Perché il litigio sia costruttivo

Primato della litigiosità? Da un ufficio stampa ricevo questo comunicato: «Mentre ci congratuliamo per il successo del suo libro: Il sorriso dell’ottavo giorno. Litigio e riconciliazione – esaurito in pochi giorni e subito messo in ristampa –, ci preoccupa supporre che al successo editoriale abbia contribuito il fatto che gli Italiani siano estremamente litigiosi. Mentre vivono nel benessere, non c’è nulla che li accontenti…».

Litigiosità, male che esplode soprattutto in famiglia, con tante conseguenze disastrose, a tutti note. Litigiosità legata, probabilmente, alle troppe aspettative nei confronti della vita, del partner e dei beni di consumo.

Moltissimi Africani – con tutti i loro problemi legati alla sopravvivenza, alle guerre e alle malattie – secondo dati statistici, sono capaci di godere molto di più la vita rispetto a noi. La maggior parte di chi sopravvive, grazie alla capacità di moderare le proprie aspettative e di trarre il massimo vantaggio da quanto la vita offre, dichiara di voler danzare la vita, «mangiandola tutta», per usare un’ espressione tipicamente africana. Quando c’è il cibo, si mangia a crepapelle. Quando non c’è, si prega il Signore invocando il dono di giorni migliori, mentre lo si ringrazia per aver dato all’essere umano uno stomaco che si dilata e si restringe a volontà e… secondo quanto la Provvidenza offre.

Ciò non significa che gli Africani siano privi del peccato originale: anch’essi sbagliano, perdono la pazienza, divorziano… Ma sono molto meno litigiosi di noi. Sanno sdrammatizzare e ridimensionare molte cose. Vivono, più o meno consciamente, quanto proclama la Bibbia: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo», ma «Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia».

Sani “litigi” per fare chiarezza. Per eliminare quella litigiosità che distrugge le relazioni e per valorizzare quella che serve a creare ponti, è innanzitutto necessario che una persona impari a litigare con se stessa per conoscersi, per fare ordine nella sua vita, per imparare l’arte di comunicare. A questo scopo mi sia permesso accennare ad alcuni punti che sviluppo nel citato libretto:

- Poiché lo Spirito Santo è Amore – e l’amore è un linguaggio che tutti capiscono – è opportuno invocarlo appena si avverte in noi il nascere di sentimenti che potrebbero portare al litigio.

- «Chi non ascolta diventa muto». Sordomuto. Magari fosse muto! Il guaio è che urla da pazzo chi non è capace di ascoltare le ragioni degli altri, chi non sa mettersi nei panni degli altri, chi pensa di capire al volo quanto l’altro stia cercando di dire o stia ancora cercando di formulare nella sua testa. E così prende inizio un monologo gridato alle stelle. Urla che distruggono l’“interlocutore”, ridotto a cestino dei rifiuti o a pungiball (sacco da boxe) per tutte le frustrazioni accumulate sul posto di lavoro o al bar, per la mancata considerazione degli amici.

- «Acqua in bocca». All’abbozzarsi dell’infuriata, diventa miracoloso un sorso di acqua in bocca. Quante volte ci siamo pentiti per la furia di rispondere e la fretta di rompere il silenzio! Silenzio che non è solo chiusura della labbra, ma dilatazione degli orizzonti e maestro di vita in quanto aiuta a conoscere se stessi, comprendere le ragioni degli altri, trovare il miglior mezzo per convertire in opportunità quanto al momento sembra pura crisi o addirittura una follia.

- La richiesta d’amore al di là dello sfogo. Io che, visceralmente, male sopporto chi alza la voce, vado ripetendo a tutti che bisogna andare oltre le grida del “contendente”, vedendo in esse un’implicita richiesta di attenzione e d’amore. Questo espediente può far scattare il sentimento della tenerezza, che disarma la propria aggressività e valorizza la muta invocazione di un supplemento d’affetto.

- «Rem tene, verba sequentur». Slogan ripetuto dagli antichi oratori romani: «Abbi un’idea, le parole verranno di conseguenza». Ma, per avere un’idea, occorrono concentrazione, pazienza, studio, esercizio per padroneggiare se stessi, per avere a cuore il rapporto con l’altro e per cogliere il meglio della vita.

Semi di saggezza. Alle precedenti indicazioni si possono aggiungere alcuni semi di saggezza per diventare sempre più esperti nell’arte del comunicare, sia nei momenti normali del vivere in società, sia nel rapporto con chi ha un atteggiamento aggressivo nei nostri confronti.

Attenzione ai primi venti secondi. L’accettazione o il rifiuto di una persona si gioca nei primi venti secondi. Se lo sguardo, la postura del corpo e il tono della voce sono “odiosi”, si va incontro al fallimento del rapporto. Lo sperimentiamo nello zapping: per molte persone il giudizio è formulato in meno di venti secondi. Se l’inizio di una discussione, di una conferenza, di una omelia, della risposta all’interrogazione – sia di un esame scolastico, sia del colloquio di lavoro – non è interessante, l’uditore “stacca la spina”, interrompe subito l’attenzione e difficilmente la ravviva in seguito.

Fiducia nelle proprie potenzialità. Chi parla trascinando la voce manda il chiaro messaggio di non avere fiducia in se stesso, di essere insicuro, di non credere in ciò che sta dicendo, di essere lì a “pescare nel vuoto”. Naturalmente non si possono vantare virtù o qualità che non si possiedono: prima o poi la maschera cade e che pena vedere il re nudo! Ma non si deve neppure cadere nell’estremo opposto: una persona deve sapere chi è ed essere fiera dei doni ricevuti, della sua unicità, dei miracoli che – con l’aiuto del Signore e grazie alla fede – può compiere. Spesso incoraggio chi mi accosta con l’invito: «Credi nei miracoli e falli capitare!».

Cercare sempre quella chiarezza che è la base e il presupposto di ogni comunicazione. A tale scopo occorre mandare messaggi precisi con un linguaggio che non gioca sulle contraddizioni dell’interlocutore o rischia di ferire l’altro. Non cercare mai di vincere, ma di convincere, cioè: vincere insieme. Quando si sbaglia, chiedere perdono. Fare in modo che le azioni rispecchino le parole (ad esempio, se dico: «Ti ascolto», non posso guardare lontano o, peggio ancora, seguire contemporaneamente un programma televisivo). Meglio ricorrere a un «no» deciso che a una vaga negazione. Non fare domande odiose (ad esempio, non chiedere: «Come mai la camera è in disordine?», ma affermare: «Metti in ordine la tua camera e… la tua vita»). Non dare mai nulla per scontato. Non pensare che l’altro abbia capito, per il semplice fatto che si sta assieme da tanto tempo. Sforzarsi di terminare sempre le frasi. Fare attenzione alle battute. Non criticare mai i genitori del partner…

Qui mi fermo perché, secondo l’arte del comunicare, ho già ecceduto nel numero dei suggerimenti, mentre anticipatamente ringrazio quanti mi faranno dono delle loro critiche sia per correggermi, sia per evitare che suggerisca ad altri quanto non serve per trasformare il litigio in un momento di grazia.

Valentino