«Questa gioia ci fa liberi»

Il prezzo della libertà. Legato ad un filo sottile, si librava nell'aria un aquilone: graziosa danza pilotata dal suo giovane costruttore. La gioia di colui che lo guidava, all’inizio era pure quella dell’aquilone. Ma un giorno, quest’ultimo sentì il bisogno di volare più in alto, solo, senza quel filo che ai suoi occhi diventava sempre più odioso e tarpava la sua sete di libertà. Grazie ad uno strattone ruppe il filo e, finalmente, divenne libero di perdersi nel vento.

 Questo, però, all’improvviso si fece impetuoso e lo trascinò in una folle corsa: lo sbatté prima contro un albero, ferendolo gravemente, e poi lo scaraventò in una pozzanghera, dove rischiava di dissolversi nel nulla.

Ma provvida arrivò la mano del suo costruttore, che lo rimise in sesto, gli riattaccò il filo e gli permise di riprendere il volo. Tornò allora a godere della libertà, senza più lamentarsi per quel filo.

La libertà è un mezzo o un fine? Quando studiavo e poi insegnavo filosofia, uno dei più discussi e interessanti “cavalli di battaglia” era quello della libertà, in particolare rispetto alla questione se essa fosse un mezzo o un fine. I giovani si sbizzarrivano nel citare i vari filosofi: per Spinoza la libertà è razionalità («Chiamo libero chi è unicamente guidato dalla Ragione»); per Leibniz la libertà è spontaneità dell’intelligenza; per Hegel  la libertà è accettazione della necessità; per Croce la libertà è perenne espansione della vita… 

A me piaceva riandare alla “Scolastica” (filosofia cristiana medioevale), insistendo che la libertà è la possibilità di realizzarsi, qualunque sia la situazione in cui viviamo e a tutti, in diverse nazioni, ricordavo la parabola dell’aquilone e di quell’“odiato” filo.

 

Sì, può essere bello andare «dove ti porta il cuore». E senz’altro, per vivere appieno la propria esistenza, occorre avere il coraggio di volare in alto. Volare nel cuore di Dio, spogliandoci di tutto quello che è superfluo, per avere ciò che è essenziale all’essere umano: amare ed essere amati. Volare aggrappati a quel Cristo che, per librarci alti nel cielo, ha rinunciato ad un’ala … Volare tuffandosi nella bellezza del creato.

 

Ma questi voli pindarici esigono quel benedetto filo, costituito dai valori umani e divini, impastati di ideali, leggi, precetti. Senza valori si diventa operatori di male per se stessi e per gli altri. E il male non resta mai impunito. La comunità, la storia, Dio, prima o poi giudicano l’individuo: il male viene a galla e penalizza colui che lo compie.

 

Il filo dell’aquilone può alludere anche ai legami che danno un volto alla libertà: verità, dignità e giustizia.

 

Verità. Il termine greco “aletheia” esprime l’atto di togliere il velo, smascherare le situazioni di falsità, omertà e disonestà, aderire alla realtà. Ciò implica la costante ricerca di valori quali l’onestà, la buona fede e la sincerità, onde arrivare ad una corrispondenza tra ciò che comprendiamo e la realtà stessa.

Per i cristiani, la verità non è un’astrazione, ma una persona: Cristo. Basti citare Giovanni 18: «Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Gli dice Pilato: "Che cos'è la verità?". E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: "Io non trovo in lui nessuna colpa"» ( 37 - 38). Ancora  Giovanni: «Gli disse Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?". Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità, e la vita"» (14,6).

Dignità. Siamo tutti figli dello stesso Padre e abbiamo un “Fratello” che è venuto tra di noi per dare un ennesimo fondamento alla nostra dignità: Cristo, il Dio che si è fatto come noi, per farci come Lui. Questa fede dei cristiani affonda le sue radici in un terreno condivisibile anche con chi non crede. Tutti comprendono il valore della regola d’oro: «Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te».

Dalla Germania in tutto il mondo si è diffusa la filosofia di Kant, con la famosa massima: «Agisci in modo da trattare l'uomo così in te come negli altri sempre come fine, non mai solo come mezzo». L’uomo non deve dunque mai diventare oggetto. È un valore indiscutibile, sia per gli atei o agnostici, sia per quanti credono che l’essere umano è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. Ne deriva che l’oppressione e la prevaricazione non sono compatibili con la dignità dell’uomo: tutti devono godere del diritto alla libertà della persona, dei suoi pensieri, delle sue opinioni e della sua religione. Non bisogna però dimenticare che la libertà va a braccetto con la responsabilità, ed il principio di solidarietà va di pari passo con il diritto alla compartecipazione.

Giustizia. Prima di considerare l’agire dell’essere umano in base agli ordini e regolamenti della società, il filosofo afferma che esiste un senso della giustizia, definito naturale in quanto ritenuto innato, che impegna ogni singolo individuo a  comportarsi bene, rettamente, onestamente nei confronti dei propri simili. Si tratta di un dovere e un diritto che ogni essere umano deve esercitare nel riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto e nel dare agli altri non secondo i loro meriti, ma secondo i loro bisogni. Il Vangelo proclama beati «coloro che hanno fame e sete di giustizia», cioè coloro che aspirano alla giustificazione che viene da Dio. Giustificazione che è un dono della libera grazia di Dio, che va al di là dei nostri meriti. Gesù esalta la giustizia del Padre: giustizia che addita a noi come esempio di estrema gratuità e frutto di tanta misericordia di Colui che «fa piovere sui giusti e sugli ingiusti».

Verità, dignità e giustizia: basi – legami di una libertà data a noi in dono che si trasforma in vita. Dipende da Dio, ma pure da ciascuno di noi: «Quel Dio che creò te senza di te, non salverà te senza di te» (Sant’ Agostino). Dono e vita a noi offerti, “perchè la nostra gioia sia piena” e perché la terra abbia il suo cielo.

Cosa distingue la finestra dallo specchio? Entrambi sono caratterizzati da un vetro. Con la differenza che dietro il vetro dello  specchio c’è un foglio d’argento. E basta questo per impedire di vedere la realtà, consentendo soltanto la monotona contemplazione di sé.

Basta un foglio d’argento – simbolo della ricchezza, del possesso delle cose – per tarpare le ali della libertà. Le cose appesantiscono i nostri bagagli interiori ed esteriori, per cui diventa difficile salire la montagna, aprirsi agli sconfinati orizzonti e volare liberi negli spazi della verità e dell’amore.

Da “La roba” del Verga a tantissime esortazioni di papa Francesco, noi veniamo messi in guardia contro quel possesso delle cose che ci toglie la libertà e la gioia.

«Sono tanti i cristiani che non conoscono la gioia. E anche quando sono in chiesa a lodare Dio, sembrano a un funerale più che a una celebrazione gioiosa. Se invece imparassero a uscire da se stessi e a rendere grazie a Dio, capirebbero realmente cos’è quella gioia che ci rende liberi», così afferma papa Francesco. E continua: «Tutto è gioia. Ma noi cristiani non siamo tanto abituati a parlare di gioia, di allegria. Credo che tante volte ci piacciano più le lamentele!». Poi spiega che la gioia si prova nella docilità allo Spirito Santo, nel fare la volontà del Signore, nello staccarci dalle cose per essere ricchi di Dio e gioiosi nel lodarlo, perché «l’eternità sarà questa: lodare Dio. Ma questo non sarà noioso, sarà bellissimo. Questa gioia ci fa liberi».

Valentino