Famiglia, speranza e futuro per la società

“L’uomo, non il matrimonio è in crisi”. Questo era il titolo di un articolo che scrissi poco più di due anni fa, con lo scopo di mettere in luce che il matrimonio deve essere visto come un percorso, una costruzione, un progetto comune e che la crisi di quel momento poteva diventare una opportunità di purificazione e uno stimolo ad essere seri nella formazione integrale della persona. Invitavo a non parlare di crisi dell’istituto matrimoniale, ma di crisi dell’uomo: crisi antropologica, mancanza di punti di riferimento, mancanza di fede nei valori.

Sociologi e teologi, attualmente – oltre a ribadire queste idee – parlano apertamente di crisi del matrimonio, accentuandone la sua drammaticità: Il momento attuale – si legge nel documento finale della XLVII Settimana Sociale dei Cattolici italiani (2014) – «non è un momento normale, né per la vita del Paese né per la vita della Chiesa né in particolare per la vita delle famiglie». È in atto una crisi sociale e civile che ci riporta alla memoria «la situazione dell’Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale».

Si parla di una realtà «durissima, sconosciuta e imprevista». Chi ha stilato il documento afferma: «Non abbiamo paura di chi pone il problema della identità e del ruolo pubblico della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna». Il vero pericolo è rappresentato da «chi vuole imporre una soluzione evitando che la questione sia pubblicamente discussa e che le alternative in gioco e le loro principali implicazioni appaiano per quello che sono». C’è da aver timore soprattutto di chi «minimizza la scala dei problemi che coinvolgono la famiglia e anche di chi strumentalizza le questioni familiari riducendole a bandiera ideologica».
Convinzione comune dei partecipanti al convegno: se la politica non va incontro alla famiglia, è inevitabile che «la famiglia divenga anche e immediatamente questione politica, con ricadute economiche di non poco conto».

In nome del bene comune è «necessario e urgentissimo» diminuire la pressione fiscale e attuare cambiamenti «in modo da riconoscere lo specifico e costoso contributo che l’istituto familiare fornisce alla collettività».

“La famiglia fa differenza”. Si sottolinea la differenza fondamentale tra una società aperta alla relazione plurale e una società chiusa in un individualismo autosufficiente. Si mette in evidenza quanto sia deleteria la crisi dei valori, senza dei quali nulla più tiene.

Angoscianti sono molte affermazioni diffuse dai mass media che non fanno altro che riportare notizie negative, senza avere il coraggio di dire che siamo arrivati a questa situazione proprio perché si fa sempre meno riferimento all’etica; si ha paura a parlare di morale, onde evitare di essere giudicati bigotti; si fa appello al “politicamente corretto”: espressione contraddittoria, citata per giustificare l’ingiustificabile e per affermare tutto e il contrario di tutto.

La crisi sarà destinata a peggiorare se sbagliamo nel fare analisi, se non cogliamo l’essenziale del vivere umano e se perdiamo quel riferimento alla Verità e a Dio, senza del quale la società non ha basi su cui costruire l’armonia del tutto.

Sant’Agostino, nel De civitate Dei, parla di due città: «…l’una è formata di uomini che vogliono vivere secondo la carne, l’altra di quelli che vogliono vivere secondo lo spirito […] Due amori hanno quindi costruito due città: l’amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio ha costruito la città terrena, l’amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé la città celeste. In ultima analisi, quella trova la gloria in se stessa, questa nel Signore. Quella cerca la gloria tra gli uomini, per questa la gloria più grande è Dio, testimone della coscienza».

La città terrena che si erge a legge di se stessa è destinata al fallimento, perché il peccato originale – indipendentemente da quello che insegna la Chiesa – è la realtà più tristemente sperimentabile da tutti, come affermava San Paolo: confessava di vedere il bene, di approvarlo, ma poi di seguire l’inclinazione al male, di vivere secondo la carne anziché secondo lo spirito.

Su questo tema ricorre di frequente papa Francesco, scandendo un principio: «Tutto si tiene insieme». Principio spiegato dal sottosegretario della CEI, Domenico Pompili: «Non si può parlare di famiglia semplicemente a partire da una descrizione astratta e avulsa dal contesto storico-sociale, ma neanche lasciarsi schiacciare solo sui presunti dati di fatto, a cui sarebbe giocoforza conformarsi».

Convinto che «tutto si tiene insieme», papa Francesco, in un incontro con il presidente Napolitano, ha indicato il cammino obbligatorio per uscire dall’attuale crisi: «Al centro delle speranze e delle difficoltà sociali c’è la famiglia. Con rinnovata convinzione, la Chiesa continua a promuovere l’impegno di tutti, singoli e istituzioni, per il sostegno alla famiglia, che è il luogo primario in cui si forma e cresce l’essere umano, in cui si apprendono i valori e gli esempi che li rendono credibili. La famiglia ha bisogno della stabilità e riconoscibilità̀ dei legami reciproci, per dispiegare pienamente il suo insostituibile compito e realizzare la sua missione. Mentre mette a disposizione della società̀ le sue energie, essa chiede di essere apprezzata, valorizzata e tutelata».

Proposte. I cattolici riuniti a Torino per la Settimana Sociale hanno insistito soprattutto sull’urgenza di affrontare la crisi attuale della famiglia con almeno tre punti fissi: riconoscere all’istituto familiare un ruolo pubblico, dando a quest’ultimo aggettivo un significato più ampio di statale; invertire la tendenza di uno stato sociale senza sussidiarietà, di uno stato che, dovendo compiere tagli profondi e dolorosissimi, non abbia come priorità la famiglia; ridare spessore alla libertà educativa in modo che alle famiglie sia data la possibilità di una nuova e concorrente offerta scolastica senza sostenere per questo carichi ingiusti e insopportabili.

Si impegnerà ad attualizzare queste proposte, a vantaggio personale e comunitario, chi ha il dono della fede. Di quella fede che fa sperimentare al credente la verità dell’affermazione di papa Francesco: «Con Dio nulla si perde, ma senza di Lui tutto è perduto». Con Dio si raggiungono vette sublimi, là dove chiama e conduce la fede.

Queste idee sono espresse nel sesto paragrafo del citato documento della Settimana Sociale: «Chi crede in Gesù si è affidato all’amore di cui lui è il sacramento […] Quando la convivenza umana si incrina per fallimenti e ingiustizie, quest’amore ci aiuta a non disperare, a guardare verso il futuro; nei momenti in cui la nostra vita cristiana attraversa difficoltà e cadute questo stesso amore ci spinge a tornare alla radice. Lo stesso amore le illumina e ci consente di viverle. Questo amore si fa Vangelo: annunzio buono ed efficace di una vittoria già irreversibile anche se non ancora portata a termine. […]

È un amore che rende più liberi e più forti, svela una dignità, purifica, chiama alla continua conversione e alla responsabilità […]

La Chiesa non è il perimetro o peggio il confine di questo amore, bensì è il luogo in cui è custodito e offerto il nome più vero dell’amore e alla cui fonte inesauribile è sempre possibile tornare nuovamente».

Ecco il grande contributo che la Chiesa offre alla società per risolvere la crisi della famiglia, presentata come il luogo dove l’amore è custodito, offerto e reso fecondo. Un amore che dona e che perdona.

I credenti sono chiamati a una vita cristiana che – come disse Paolo VI – «deve aprirsi più ai suoi motivi soprannaturali che a quelli naturali». La fede li aiuterà a rinnovare la società e ad essere rivoluzionari, perché – dice ancora papa Francesco – «siamo stati rivoluzionati dalla iniziativa della grazia e della misericordia».

Valentino