Dag Hammarskjöld: “Dio non si dimostra, si mostra”

La scelta di parlare di Dag Hammarskjöld – che fu per due mandati segretario generale dell’ONU – è legata, oltre al messaggio che da lui possiamo cogliere, a ciò che su di lui ho appreso dalla recente, dolorosa esperienza da me vissuta nel Sud del Congo – confinante con l’Angola –, Paese un tempo chiamato Katanga.

Con un sottosuolo ricchissimo, questa regione – circa cinquant’anni fa – avendo chiesto l’autonomia dal governo di Kinshasa, fu vittima di una tremenda repressione: un vero e proprio genocidio. Dag cercava di fare opera di mediazione e di aiutare gli abitanti del Katanga a liberarsi dai gioghi delle multinazionali. Morì in un incidente aereo. Studiando la storia del Congo ebbi il sospetto – condiviso da altri – che l’incidente non fosse un caso fortuito. E ne ebbi conferma in una discussione con docenti universitari congolesi, alcuni dei quali apertamente parlavano dell’uccisione del grande statista.

Quella zona, da allora, non ha più avuto nessun sussidio dal governo centrale di Kinshasa ed è ridotta alla miseria (cfr. www.salvoldi.org: “Globalizzare la speranza”), come Dag prevedeva sarebbe capitato. Chi ha letto il suo diario e chi ha un po’ di familiarità con la storia, non dubita di essere di fronte ad un vero martire della giustizia. Partendo dalla sua morte possiamo valutare tutta la sua vita, come diceva il saggio greco Solone (VII secolo avanti Cristo): «Per giudicare un uomo bisogna aspettare l’ultimo istante della sua vita».

Dag Hammarskjöld nasce nel luglio 1905 a Jokping, in Svezia, da una delle famiglie più in vista del paese. Studia economia e giurisprudenza e ricopre diversi incarichi di governo, tra i quali quello di ministro degli Esteri alla fine degli anni Quaranta. Eletto Segretario Generale dell’Onu, nel 1953, si occupa delle crisi più importanti del suo tempo: quella del Medio Oriente, quella ungherese, quella libanese. Crea la prima forza armata di “peace keeping” delle Nazioni Unite, come mezzo di controllo dei conflitti. Sostiene i diritti delle piccole nazioni che cercano l’indipendenza, osa contrapporsi alle grandi potenze e appoggia il processo di decolonizzazione, attirandosi molte critiche da parte dei Paesi occidentali.

Riservatissimo, programma la sua esistenza come una missione, quasi una vocazione divina. Vive la politica con passione, ma la sperimenta pure come una “via crucis”, cosciente delle gravi responsabilità di chi si mette completamente al servizio dei propri fratelli, specialmente di quanti sono maggiormente nel bisogno: «Nel mio nuovo incarico ufficiale l’uomo privato deve scomparire e il funzionario civile internazionale deve prendere il suo posto».

Per non influenzare – a causa delle sue convinzioni religiose – altre persone impegnate in politica, non parla mai di Dio, della sua fede e della religione cristiana. Sembra prendere alla lettera il monito del Salmista: «Sta’ in silenzio davanti al Signore». E vive la sua spiritualità in solitudine – legge il Vangelo, la vita dei santi (soprattutto dei mistici) e dei maestri di spiritualità: San Giovanni della Croce, Blaise Pascal, Martin Buber –, mentre fa di essa la base del suo impegno a servizio del bene comune. Non dimostra a nessuno che Dio esiste, ma ha la segreta aspirazione di mostrane l’esistenza attraverso il suo impegno umanitario: servire Cristo nell’uomo.

Veniamo a conoscenza della sua fede profonda grazie al diario, scritto originariamente per se stesso, ma poi consegnato ad un amico con il permesso di pubblicarlo dopo la sua morte. Quelle pagine scandiscono il suo cammino di fede, i suoi progressi e le cadute, la volontà di conoscere sempre più a fondo se stesso, Dio e gli altri, con il desiderio di essere per tutti un dono e non un peso. Non nasconde le sue debolezze, i difetti, le tentazioni quali l’ambizione e l’orgoglio. È cosciente che per essere indulgente con i limiti altrui, deve essere estremamente esigente nel lottare contro le proprie debolezze.

E prega per migliorare il suo carattere. Nei palazzi dell’ONU fa costruire la stanza del silenzio: un luogo dove ogni persona, a qualunque religione appartenga, possa ritirarsi in meditazione, in preghiera, alla ricerca del senso della vita: «Ciascuno di noi si porta dentro un nocciolo di quiete, circondato di silenzio. Questo palazzo, dedicato al lavoro e alla discussione al servizio della pace, deve avere una sala dedicata al silenzio, in senso esteriore, e alla quiete in senso interiore. L’obiettivo è stato creare in questa saletta un luogo le cui porte possano essere aperte ai terreni infiniti del pensiero e della preghiera. (…) Secondo un antico detto, il senso di un vaso non è il suo guscio, ma il vuoto. In questa sala è proprio così. La sala è dedicata a coloro che si recano qui per riempire il vuoto, con ciò che riescono a trovare nel loro centro interiore di quiete».

Il tema del silenzio per cercare il senso della vita ricorre di frequente nei suoi scritti: «Chiedo l’assurdo: che la vita abbia un senso. Mi batto per l’impossibile: che la mia vita ottenga un senso». E scopre che il senso della vita consiste nel donarla.

Ed è interessante vedere come, arrivato ad una posizione invidiabile per tante persone, non cerchi soddisfazione nel successo personale, ma nella silenziosa ricerca di ciò che è essenziale nella vita: vivere di una fede non sbandierata ma profonda, libera da incrostazioni dogmatiche, concretizzata nel cercare il bene di tutto l’uomo, di tutti gli uomini. È la fede di una persona che si affida totalmente a Dio: «Signore, Tu sei l’infinito amore, sorgente di ogni vita, di ogni bellezza, di ogni bontà: da te vengono e a Te ascendono tutte le cose. Posa la tua mano sul mio capo, o Dio perché il male e il caos che è in me non mi travolga…».

Nelle sue preghiere sembra di leggere Einstein quando afferma che, in ultima analisi, quello che veramente conta è conoscere il Fondamento del tutto: «Dio, abbi pietà dei nostri sforzi, così che noi dinanzi a te, in amore e fede, giustizia e umiltà, possiamo seguirti, in disciplina, lealtà e coraggio, e incontrarti, nella quiete. Dacci puri sensi per vederti, sensi umili per udirti, sensi d’amore per servirti, sensi di fede per viverti. Tu che io non conosco ma a cui appartengo, Tu che io non intendo ma che hai votato me al mio destino».

Destino di un diplomatico che, nella più grande discrezione e riservatezza, cerca di attivare tanti canali a sua disposizione per tessere la pace, creare ponti, favorire il dialogo. Si sforza di essere sempre neutro nelle crisi internazionali, mettendosi al di sopra delle parti: posizione che dovrebbe essere tenuta da tutti i politici, ma che rende estremamente vulnerabile chi non ha le spalle ben coperte da alcuni “partigiani”. Vulnerabilità non teorica per Dag, che cade vittima delle trame di chi ha tutto l’interesse perché il Katanga non arrivi all’autonomia. Martire della giustizia cercata nella pace che per lui non è un’astrazione, ma si concretizza in una persona: “Cristo, nostra pace” (vedi Ef 2,14) .

Gli è conferito postumo il Premio Nobel per la pace per la sua attività umanitaria.

Valentino