Permanente formazione all'amore

Dal «quanto?» al «perché?». Invitato a presentare il libro Respirare l’amore, suggerisco che al mio arrivo si premetta la lettura dell’Esortazione Apostolica Familiaris consortio, scritta nel 1981 da Giovanni Paolo II. Prima di iniziare la conferenza, gli adulti fanno una risonanza di quanto hanno colto come rilevante dallo scritto papale, mentre i giovani mi pongono alcune domande.

Tra le affermazioni più significative messe in rilievo:
«La Verità non sempre coincide con l’opinione della maggioranza».
«Dio dà la vocazione all’uomo e alla donna di camminare nell’amore, di essere responsabili e creare una comunione profonda, per tutta la vita».
«La fedeltà non mortifica la libertà della persona, anzi la libera dal soggettivismo e dal relativismo».
«Il matrimonio è grazia e vocazione, rafforzamento del dono ricevuto nel battesimo».
«Alla famiglia è richiesta una continua conversione, fatta di piccoli passi, per superare la crescente crisi di identità di questo istituto tanto importante per il bene personale e collettivo».
«I coniugi cristiani sono chiamati ad illuminare ed ordinare le realtà temporali secondo il disegno del Vangelo».
«L’amore coniugale è servizio alla vita e diventa fecondo quando i genitori danno ai propri figli – o a chi viene adottato – uno scopo per vivere la loro esistenza in maniera bella e dignitosa».

Tra le domande più ricorrenti dei giovani: «Perché la Chiesa chiama peccato ciò che per noi è cosa bella e utile per rafforzare il vincolo tra i fidanzati?». «Perché la convivenza è guardata con sospetto, anziché essere vista come un tempo di verifica e di preparazione al matrimonio?».
«Perché si parla di paternità responsabile e poi non si approvano i contraccettivi?».

È interessante notare come, nel giro di pochi anni, ci sia stato un radicale cambio generazionale nella valutazione di ciò che è bene o male: prima gli adulti chiedevano al confessore quanto grave fosse il loro peccato, legato al sesto o al nono comandamento; ora i giovani – e con loro molti adulti – si chiedono perché la Chiesa giudichi peccato quanto per essi è una cosa buona.

Seguendo il metodo di papa Francesco, il conferenziere e il confessore non dovrebbero dare “rispostine” prefabbricate sulla bontà o malvagità di una azione, ma – attraverso una serie di domande – dovrebbero mettere gli uditori o i penitenti nelle condizioni di trovare la risposta moralmente giusta ai loro problemi. Questo modo di procedere non fa cadere nel relativismo, purché chi l’adotta si preoccupi di formare le coscienze alla vita, all’amore, al matrimonio.

Matrimonio e famiglia nel piano di Dio”. Un commento interessante alla Familiaris Consortio fu scritto dall’allora cardinale Joseph Ratzinger. Di questo testo, vale la pena mettere in evidenza ciò che può servire a sottolineare l’urgenza di una formazione permanente ai valori umani e cristiani della famiglia.

Quando una persona rivela ad un’altra di amarla, vuol dire che è disposta a darle il meglio di sé. Ma subito si pone il problema: se io non mi conosco, se non mi possiedo, posso dire di amare? Posso illudermi di essere un dono? Per questo, il futuro papa Benedetto XVI scriveva: «…la questione del giusto rapporto tra uomo e donna, che abbraccia nello stesso tempo il tema della famiglia, affonda le sue radici fin dentro l’essenza più profonda dell’uomo e può avere una risposta solo da qui. Non può essere scissa dall’antico quesito dell’uomo su se stesso: Chi sono? Cosa è l’uomo? Questo quesito a sua volta […] non può essere scisso dal problema di Dio. Esiste Dio o non esiste? Chi è Dio?».

Il credente, nel dare le sue risposte, non può prescindere dalla rivelazione biblica: «La risposta della Bibbia al quesito sull’uomo, partendo dal quale il Papa sviluppa la sua visione, associa la teologia e l’antropologia nell’affermazione: L’uomo è l’immagine di Dio. […] La vocazione all’amore è ciò che fa dell’uomo essenzialmente l’immagine di Dio. Egli è immagine di Dio nella misura in cui può amare; diventa simile a Dio nella misura in cui diventa qualcuno che ama».

L’amore umano si esprime nella totalità del dono che coinvolge corpo e spirito. «L’esortazione apostolica designa l’uomo come spirito nella carne, ossia: come anima che si esprime nel corpo, e come corpo che è vivificato da uno spirito immortale». Il corpo ha quindi «un carattere teologico: Il dominio dello spirito e della ragione sulla materialità determina non una svalutazione della materia ma conferisce ad entrambe un significato positivo e rappresenta una vera promozione anche del corpo. […]

Dalle due connessioni – Dio e l’uomo, corpo e spirito nell’unità della persona – scaturisce una terza connessione in maniera perfettamente logica, quella tra persona e istituzione. La totalità dell’uomo include la dimensione del tempo. D’altra parte il “sì” di un uomo è contemporaneamente un andare oltre il suo tempo. Nella sua interezza, il “sì” significa: sempre. Costituisce lo spazio della fedeltà. Solo in esso può crescere quella fede che dà un futuro e fa sì che i figli, frutto dell’amore, credano nell’uomo. La libertà del “sì” diventa qui percettibile come libertà di fronte al definitivo. La possibilità massima della libertà non è il piacere ininterrotto, che è nello stesso tempo assenza di decisione; la libertà appare come capacità di volgersi alla verità, e solo allora ha un senso. È dunque capacità di volgersi al definitivo, capacità di decisione, che dona se stessa e solo nel donarsi si ritrova».

In base a queste riflessioni, Ratzinger concludeva il suo intervento citando questo passaggio della Familiaris consortio: «Così i coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre».

Formazione, discernimento, confronto. Data per scontata l’idea che la prima, fondamentale formazione all’amore avviene in una famiglia in cui si respirano valori umani e divini – l’amore si apprende per con naturalità –, tutta la vita poi deve essere caratterizzata da una continua crescita nell’amore. I dettami della morale cristiana, riassunti nel Discorso della montagna, si perseguono non quando si è pronti, ma quando si è chiamati. E Dio chiama sempre, e tutti, al raggiungimento dell’ideale di essere misericordiosi e perfetti come il Padre che è nei cieli.
Di fronte alla continua chiamata del Signore, il credente deve fare un discernimento, per poter scegliere il meglio di ogni situazione. Discernimento che va compiuto con l’aiuto della Parola, con la guida di un maestro di vita, con il confronto con la comunità.
Chiamata e discernimento sono finalizzati alla quotidiana conversione, al continuo cambiamento, al nostro impegno di testimoniare agli altri il privilegio di avere una fede, di essere cresciuti nell’amore e di voler vivere il nostro battesimo che ci fa profeti, sacerdoti, re e missionari.
La formazione implica una costante revisione della nostra vita, un rinnovamento nell’agire, uno stimolo a trovare parole e gesti giusti per dare gloria al Signore e per farlo conoscere e amare sempre di più, con quella saggezza e fortezza che sono tipiche di chi “non si adatta allo stile del mondo” (vedi Romani 12,2) di chi non si rassegna davanti alle crisi e di chi ascolta l’imperativo dell’apostolo Pietro: «…adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza…» (1 Pt 3,15-16).

Valentino