Perché di noi il Signore abbia pietà

“Dio ricco di misericordia”. Dopo aver analizzato le opere di misericordia corporale, è bello rivolgere lo sguardo a Colui che riassume tutte le opere di misericordia, sia quelle corporali come quelle spirituali: Cristo. Egli è venuto al mondo per rivelarci che «Dio è ricco di misericordia, lento all’ira e grande nell’amore».

“Dio ricco di misericordia” è il titolo di una grande enciclica di Giovanni Paolo II, alla quale faccio soltanto alcuni accenni, per invitare alla lettura di questo stupendo testo.

Il documento pontificio, firmato il 30 novembre 1980, inizia con queste parole: «Dio ricco di misericordia è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l’ha manifestato e fatto conoscere».

L’amore misericordioso di Dio, cominciato già nel mistero stesso della creazione e continuato nell’esperienza di tradimento e perdono del popolo ebraico, viene pienamente svelato nel Figlio, Gesù Cristo, nella sua morte e resurrezione. Il figlio della parabola del “padre prodigo” è visto come immagine dell’“uomo di tutti i tempi”, cosciente di avere sciupato la sua figliolanza, di avere perso la sua dignità e la verità di sé. I beni perduti vengono restituiti dal Padre al di là di ogni giustizia, in un abbraccio amoroso.

«Nella parabola del figliol prodigo non è usato neanche una sola volta il termine “giustizia”, così come, nel testo originale, non è usato quello di “misericordia”; tuttavia il rapporto della giustizia con l’amore, che si manifesta come misericordia, viene con grande precisione inscritto nel contenuto della parabola evangelica. Diviene più palese che l’amore si trasforma in misericordia, quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta».

Giovanni Paolo II non si ferma ad una interpretazione dei testi biblici e a una riflessione teologica, ma presenta i risvolti sociali di questo rapporto fra amore misericordioso e giustizia.
In una società in cui l’uomo è pieno di paura e inquietudine per il male sia fisico che morale – che minaccia direttamente la libertà umana, la coscienza e la religione – la «giustizia da sola non basta» a costruire la nuova civiltà dell’amore; occorre permettere a quella forza più profonda che è l’amore di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni.

«Summum jus, summa iniuria». La giustizia, portata alle sue estreme conseguenze, diventa estremamente ingiusta, dicevano gli antichi Romani. Cristo è venuto al mondo per farci come Lui, per mostrarci concretamente come vivere le opere di misericordia, per aiutarci a temperare la giustizia con l’amore.

Con un metodo nonviolento, ha rivoluzionato la storia del suo tempo e quella delle future generazioni. Bastano alcuni esempi:

  • Ha ribaltato il concetto tradizionale dell’economia: elogiando il fattore disonesto, che ha condonato gran parte dei debiti che i servi avevano contratto con il loro padrone, ci ha insegnato che «la disonesta ricchezza» va usata per creare relazioni giuste e amicali. È valida quell’economia di riconciliazione e di condivisione proposta ed attuata da chi si serve del denaro con un’ottica diversa da quella usata dai ricchi (coloro che accumulano beni per se stessi).
  • È andato oltre le relazioni parentali: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». «La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio». Formano una nuova famiglia coloro che ascoltano la Parola di Dio e si sforzano di metterla in pratica.
  • Ha rivoluzionato la morale: dalla legge all’amore. Dal monte Sinai al monte delle Beatitudini.
  • Ha rovesciato i criteri di grandezza: «Gli ultimi saranno i primi».
  • Ha dato un nuovo criterio di autorità: «Servire è regnare».
  • È andato controcorrente dichiarando beati i poveri, i miti (docili all’ascolto), quelli che piangono perché tarda a manifestarsi il Regno di Dio sulla terra, quelli che offrono l’altra guancia, quelli che credono nella nonviolenza e creano la pace accettando la persecuzione.
  • Ha parlato dell’illogicità dell’amore. Ha vissuto la follia evangelica basata sulla misericordia, sulla gratuità e non sul merito: l’amore si accetta, non si merita.

*Non ha esitato a mostrare la maledizione insita nell’uso scorretto della ricchezza: il ricco epulone (persona che non ha un nome, perché nel Vangelo solo i poveri sono chiamati per nome) è sepolto nell’inferno, mentre il povero Lazzaro è accolto «nel seno di Abramo», cioè nella gloria del cielo.

«È apparsa la grazia, la bontà e la misericordia» afferma San Paolo, parlando dell’Incarnazione del nostro Salvatore. La grazia altro non è se non l’amicizia con Dio, la forza di amare come Cristo ci ha amato, l’amore che ci spinge a rinascere ogni giorno con Cristo, percorrendo queste tappe:

  • Fare memoria. Vivere come attuale il fatto che ogni giorno Gesù torna a nascere per noi. Il Natale non è solo un fatto storico, lontano nel tempo, ma un dono messo a nostra disposizione, un tesoro, una grazia appunto: oggi posso accogliere la misericordia di Dio. Oggi, se voglio, posso diventare santo. Oggi mi realizzo compiendo un’opera di misericordia, rispondendo ad una chiamata del Signore che mi interpella nelle innumerevoli necessità dei miei fratelli.
  • Far crescere il corpo di Cristo. Aumentare la grazia della Pasqua: se do spazio a Cristo perché s’incarni in me, non solo rinasco come uomo nuovo, ma divento come Cristo. Divento Dio. Faccio mia la sua nascita, vita, morte e resurrezione.
  • Rinnegare l’empietà, consistente – secondo San Paolo – nell’ignorare Dio, nel vivere soltanto rivolti al presente senza sentire tutto il soave peso dell’eternità. Vivere da “adulteri”, cioè da persone che non pongono Dio al primo posto nella loro vita.
  • Rinascere in virtù di nuove certezze. Tra queste va considerato il fatto che Dio non ci salva togliendoci la fatica del vivere, ma garantendo che Egli cammina con noi, come con i due discepoli di Emmaus. Ci salva standoci accanto e dandoci la gioia di credere nelle sue promesse, che in noi creano vigilanza, attesa, apertura, speranza… tutte virtù che sfociano nell’amore misericordioso che Dio riversa su di noi e che noi condividiamo con i fratelli.

Questo quadruplice volto della grazia ci chiama a pensare come pensa Dio. Tutto il resto è empietà. Ci aiuta ad essere vigilanti, scommettendo su quell’eternità nella quale c’immerge ogni Eucaristia. Ci dà gioia nel mettere in pratica le opere di misericordia, convinti che quello che facciamo per l’ultimo dei nostri fratelli, lo facciamo a Dio stesso che in noi vive, ama e attende la pienezza dei tempi, quando finalmente vedremo faccia a faccia il Signore e saremo come Lui.

In quel giorno – scrive papa Francesco nella Bolla d’indizione dell’Anno Santo dedicato alla misericordia – «ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle».

Valentino