«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?»

Guardare il cielo: riempirsi di Dio. Respirare Dio. Lasciarsi inondare dalla luce che dissipa le tenebre del dubbio… Idee espresse continuamente in tutta la Sacra Scrittura. Ma alla contemplazione del cielo deve seguire la contemplazione di Dio nella sua immagine e somiglianza: l’essere umano. Lo esige la logica dell’Incarnazione: «Dio si è fatto uomo, perché l’uomo si faccia Dio».
 
L’incontro con Cristo – nella contemplazione del cielo e della terra – ci cambia e ci rende liberi e fonte di libertà e d’amore. Ci immerge in quel Dio che è unità del tutto. Se l’uomo sceglie la luce, elimina le tenebre. Se sceglie la verità, elimina la falsità. Se sceglie la vita, sconfigge la morte e vive in pace, perché «l’amore sconfigge ogni paura».
 
La festa dell’Ascensione ci chiama a creare armonia tra l’amore del cielo e l’amore della terra. Amore che è possibile per chi fa un’esperienza forte di fede nel Dio del cielo che s’incarna in ogni rapporto di bontà, bellezza e amicizia.
 
Non si entra in rapporto con Dio senza aver compiuto un’esperienza d’amicizia. Cristo all’apice della tenerezza, nell’ultima sera, così si esprime: «Vi ho chiamato amici». E ne dà la prova: ha fatto conoscere agli apostoli, in modo esistenziale, tutto ciò che il Padre aveva rivelato a Lui.
 
Chi non conosce Dio non conosce l’amore e, analogamente, chi non conosce l’amore non conosce Dio. Cuore della rivelazione è quell’amore che porta al dono totale di sé in risposta a un Dio che prende l’iniziativa, che fa sempre il primo passo. All’uomo spetta il compito di lasciarsi amare, perché la fede non è una conquista, ma un dono di Dio. In questo atteggiamento di “passività” – ossia di fiduciosa accoglienza – il credente incontra il Figlio di Dio e in Lui ha la Vita.
 
Si incontra Cristo passando attraverso il “deserto”, attraverso quel silenzio e quella solitudine che fanno emergere il divino. Se non facciamo il deserto dentro di noi – se non contempliamo il cielo – non riusciremo mai ad incontrare Cristo. Il deserto purifica, ci fa diventare essenziali, rende limpido il nostro sguardo così che diventa possibile per noi riconoscere in Cristo il Figlio di Dio e, in Lui, riconoscere Dio nel fratello.
 
Perché tutto ciò sia possibile, Cristo sale al cielo per farci dono dello Spirito Santo. Gli ultimi capitoli di Giovanni (dal 17 in avanti) ci confermano una morale nuova, sconvolgente ed esigente, basata sullo Spirito Santo (“paraclesi”: morale consolatoria), che ci aiuta a capire che essere uomo vuol dire diventare uomo, cioè porsi un ideale che ci spinge ad andare ogni giorno alla ricerca di un amore che mette in crisi, che obbliga a rompere i propri schemi e a fare della religione un mezzo per progredire, cambiando continuamente, per raggiungere l’ideale proposto da Cristo: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli».
 
Per poter entrare fino in fondo nel mistero dell’Ascensione, ciascuno di noi dovrebbe porsi alcune domande:
-      Sono, io, immagine di Dio?
-      La sua Parola mi trasforma?
-     Vivo costantemente il mistero della Incarnazione, in virtù del quale io divento Dio e vedo Dio nel fratello?
-      I sacramenti che ricevo ogni giorno mi divinizzano?
-      Vivo nell’Amore, dimoro nell’Amore che mi rende gioioso testimone del Vangelo?
-      Vivo la Comunità come il sacramento dell’incontro con Dio?
-      Ogni singola esperienza d’amore che io vivo mi porta al Signore, nello sforzo di creare continuamente armonia tra lo sguardo del cielo e quello della terra?
 
Siamo nel mondo per un’esperienza d’amore. Amore umano e amore divino si devono fondere per dare un senso alla nostra esistenza umana, vissuta a quelle altezze dove solo le aquile possono volare: «Siate misericordiosi e perfetti come il Padre». E, mentre tentiamo di raggiungere questo ideale, il Padre non esiterà a mandare anche a noi un angelo con la sfida: «Perché stai a guardare il cielo?».

Valentino