I comandamenti alla luce dell’amore

«Vedo il bene e lo approvo, e seguo il male». Il gemito del poeta Ovidio è risuonato nei secoli e ripreso da vari scrittori e poeti: «E veggio ‘l meglio et al peggior m’appiglio» (Petrarca). Anche San Paolo, scrivendo ai Romani, così si confessava: «Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» .

L’Apostolo scopre nelle sue membra una strana tendenza: ogni qual volta s’imbatte in un precetto o in un comandamento, la proibizione o il comando lo tentano ad agire in maniera opposta a quanto prescritto. Il male si serve della legge per portarlo alla trasgressione. Geme: «Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!». Quest’ultima frase va così interpretata: se sono da solo, se confido nelle mie forze sono uno sventurato. Ma rendo grazie a Dio perché capisco che solo con Lui la legge diventa sorgente di vita e quindi mi riscatta dalla morte spirituale, il peccato.

Per troppi secoli la morale si è basata sulla legge, sull’imperativo «Tu devi!». I comandamenti hanno senz’altro aiutato tanti credenti a vivere bene. E lo possono fare anche ai nostri giorni purché i cristiani capiscano bene il significato delle “Dieci Parole”, le leggano alla luce dell’amore e scoprano che esse vanno intese quale stimolo a dare il meglio di sé. A passare dal «Tu devi» al «Tu puoi».

Questo passaggio è stato suggerito nel 1957 da Bernhard Häring, nel libro accolto con entusiasmo in tutto il mondo: La Legge di Cristo. Grazie alla sua teologia, il Concilio Vaticano II ha prodotto stupendi documenti che additano la morale come scuola di libertà e fedeltà alla sequela di Gesù: «I discepoli e le discepole di Cristo», diceva il grande Redentorista, «devono essere resi felici e affascinati dalle beatitudini e dai comandamenti che indicano uno scopo per la vita. Essi devono in modo sempre nuovo essere incoraggiati a farsi entusiasmare da Cristo, la via, la verità, la vita».

Le Dieci Parole si amalgamano nella storia dell’umanità: la Parola si rivela e concretizza nella storia, negli avvenimenti di ogni giorno. Avvenimenti che il cristiano vede come segni di salvezza, illuminato dallo Spirito Santo, dalla Chiesa, da maestri di vita quali lo stesso Häring: «La mia governante è stata sempre la storia. Chi è affascinato dalla multiformità e dalla dinamica dell’intera storia dell’umanità, girerà sempre intorno alla domanda: come procedere?».

Procedere con la certezza che Dio, dandoci la sua legge, vuole il nostro bene, come dice papa Francesco: «…i Dieci Comandamenti vengono da un Dio che ci ha creati per amore, da un Dio che ha stretto un’alleanza con l’umanità, un Dio che vuole solo il bene dell’uomo. Diamo fiducia a Dio! Fidiamoci di Lui! […] Qui sta il cuore dei Dieci Comandamenti: l’Amore che viene da Dio e che dà senso alla vita, amore che ci fa vivere non da schiavi, ma da veri figli, amore che anima tutte le relazioni: con Dio, con noi stessi – spesso lo dimentichiamo – e con gli altri».

Un Amante più che un Legislatore. Una volta mia madre mi fece questa confidenza: «Mi sono confessata e ho detto al prete che mi sentivo in peccato perché non sapevo se amavo più Dio o i miei figli. E lui mi ha suggerito di amare il Signore amando voi». Saggia risposta, fonte di consolazione: siamo chiamati a trovare Dio in noi, nel nostro prossimo, facendo però attenzione al fatto che il Signore non fa sconti sulla perentorietà dell’obbligo di osservare i primi tre comandamenti. Questi potrebbero essere riassunti nell’immagine veterotestamentaria del “Dio geloso”: vale a dire, un Dio che non vuole essere messo al secondo posto nella nostra vita. Tanto è vero che il primo significato di “adulterio” per gli Ebrei è proprio questo: anteporre qualcuno a Dio.

Nel primo comandamento il Signore “si tradisce” dicendoci: «Io sono il Signore Dio tuo». Dimostra la sua debolezza rivelandosi come il “mio” Dio. Ci fa capire che parla per il nostro bene: ci ama. Ha bisogno di noi (si veda: Dio ha bisogno degli uomini, film del 1950 diretto da Jean Delannoy, tratto dal romanzo di Henri Queffélec). Vuole che siamo aggrappati a Lui che dà un senso alla vita, grazie al dono della libertà. Dà un nutrimento al nostro spirito, inondandolo del suo amore. Dà un impulso vitale alla nostra intelligenza, dilatandola verso l’Infinito.

Nel secondo comandamento ci dice di non abusare del nome di Dio. Non servirsene per i nostri interessi. Non essere pseudoinnocenti, cioè non servirsi del sacro per i benefici materiali che ne possono derivare. Dà pure un orientamento preciso alla nostra esistenza, invitandoci a non vanificarla, ma a renderla raggiante della sua presenza.

Nel terzo comandamento Dio eleva un inno al Creato e alla sua Creatura. Ci chiama a riposare, a consacrare un giorno al Signore – non solo partecipando all’eucaristia domenicale, ma consacrando a Lui tutta la giornata –, a far festa con i propri cari, godendo del creato, della vita, di relazioni sempre nuove.

Amare: unico comandamento. La prima tavola delle legge riguarda il nostro rapporto con Dio, che ci dà una legge di libertà e di gioia. Aggrappato a Lui il credente rompe le catene della schiavitù dell’Egitto, simbolo di ogni male. Giunge a quella libertà che pur sempre esige delle regole, perché la nostra gioia è legata alla propria realizzazione che si raggiunge creando armonia con se stessi, con il prossimo, con Dio.

La seconda tavola della legge prosegue nell’indicarci concretamente come realizzare il nostro amore con Dio, amando il prossimo: liberato dal male (l’idolatria del possesso, il fare del male al prossimo portandogli via la vita o la dignità di cui ha bisogno per vivere, o la moglie o la sua roba), il credente scopre la gioia di essere libero per: realizzarsi, servire Dio e il prossimo, scoprire la gioia di mettere in pratica le Beatitudini.

È proprio nel Discorso della montagna che Cristo ha ribadito il concetto che i comandamenti si riassumono nell’amore. Lì ci ha rivelato l’autentico volto del Padre: amore tenero, misericordioso e infinito. Amore divino e umano allo stesso tempo. Amore però estremamente esigente: non ammette le mezze misure, non permette di voltarsi indietro dopo aver posto mano all’aratro. Non permette neppure di andare prima a seppellire i propri morti: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».

Liberi da e liberi per, scopriamo la bellezza di essere liberi in Cristo: senza di Lui, dice San Paolo, la legge diventa una schiavitù, una maledizione. Con Lui «siamo stati liberati dalla legge, essendo morti a ciò che ci teneva prigionieri», grazie alla “nuova legge”: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri».

Valentino