Gioiosa corsa insieme a San Giovanni

Nella festa del discepolo amato. «Don, quali sono le tre frasi o immagini più belle del Vangelo di San Giovanni?». Così mi interpella un ragazzo di prima media. Lo guardo con commosso stupore, pensando che alla sua età io non desideravo altro che diventare prete, per… salvare il mondo (ora, vecchierello canuto, ma non ancora stanco, so che devo preoccuparmi di salvare me stesso). Gli chiedo se pure lui voglia diventare prete e mi sento rispondere: «Neanche morto!». La sua richiesta è legata al fatto che l’insegnante di lettere, in occasione della festa patronale, ha assegnato un tema sul quarto Vangelo, con un riferimento a un personaggio del nostro tempo.

Grazie a Dio ci sono ancora professoresse che credono nel Vangelo e ragazzini che mi offrono il privilegio di cogliere tre immagini del discepolo che Gesù amava: nell’Ultima Cena, Giovanni pone il suo capo sul petto di Cristo; corre al sepolcro per verificare quanto Maria di Magdala ha testimoniato; invecchiando, sente la strana diceria dei primi cristiani: «Il discepolo amato non morirà mai».
Le prime due immagini sono familiari al mio giovane interlocutore, la terza esige una spiegazione: Pietro e i suoi successori formano la gerarchia della Chiesa-istituzione. Giovanni crea la gerarchia dell’amore: “non muore” perché da lui prende inizio la schiera di quanti portano avanti nei secoli la persona stessa di Cristo e il suo messaggio d’amore.

«Posso allora parlare del Papa?», mi chiede quel ragazzino. Non so quello che egli dirà di papa Francesco. Per noi adulti, l’immagine del capo di Giovanni reclinato sul petto di Cristo ci sprona prendere sul serio le parole del Papa: «Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo!». Bisogno del «miracolo di quel bambino-sole che rischiara l’orizzonte sorgendo dall’alto. (…) Egli ha assunto la nostra fragilità, la nostra sofferenza, le nostre angosce, i nostri desideri e i nostri limiti. Il messaggio che tutti aspettavano, quello che tutti cercavano nel profondo della propria anima, non era altro che la tenerezza di Dio: Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza».

La corsa di Giovanni verso quella tomba vuota è un invito a vivere la gioia, magistralmente descritta nella lettera apostolica Evangelii Gaudium. Corsa gioiosa, che esprime l’entusiasmo che caratterizza la vita del credente, per il quale il dolore non è cancellato, ma assunto nel suo volto pedagogico: trampolino di lancio verso i valori essenziali, verso quella croce che profuma di Resurrezione, verso i fratelli ai quali si porta il lieto annunzio: «È risorto e vive in ciascuno di noi».

La corsa di Giovanni permette a papa Francesco di legare il Natale alla Pasqua, presentando la figura del santo celebrato il giorno dopo Natale: Stefano. «Nel clima gioioso del Natale, questa commemorazione potrebbe sembrare fuori luogo. Il Natale infatti è la festa della vita e ci infonde sentimenti di serenità e di pace; perché turbarne l’incanto col ricordo di una violenza così atroce? In realtà, nell’ottica della fede, la festa di santo Stefano è in piena sintonia col significato profondo del Natale. Nel martirio, infatti, la violenza è vinta dall’amore, la morte dalla vita. La Chiesa vede nel sacrificio dei martiri la loro “nascita al cielo”. (…) La liturgia ci riporta al senso autentico dell’Incarnazione, collegando Betlemme al Calvario e ricordandoci che la salvezza divina implica la lotta al peccato, passa attraverso la porta stretta della Croce».

Corsa verso una culla e verso una tomba vuota: questo l’ideale del cristiano che vive il Natale e la Pasqua – di Cristo e la sua – come nuova vita, passaggio di vita in vita, gioia dopo la sofferenza, premio per la tolleranza, pace, quiete e ristoro dopo la tempesta. Vive nello stupore per le meraviglie della creazione, sorride alla festa che ogni giorno celebriamo, non si volta indietro «perché l’ieri non c‘è più se non come briciola di lievito per il pane d’oggi». Sorride alla vita che avanza, sempre ricca di piccoli miracoli quotidiani, di sorprese e di novità. Sorride alla poesia che sgorga nel cuore grazie alla fede che si trasforma in speranza, gravida d’amore. Sorride ad ogni alba che viene perché sa che, aggrappati al Signore, ogni giorno è Natale, ogni giorno è Pasqua, e ogni giorno può celebrare il primo mattino del mondo.

Perché l’amore non muoia mai. La terza immagine significativa del Vangelo di Giovanni riguarda l’intuizione dei primi cristiani che l’apostolo amato non sarebbe mai morto. Muore chi non ama, chi perde l’entusiasmo della corsa, chi non pone il suo capo sul petto di Gesù, chi dimentica di essere diventato Cristo, in virtù del battesimo. E per farci vivere in pienezza la nostra esistenza – «io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» – papa Francesco sprona la Chiesa ad essere il meno possibile istituzione-gerarchia, per creare la gerarchia dell’amore, passando attraverso una continua purificazione. Lo chiede, senza mezzi termini, nell’udienza alla Curia Romana – in occasione della presentazione degli auguri per il Natale 2014 – quale sprone per tutti i cristiani a:

- Migliorarsi sempre e a crescere in comunione, santità e sapienza per realizzare pienamente la propria missione.
- Fuggire la tentazione di sentirsi immortali, di albergare in noi un cuore di pietra, di essere vittime dell’Alzheimer spirituale.
- Sentirsi un corpo complesso con diversi elementi, coordinati per un funzionamento esemplare, efficace nonostante la diversità dei membri.
- Evitare l’eccessiva operosità, l’immergersi nel lavoro trascurando “la parte migliore”: il sedersi ai piedi di Gesù. Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’”.
- Preparare tutto bene, «senza mai cadere nella tentazione (tolte virgolette)di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo, che rimane sempre più grande, più generosa di ogni umana pianificazione. (…) la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo… – addomesticare lo Spirito Santo! – …Egli è freschezza, fantasia, novità».
- Liberarsi dalla malattia della rivalità e della vanagloria, come afferma San Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri».
- Curarsi dalla malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi: «Di questa malattia ho già parlato tante volte ma mai abbastanza. È una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come Satana) e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle».
- Sforzarsi di essere cortesi, sereni, entusiasti e allegri, per trasmette gioia ovunque ci si trovi. «Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito!».
- Stare lontani dalla malattia dell’accumulare: «“Il sudario non ha tasche” e tutti i nostri tesori terreni – anche se sono regali – non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo. A queste persone il Signore ripete: “Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo”. L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il cammino inesorabilmente!».

Il cammino, anzi la corsa gioiosa richiesta dalla morale giovannea: corsa verso quel Cristo sul cui petto si trovano riposo e pace. Corsa verso un sepolcro vuoto e verso i fratelli per annunciare loro la Resurrezione. Corsa verso quella pienezza di vita che regala ai contemporanei la bella intuizione: «Il discepolo amato – ciascun credente – non morirà mai».

Valentino