Bellezza di vivere da risorti

Sete di Dio e di resurrezione. A Gars am Inn, in Baviera, passeggio lungo il grande fiume leggendo il breviario. Mi passa accanto un giovane che saluto: «Grüß Gott» (che significa: «Dio ti benedica», oppure: «Dio sia benedetto»). È l’equivalente del saluto che fino agli anni Settanta ci si scambiava al Nord: «Sia lodato Gesù Cristo».

Il giovane sorride e aggiunge: «Se c’è». Discuto un bel po’ sull’esistenza di Dio, senza la pretesa di convincere l’interlocutore, che termina l’incontro salutandomi in modo visibilmente benedicente.

Nel tempo pasquale, incontrando qualcuno, gli Ortodossi lo salutano dicendo: «Cristo è risorto!», al che l’altro risponde: «È risorto in verità!». Lo dicono tutti. Sempre. Ieri e oggi.

Agli inizi della rivoluzione bolscevica è indetto un dibattito pubblico per dimostrare scientificamente che Dio non esiste. La precedenza è data all’ateo, che pensa di porre basi irrefutabili per demolire per sempre la fede. Poi un pope è chiamato sul palco. L’uomo di Dio accarezza la folla con lo sguardo e sussurra: «Christòs anesti», «Cristo è risorto», e tutto il popolo, a viva voce risponde: «Alithòs anesti», «È veramente risorto»…

Dio, Cristo, resurrezione, fede, vita eterna: di queste realtà ha una sete enorme l’umanità, in tutti i continenti. Ovunque vada, l’abito clericale e l’abitudine di guardare la gente negli occhi sono la premessa per iniziare una discussione centrata sulla ricerca di Dio e sul nostro bisogno di lasciarci da Lui cercare. Con me non si parla d’altro. E sono io che spesso mi stanco e interrompo il discorso, mentre gli interlocutori non smetterebbero mai d’interpellarmi sulla fede e sulla morale, sulla mia morale basata sulla fede in Cristo e sulla sua e nostra resurrezione.

Il Risorto: cuore della morale cristiana. L’essenza della morale non è tanto rappresentata da una struttura di leggi, predisposte secondo una logica razionale, quanto piuttosto da un ideale di vita plasmato dalla scoperta gioiosa di una Presenza affascinante e tremenda, che dà un gusto, un orientamento e una bellezza a tutta la nostra esistenza. È l’incontro con il Risorto che ribalta tutte le logiche mondane e immerge nel mistero: la morte e la resurrezione di Cristo diventano la nostra morte e la nostra resurrezione. «Per me vivere è Cristo», ripete il cristiano, assieme a San Paolo.

L’Apostolo è cosciente di questa realtà: «…c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo. Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio». Ma è pure cosciente che con Cristo tutto è possibile: vincere il peccato e la morte e vivere da risorti.

La morale è tutta qui: vivere l’incontro, l’esperienza di fede, grazie alla quale il credente va oltre le leggi e vive di quello sguardo che già Gesù rivolse all’adultera. L’ha guardata. L’ha chiamata per nome. Da allora non fu più una prostituta. Quello sguardo, quell’incontro la resero donna.

Questa è la morale: incontrare Cristo, sentirsi amati, morire con Lui e vivere da risorti.

La speranza dell’uomo e di un popolo non si possono poggiare sulle leggi; le leggi non sono capaci di darci la forza di aderire al bene che pur vediamo.

Il Crocifisso Risorto non è estraneo all’uomo, non è una legge esterna a lui, è una realtà più intima della sua stessa intimità – direbbe Sant’Agostino – che lo determina nel profondo del suo essere (ontologicamente), per cui diventa il fondamento ultimo del suo essere e agire morale. Ed è così che Gesù risponde al bisogno di vita – di pienezza di vita – insito nell’essere umano.

«Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza», dice Cristo. Dà la sua vita per noi. C’è un terremoto quando lui muore. Trema la terra alla sua resurrezione. E dal sepolcro sconquassato Egli esplode vincitore della morte. Nasce alla vera vita, che mai più gli sarà tolta.

«Dov’è, o morte, la tua vittoria?», grida San Paolo. E la sua sfida giunge fino a noi che ad ogni Pasqua riviviamo il battesimo, in virtù del quale noi non diventiamo semplicemente cristiani, ma Cristo. Noi, battezzati, siamo sepolti con Gesù e con Lui già risorti e assisi alla destra di Dio Padre.

La vita del credente si modella su quella del Maestro, per cui, pur continuando la sua esistenza, vive come se fosse già morto. Vale a dire: passa tra i beni della terra con il cuore che pulsa nei cieli.

Se è vittima innocente, se è insultato, calunniato e perseguitato, mantiene una serenità e letizia, tipiche di chi non riceve più alcuna offesa, appunto perché “è morto”, non è scalfito dalle cose negative della terra. E mentre è morto al male, è più che vivo a tutto quello che c’è di bene. Già gode qui, in terra, un anticipo di paradiso.

Chi crede nella resurrezione vive guardando oltre il tempo e lo spazio. Vive realtà tanto più divine, quanto più umane. Vive aspettando grandi cose , «cieli nuovi e terra nuova». La sua fede l’aiuta a vedere la storia umana e l’umano soffrire con gli occhi stessi di Dio che ci è accanto per trasformare il limite in una possibilità di crescita morale, spirituale e sociale.

La fede non permette che ci attardiamo al cimitero, cercando il Risorto tra i morti. Ma «lasciato il sepolcro in fretta», come le donne la mattina di Pasqua, noi incontriamo il Signore, appunto perché corriamo verso i vivi, a portare loro speranza.

Vivere da risorti. La fede nella resurrezione di Cristo, dice papa Francesco, è il fondamento della nostra gioia di vivere. Se Lui è risorto, anche noi risorgeremo. E questa fede nella resurrezione, mentre è il fondamento del nostro agire morale, è già un anticipo di paradiso in terra: «Se è vero che Gesù ci resusciterà alla fine dei tempi, è anche vero che, per un certo aspetto, con Lui già siamo resuscitati. La vita eterna incomincia già in questo momento, comincia durante tutta la vita terrena, verso quel momento della resurrezione finale. Già siamo resuscitati e mediante il battesimo siamo inseriti nella morte e nella resurrezione di Cristo e partecipiamo alla vita nuova. In attesa dell’ultimo giorno, abbiamo in noi stessi un seme di resurrezione, quale anticipo della resurrezione piena che riceveremo in eredità».

Valentino