Solo Dio basta

Aveva un nome stranissimo e complicato nella sua lingua materna, l’olandese. Lo cambiò allorché fece il voto di consacrarsi completamente al Signore. Un nome che non vuole rendere pubblico, per poter restare in quel silenzio che è il guardiano della sua anima.
Fin da piccolo desiderava mortificare il corpo con digiuni e penitenze, per non perdere tempo in cose materiali, ma potersi dedicare alla ricerca di Dio, convinto che Lui solo potesse bastare a riempire la sua vita. Finito il liceo, chiese di essere accolto dai Padri Bianchi per essere missionario, ma subito si rivelò un contemplativo, con una vocazione a vivere solo e dedicato tutto a Dio. Entrò in un convento di Certosini, ma la vita che i monaci conducevano non gli sembrava sufficientemente rigida e coerente. Mise alla prova la sua vocazione presso i Benedettini, ma neppure qui trovò l’agognata pace.
C’era in lui quell’irrequietezza che caratterizzò la vita di San Joseph Labre – il vagabondo di Dio – monaco francese che morì di stenti a trentacinque anni, per strada, mentre andava alla ricerca dell’ennesimo convento e di quella povertà che è la condizione per poter diventare santi.
Poiché nessun convento soddisfaceva il giovane olandese, ricercatore del Silenzio, che cosa avrebbe potuto fare se non l’eremita? Eremita peregrinando, dipendendo dalla carità e dalla Provvidenza, grato al Signore di poter vivere sempre in cammino, pregando. Si fece ordinare sacerdote, non per esercitare un ministero pastorale a favore di una comunità, ma per poter celebrare l’eucaristia, bene supremo per un credente. E per cinque anni visse in Palestina, per essere il più vicino possibile allo stile di vita condotto da Gesù, nella sua stessa terra, senza neppure un sasso su cui posare il capo, convinto che Colui che nutre gli uccelli del cielo si prende cura di chi si rivolge a Dio chiamandolo “Papà”.
Di terra in terra. Quando le persone cominciavano a recarsi in numero eccessivo al suo eremo – là dove di volta in volta si stabiliva – per un po’ le ascoltava e le confessava, poi cambiava zona, perché sentiva il bisogno di restare solo con Signore. Era una sofferenza per lui predicare, perché le parole non esprimevano mai quello che egli percepiva del Creatore, del Salvatore, dello Spirito d’Amore. Dio: l’Oltre. L’Al di là di tutte le nostre parole. Colui che è presente e dà un senso al vivere. Lui solo può dare riposo alla mente, stanca di ascoltare quello che altri dicono di Lui. È necessario, allora, calmare il pensiero, il ragionamento per entrare in quel Silenzio che è Dio stesso; per ascoltare quello che Egli ha da dire a ognuno di noi, personalmente: il Signore, infatti, uguale e “diverso” per ogni singola persona, vuole rivelarsi a ciascuno nel modo unico e irripetibile, confacente alla vocazione di ogni individuo.
…Venticinque anni di studio e sessanta di silenzio. Silenzio rotto con un sorriso quando gli chiesi di ascoltare la mia confessione. L’eremita quel giorno aveva voglia di parlare: capita ogni tanto anche ai silenziosi cercatori di Dio… Parlò a lungo e il giorno dopo mi mandò a chiamare per specificare alcune idee, temendo di essere stato troppo critico.
E la sua critica più pesante riguardava la Chiesa, che egli vedeva troppo preoccupata a salvare se stessa, più che a cercare il Regno di Dio. Una Chiesa che parla della povertà senza essere povera. Perché per ogni cristiano, ma soprattutto per il ministro di Dio, è indispensabile vivere come Cristo, non avere certezze materiali, non essere preoccupato di ciò che deve fare, degli organigrammi e di tutto ciò che solitamente ci si aspetta da una istituzione. Tante cose le possono fare i laici. Il prete deve pregare, celebrare bene l’eucaristia, essere disposto a confessare i fedeli. Tocca a lui discernere i carismi dei laici e spronarli a vivere il loro battesimo che li ha resi “profeti, sacerdoti, re” e missionari.
Il prete, per quell’eremita, deve avere una vita sobria, essere credibile, fare proprio il Discorso della montagna. Deve avere Cristo, e Lui solo, come sua norma. Deve essere staccato dai beni terreni, dal suo nome, da tutti quei legami che lo disturbano, lo distraggono, gli impediscono di essere tutto di Cristo.
Ed ecco allora la necessità di guardare a San Francesco, “uomo cristianissimo”. Uomo del suo tempo, per cui non è imitabile in tutto: pure papa Francesco non può vivere come il poverello di Assisi. Uomo il più possibile vicino a Cristo, che nella sua umanità ci ha dato l’esempio concreto per aderire al progetto del Padre: il progetto originario di Dio sull’uomo, che Egli creò a sua immagine e somiglianza.
Quale messaggio egli, eremita, avrebbe potuto dare ai cristiani? Alla mia domanda, la risposta fu categorica: «Non lo so. Non mi preoccupo di predicare, ma di vivere con naturalezza. Guardo a Cristo. Vorrei diventare sempre più simile a Lui. Non mi aspetto nulla… Non so che cosa veda in me la gente. Forse mi cerca perché non sono nulla: né parroco, né vescovo… Sono solo un uomo. Un uomo di fede».
Eppure tutto in lui è messaggio: il suo sguardo continuamente rivolto al cielo, il sorriso che comunica pace, quei capelli lunghi e quella barba bianca, il rimando alla radicalità, alla povertà, al bisogno di vivere cercando soltanto la volontà del Signore, come ha fatto la Madonna. E la coscienza di essere solo un uomo, proprio come dice la canzone: «Io lo so, Signore, che vengo da lontano; prima nel pensiero e poi nella tua mano.
Io mi rendo conto che Tu sei la mia vita e non mi sembra vero di pregarti così: “Padre di ogni uomo” e non ti ho visto mai; “Spirito di vita” e nacqui da una donna. “Figlio mio fratello” e sono solo un uomo…».
Concepiti per espressa volontà di Dio, grazie ad un atto d’amore, la nostra pace si trova solo in Lui. Noi tutti siamo parte di Dio e la parte non può soddisfare questo inquieto cuore, assetato del Tutto. Siamo limitati e ci purifichiamo continuamente, grazie allo Spirito Santo che in noi grida: «Abba, Papà». Il nostro peccato consiste nel non riconoscere la nostra totale dipendenza da Dio. La nostra grandezza è riposare in Lui, vivere concentrati sull’essenziale: conformarci a Cristo. Vivere invocando il nome santo del Signore. Sentirlo presente. E questo è già un anticipo di paradiso; è la pace di chi può ripetere, con Santa Teresa d’Avila: «Solo Dio basta».

Valentino