno di un Papa, di un maestro che ci guidi, non di un opinionista televisivo. Questa non è la crisi della Chiesa. È la crisi della fede: non si crede più». Ma, poi, cede e nasce il testo che gli vale il Premio Internazionale Medaglia d’Oro al merito della Cultura Cattolica: Varcare la soglia della speranza (che raggiunge 23 milioni di copie vendute in pochi mesi ed è tradotto in 53 lingue). Inizia poi il periodo in cui scrive molto su Maria, convinto che: «La devozione alla Vergine Maria è una delle vie privilegiate per risvegliare ed esprimere la fede cristiana, anche in questi tempi di secolarizzazione». Infine, nel 2008, pubblica Perché credo. Una vita per rendere ragione alla fede. Questo libro s’impone quale «replica ai pamphlets attuali che accusano di ignoranza o scarsa intelligenza chi abbia ancora il coraggio di dirsi credente». «La fede non solo non è tenebra, come assicuravano coloro che accesero i Lumi settecenteschi, ma è in grado di rischiarare non solo l’umanità ma anche le vite dei singoli uomini».

Secondo Messori, la nostra società pecca gravemente nel non cercare Dio e nella paura che la fede faccia piombare una persona nell’oscurantismo. Al contrario, essa è in grado di portare luce a tutta l’umanità e dare un senso alla vita di ogni essere umano. Fede e ragione sono le due ali che reggono l’essere umano: «La ragione non solo non esclude la fede ma può aprire la strada verso di essa». Per questo, Messori non si stanca di ribadire le «ragioni per credere», mostrando come la storia abbia confermato l’intuizione di Pascal: «La critica può sembrare allontanare dal Vangelo. Ma la critica della critica è sempre possibile e può ricondurvi».

In sintonia con il Magistero, commenta quanto papa Francesco, assieme a Benedetto XVI, ha scritto nell’enciclica Lumen fidei, che mette in evidenza il carattere di luce della fede, forza che illumina tutta l’umana esistenza. Grazie alla fede, il credente può distinguere il bene dal male, «in particolare in un’epoca, come quella moderna, in cui il credere si oppone al cercare e la fede è vista come un’illusione, un salto nel vuoto che impedisce la libertà dell’uomo», si legge nel prologo del documento pontificio. In questo, papa Francesco scrive: «Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta. (…) La fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce (…) che orienta il nostro cammino nel tempo. Da una parte, essa procede dal passato, è la luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù, dove si è manifestato il suo amore pienamente affidabile, capace di vincere la morte. Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto e ci attira oltre la morte, la fede è luce che viene dal futuro, che schiude davanti a noi orizzonti grandi…».

Convinto della verità proclamata dal Vangelo e dal Magistero, Messori , mentre parla della «luce della fede», comprende le ragioni di quanti faticano a credere nel «Deus absconditus», il Dio nascosto di cui parla anche la Bibbia: «Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore» (Isaia 45,15). Incommensurabile è la sapienza di Dio, imperscrutabile il suo volere e infinita la distanza con le creature: “il totalmente Altro” si manifesta in modo tale da non fare violenza alla libertà dell’uomo, «affinché quest’ultimo, a partire dai piccoli segni e gesti che intravede attorno a sé nel quotidiano, scelga se credere o meno».

Per approfondire questa idea è quanto mai utile e bello leggere il dialogo tra Ivan e Aliosha, nel brano del “Grande Inquisitore” (da I Fratelli Karamazov di Dostoevskij). Idea di fondo: Dio desidera l’amore di un figlio, non l’omaggio servile di uno schiavo.

Il Dio nascosto. Il Dio che si rivela nascondendosi. Apice di questa rivelazione nel nascondimento è Cristo, che viene a parlarci del Padre dopo essersi “svuotato” a tal punto da non essere quasi credibile: è la Parola e tace per trent’anni; può sfamare le folle e soffre la fame nel deserto; si proclama luce del mondo e sembra fare di tutto per non essere accettato; si proclama “acqua viva” e sulla croce grida: «Ho sete»; parla del regno e fa della croce il suo trono; si proclama vita e muore nudo, abbandonato e maledetto sul Golgota.

Per questo Messori scrive: «Gesù non si trova al termine dei nostri ragionamenti, ma al termine del nostro impegno. (…) Se Dio solo era l’essere perfettissimo, nulla poteva impedire di calpestare quell’essere imperfettissimo che è l’uomo. Ma se Dio s’è fatto carne, se Dio è nato ed è stato bambino, se ha giocato tra la polvere delle strade, allora l’uomo non può essere più schiaffeggiato senza che si schiaffeggi Dio stesso». E, citando Mario Pomilio, ribadisce la sua ipotesi e scommessa su Gesù: «Ogni lettura del Vangelo è una scommessa col mistero», ma «solo di lui vale la pena occuparsi».

Valentino