Ospitare i senzatetto

“Accogliere i pellegrini”. Questa la formulazione dell’opera di misericordia proposta nel passato dalla Chiesa. Papa Francesco parla di “Accoglienza dei forestieri”. Forse, la formulazione “Ospitare i senzatetto” può riassumere il volto materiale e spirituale di quest’opera di misericordia.

Non di rado ho trovato il tempo per farmi prossimo di chi ha bisogno. Ho scoperto che dietro le richieste materiali, dietro la domanda esplicita di un tetto fisico, c’è un’implicita supplica di trovare il tetto dell’affetto: l’accoglienza dell’altro nella nostra vita. Sedermi accanto ad un povero, anziché fargli una frettolosa elemosina. Fargli dono del mio tempo, ascoltarlo, parlargli dandogli la mano.

Non voglio certo banalizzare la drammaticità della richiesta di tanti profughi che sbarcano in Europa, soprattutto quelli che chiedono asilo politico. Non entro nello scottante dibattito attuale sugli sbarchi degli Africani sulle nostre coste. Mi limito ad analizzare il tema dell’accoglienza dei senzatetto in quegli elementi che possono servire a fare chiarezza, soprattutto riguardo a tante critiche rivolte ai cristiani e agli uomini di Chiesa, accusati di non volere farsi prossimo di quanti sono nel bisogno.

L’eroismo di tanti volontari. Spesso le braccia della Caritas italiana e di molte parrocchie, grazie alla disponibilità dei volontari, si sono aperte per accogliere tanti profughi che dall’Est o dall’Africa cercano rifugio nella nostra terra. Vengono accolti da persone prevalentemente povere, perché i poveri capiscono i poveri e tra di loro si aiutano.

Ho assistito, più volte, ad appassionate discussioni in case di religiosi che si ponevano il problema: «Possiamo offrire ospitalità in alcune delle stanze vuote della nostra casa?». La risposta era scontata: teoricamente possiamo, ma concretamente no.

I motivi ci sono. Alcune comunità sono composte di realtà differenti: curia generalizia, parrocchia, studentato teologico e suore. La presenza di stranieri romperebbe tutti gli equilibri. Inoltre non siamo preparati, né organizzati e varie strutture edilizie sono in cattivo stato. C’è anche da aggiungere che a volte la burocrazia interviene a complicare, e di molto, la situazione: ci sono religiosi che ospitano famiglie gratuitamente, e vengono denunciati perché l’impianto elettrico non è a norma, perché i bagni non sono sufficienti, perché non c’è l’uscita di sicurezza e altro ancora. E i poveri frati, oltre ai danni, subiscono le beffe: multe salate da pagare. Ci sono motivi validi, tessuti di prudenza, per non accogliere stranieri. Ma convinceranno anche il Signore, quando ci porrà le fatidiche domande: «Avevo fame, e tu?… Dov’eri tu?»?

Il “barbone” misogino. Una comunità di religiosi mi accoglie con lo scopo di farmi scrivere un libro sul fondatore. Questa comunità ospita, anche se con poco entusiasmo, un senzatetto. D’estate si accampa nel portico, d’inverno si sistema in una stanza del chiostro. È un tipo un po’ matto e un po’ misterioso, probabilmente venuto dall’India. Non vuol saperne di rivolgersi alla Caritas, dove troverebbe un ambiente più organizzato e più accogliente. La ragione di questo rifiuto sembra sia un odio viscerale verso le donne. Di fede e religione… non se ne parla neppure. Nelle notti d’estate si accomoda nell’atrio della chiesa, dove consuma il suo pasto con grande calma, profondamente immerso nella lettura di enormi libri di contenuto filosofico. Viaggia “armato” costantemente di un sorriso serafico, che depone alla minaccia di presenze femminili. Il suo misoginismo – a quanto pare – è una delle cause principali dei suoi diverbi violentissimi contro il muro della chiesa (o contro qualcuna delle colonne del porticato).

Una notte lo sento gridare più del solito. Lo accosto con l’intento di dirgli che, non avendo i tappi per le orecchie, non riesco a studiare, pregare, dormire. Temo di ricevere insulti, invece lo diverte il fatto che mi occorrano i tappi per le orecchie per non sentire i suoi versi, non propriamente poetici. Sentendo che sto girando il mondo, non vuole più lasciarmi andare. Mentre parla – in un inglese misto a spagnolo – mi domando come mai tanti religiosi, oltre alle difficoltà della vita in comune, debbano spesso essere circondati da “persone moleste”. Ma tutti sanno che una delle opere di misericordia spirituale consiste nel “Sopportare pazientemente le persone moleste”. E, tutto sommato, quel “barbone” ha anche degli sprazzi simpatici. Mi congeda dicendomi: «With you I feel at home (Con te mi sento a casa)».

Nell’emisfero dell’irragionevole. Forse anche i laici sperimentano le stesse difficoltà dei religiosi, quando si tratta di accogliere i senzatetto. Ci sono tante persone che sarebbero per natura accoglienti, ospitali e generose. Ma una accoglienza incondizionata e un’apertura indiscriminata, anche là dove e quando sarebbero possibili, creerebbero tanti problemi. I motivi per la cautela sono ragionevoli. Ma c’è da chiedersi: che scelta hanno fatto i religiosi, quando si sono consacrati a Dio? E ciò vale anche per i laici, quando hanno ricevuto la cresima. Non siamo tutti entrati nell’emisfero dell’irragionevole, là dove la ragione suprema è la volontà di Dio, i cui piani non sono i nostri piani?

È giusto chiedersi se il rifiuto di un’accoglienza più ampia, più coraggiosa corrisponda a difficoltà oggettive oppure ad esigenze di comodità, di quieto vivere, di difesa dei nostri piccoli paradisi borghesi, dove non vogliamo essere disturbati. Nella comunità o nella famiglia cerchiamo, spesso, ciò che ci fa comodo. Ancora una volta risultiamo bocciati all’esame sulla carità corporale, anche perché non prendiamo sul serio la sua dimensione spirituale: la radice dell’accoglienza sta nel nostro cuore, fatto per essere il tetto di quanti sono in ogni forma di bisogno.

L’ospitalità dell’altro nel nostro cuore è un bene inestimabile, un tetto vero, una “casa accogliente” anche se non ha pareti, né mobili, anche se non ha muri. La sua facciata è il volto di un amico che mi vuole bene. Lì posso ricuperare le energie, la fiducia in me stesso, il coraggio per ricominciare: questo è un tetto solido, che mi dà sufficiente serenità per riprendere il cammino, per cercare anche una casa in muratura.

Valentino