Il liberante incontro col Signore

“Liberi e fedeli in Cristo”. Questo il titolo dei ponderosi e innovatori volumi scritti da Bernhard Häring per aggiornare la morale cattolica alla luce del Concilio Vaticano II. Aggiornamento che prende le mosse dalla definizione della morale che egli stesso, come perito del Concilio, era riuscito a far approvare da tutti i vescovi e che si trova al n. 16 del decreto“Optatam totius”. Le idee del grande teologo tedesco si mostrano vere, attuali e “nuove” nella vita e nell’insegnamento di papa Francesco che – grazie alla sua grande fede, basata sul quotidiano incontro con il Signore – percepisce bene le sfide del suo pontificato: aiutare la gente a fare di Cristo il centro della propria vita; colmare il «ritardo dei duecento anni» della Chiesa messo in evidenza dal cardinale Martini; lavorare per l’unità della Chiesa; mettere a fuoco il rapporto stato-Chiesa; non legare il ministero petrino alla sua persona (seguendo le orme di Benedetto XVI: le dimissioni…); chiarire il rapporto tra verità e storia, evitando di ricorrere a giudizi e condanne, mettendo in evidenza che tutti siamo in cammino verso la verità che libera.

Libero e fedele in Cristo è papa Francesco nello scoprire giorno dopo giorno la sua identità, nel sentirsi un peccatore amato da Dio. E si definisce tale, non perché – in quanto gesuita – lo deve ammettere, secondo le norme della Costituzione della Compagnia di Gesù, ma perché egli non esita ad affermare: «Io sono un peccatore». E lo dice con spontaneità, con una grande serenità interiore. Cosciente delle aspettative che il mondo ha nei suoi confronti, non sottovaluta i suoi limiti, non ignora le reazioni contro di lui e le opposizioni di quanti lo giudicano uno sprovveduto che mette a rischio il concetto stesso del papato. Sa che le opposizioni sono inevitabili.

Già Giovanni XXIII diceva che, quando una persona si presenta a fare un discorso in pubblico, se le va bene, deve aspettarsi che il cinquanta per cento sia con lei e l’altro cinquanta per cento contro di lei. Papa Francesco di ciò è più che cosciente, ciò nonostante dimostra un’invidiabile pace interiore, tipica di un uomo libero e perciò liberante. È libero rispetto al ruolo.Ha una grande capacità di reinventarlo. Ha il dono di cambiare tante cose, perché la libertà dei figli di Di o è creatrice, rinnovatrice, feconda. Fecondità, nel caso di papa Francesco, legata al passaggio dalla figura sacrale del papa, alla giusta sua richiesta di essere considerato una persona normale, bisognosa degli altri per essere se stessa, alla ricerca di contatti umani: «Io non vivo nell’appartamento apostolico per motivi psichiatrici».

Normale, allora, il passaggio dalla struttura alla persona;dalla gerarchia ecclesiastica al popolo di Dio; dalla teologia che cerca solo la verità astratta, alla teologia dal volto umano o quella che potrebbe essere chiamata una “teologia narrativa”. Una teologia che racconta lemeraviglie operate da Dio tra i credenti che godono delloSpirito Santo, a tutti dato nel battesimo e confermato attraverso gli altri sacramenti. E se lo Spirito è dato in dono a tutta la Chiesa, al papa incombe l’obbligo di ascoltare tutti, imparare da tutti, non bloccare lo Spirito Santo che opera nella storia, negli avvenimenti, per cui: «Se domani venisse una spedizione di marziani […] E uno dicesse: ”Ma, io voglio il Battesimo!” […] Chi sono io per porre impedimenti?».

Nella Chiesa «ospedale da campo», ferita da tanti peccati, c’è un posto per tutti. Se la Chiesa fosse solo per i perfetti, non sarebbe per me. Ma essendo ciò che è, diventa il luogo adatto per liberare tutti coloro che hanno sperimentato questa verità: santi non sono coloro che non peccano, ma coloro che tornano ogni giorno da capo.

L’umanità è ferita, vive in un campo di battaglia dopo la sconfitta, dice papa Francesco che non si scandalizza per questa situazione, ma se ne serve per invitare tutti a diventare “buoni samaritani”, a liberarsi e liberare i fratelli piegandosi sulle loro ferite, curandole, pagandogli “albergatori” disposti a collaborare per la comune salvezza. Anche se non è esclusivo compito della Chiesa curare gli ammalati, il cristiano non può ignorare il fatto che il ministero di Gesù è iniziato – dopo la preghiera – con la cura dei corpi dei lebbrosi, dei paralitici, dei ciechi… Al Padre va dato il primo postonell’amore, ma contemporaneamente il credente non deve dimenticare il monito: «Misericordia io voglio, non sacrifici». L’atto di culto non può sfociare che nell’opera di carità, diversamente la sola liturgia cessa di essere lode al Signore, anzi, si fa bestemmia e sacrilegio. Diventa – dice padre Häring – una pseudo innocenza, un servirsi di Dio per i propri interessi, per apparire belli e puri agli occhi degli altri, mentre in realtà si è sepolcri imbiancati.

Nell’ospedale da campo – continua ancora il Papa – si va all’essenziale, a ciò che libera dalla morte e salva il salvabile: « È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite». Si fa un discernimento per evidenziare le priorità. Tra queste, spalancarele porte della Chiesa a tutti. Non chiudere le porte della hiesa e soprattutto non chiudere la porta del tabernacolo. Cristo, come l’amore, non si merita, si accoglie. Occorre rendere bello e attraente il volto di Cristo e della Chiesa, affinché la gente sia attratta, sedotta dal divino. Bisogna aiutare i giovani a riscoprire la bellezza e novità del Vangelo. È essenziale lavorare per l’ecumenismo, l’unità delle Chiese. Non si può considerare la missionarietà uno dei volti della Chiesa, ma come la linfa che permea tutto l’albero. Non si può ignorare che cinque miliardi di persone non hanno mai sentito parlare di Cristo.

Se l’annuncio evangelico è per me fonte di salvezza, se l’incontro con Gesù mi ha liberato e ha reso bella e significativa la mia vita, non posso tenere gelosamente per me questo tesoro. Devo gridare dai tetti che Dio esiste perché l’ho incontrato, che Cristo è il senso della mia vita e lo Spirito Santo quel vento impetuoso che scombussola la mia esistenza, rende interessante l’avventura umana e persino la morte, vista non come scacco matto delle umane possibilità, bensì come l’abbattimento delle ultime barriere, per godere in eterno della vera libertà dei figli di Dio.