Diventare belli nel Bellissimo

La sfida. Colline dolcemente digradanti verso il mare, un raggio di sole dopo tanta pioggia, un piacevole venticello… Ed ecco quattro ragazze sedute sul muretto dell’antico convento dei Cappuccini, ora trasformato in un monastero di recente fondazione, dove una dozzina di giovani monache spendono la vita alla ricerca del Bellissimo. Ho appena terminato la conferenza e mi voglio preparare per il prossimo incontro, ma sono troppo belle quelle ragazze per poterle ignorare. Hanno tutte la stessa età e un volto pulito. Non hanno in mano il cellulare. E il loro sguardo non finge indifferenza.

«Avete un bel volto – dico loro –. E mi piacerebbe sapere se in voi alberghino cromosomi cristiani». Forse, se non fossi stato vestito da prete, non mi avrebbero risposto. Ma il clergyman, la croce, i capelli bianchi, la chiesa dalla quale ero uscito… tutto le ha incoraggiate a fidarsi e a iniziare il dialogo.

Due studentesse dell’ultimo anno del liceo scientifico e due di ragioneria. Una ha la nonna che ascolta tutto il giorno “Radio Maria”. Un’altra ha la mamma catechista. La terza ha il papà che va a Lourdes come volontario per accompagnare gli ammalati. Solo la quarta dice di avere una famiglia normale…

Cromosomi cristiani? Una cita Benedetto Croce: «Perché non possiamo non dirci cristiani». Un’altra frequenta la chiesa saltuariamente, ma non tralascia mai le preghiere alla sera. La terza ha incontrato un bravo prete che la sta aiutando a ritornare al Signore. Quella della famiglia normale dice che se incontrasse un santo, non esiterebbe a seguirlo. Che botta per chi si ritiene santo!

Vogliono sapere qualche cosa della mia vita. Le affascina il fatto che sia missionario, perché «i missionari hanno una marcia in più dei preti», dice la figlia della catechista. E tutte affermano che farebbero volentieri un’esperienza in Africa, per aiutare chi muore di fame e «per far giocare quei bambini che si vedono sempre con bellissimi sorrisi, nelle foto dei nostri rotocalchi».

Dopo queste premesse, ecco la mia proposta: «Ragazze, ho bisogno di voi. Tra un’ora le monache drammatizzeranno una mia via crucis, nella quale quindici personaggi si presentano dicendo: “Il mio nome è…”, e raccontano come hanno incontrato Gesù, come l’hanno amato o tradito… Mi occorrono quattro persone che facciano il coro, interpellando i personaggi, così che le suore restino più libere di cantare. Ho bisogno di voi anche per avere un giudizio sul testo, prima di pubblicarlo». Una ragazza risponde entusiasta. Tutte le altre la seguono.

Terminata la sacra rappresentazione, vado a raccogliere le loro impressioni. Una ha le lacrime agli occhi. L’altra mi chiede se possa portare a casa il testo, fotocopiarlo e drammatizzarlo nella sua parrocchia. Una mi dice che il testo è bello, ma andrebbero tolti i silenzi e ridotti i canti, altrimenti sarebbe un po’ troppo lungo per la gente che va in chiesa guardando l’orologio. L’ultima, quella della famiglia normale, mi chiede se possa abbracciarmi.

Alla luce dell’Evangelii gaudium. Avevo ricevuto una critica, qualche giorno prima, quando avevo terminato una conferenza affermando che tutto quello che è meno dell’Infinito non mi interessa: «Con questo atteggiamento – disse un partecipante – lei diminuisce e forse anche disprezza ciò che è umano». Opposta è la mia convinzione: ciò che rende sublime l’essere umano è l’Infinito che lo abita e il mio accostarmi alle persone per far emergere l’Infinito, lungi dal diminuirle, le valorizza al massino.

La controprova l’ho avuta proprio dall’incontro con queste quattro ragazze. Non ho usato mezzi termini. Non ho tergiversato. Sono andato direttamente al centro delle loro coscienze, assetate d’Infinito, oltre che gratificate da quei complimenti dei quali tutti abbiamo bisogno o che, per lo meno, non fanno male a nessuno.

Spontaneamente, senza pensarci troppo, ho messo in pratica ciò che papa Francesco suggerisce nella sua Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, che sintetizzo nei punti seguenti.

- Portare agli altri senza mezzi termini l’amore di Gesù, in uno stato di missione permanente, vincendo il grande rischio del mondo attuale: quello di cadere in una tristezza individualista.
- Tornare alla freschezza originale del Vangelo, trovando nuove strade e metodi creativi, non imprigionando Gesù nei nostri schemi monotoni. Nuove strade, nuove proposte, nuovo entusiasmo.
- Non essere ingessati in un ritualismo che guarda solo al passato e adora ceneri, anziché attizzare nuovo fuoco.
- Non fare proselitismo, ma affascinare con la propria gioia.
- Evangelizzare con i propri comportamenti, improntati ad anticipi di fiducia e coraggio nelle proposte: non stare fermi per evitare sbagli, perché è meglio una Chiesa «ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti».
- Essere preoccupati non delle strutture, ma che tanti fratelli vivano senza l’amicizia di Dio.
- Allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa, in particolare nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti.

Come un testamento. L’Evangelii gaudium è stata troppo elogiata appena pubblicata e poi messa subito nel cassetto. D’accordo: la Chiesa sta producendo troppi documenti. Si scrive troppo (e io contribuisco non poco a peggiorare la situazione…). Si legge troppo poco. L’inflazione dei testi ne indebolisce la forza. Che cosa leggere? A che cosa dare la precedenza? Che forza può avere uno scritto come quello di papa Francesco, che profuma di Vangelo e difficilmente si presta a essere riproposto in modo sistematico, come era un piacere fare con i documenti di Benedetto XVI?

L’esortazione apostolica di papa Francesco può essere classificata nel genere letterario del testamento, un’eredità che il padre lascia ai figli. Eredità innanzitutto spirituale: il Papa, all’inizio del suo pontificato ha voluto dare il meglio di sé, abbozzando le linee guida del suo cammino che vuole compiere con tutta l’umanità. Ma, come per i testamenti normali spesso i figli litigano, per interpretare a proprio vantaggio le ultime decisioni del padre, così per questo testamento spirituale è opportuno che i cristiani litighino, se ciò serve a fare chiarezza. Meglio litigare che mettere nel cassetto.

Questa esortazione apostolica non è troppo bella per essere vera. Ci dà un metodo. Ci presenta un ideale. Ci sprona ad essere creativi. Mi sprona ancora di più a ripetere a tutti quelli che incontro, con spirito provocatorio: «Tutto quello che è meno dell’Infinito non mi interessa», per stimolare tutti a passare dalla loro effimera bellezza, alla Bellezza che non ha confini, non conosce tramonto e costituisce il termine gioioso per cui siamo stati creati: diventare sempre più belli nel Bellissimo.

Valentino