Chiesa bella, senza macchia né ruga

Il discepolo che Gesù amava, relegato in tarda età nell’isola di Patmos, ha una visione: «E mi trasportò in spirito su di una grande ed alta montagna, e mi mostrò la santa città, []  Non vidi in essa alcun tempio, perché il Signore Iddio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio.  E la città non ha bisogno di sole, né di luna che risplendano in lei perché la illumina la gloria di Dio, e l’Agnello è il suo luminare» (Apocalisse 21,10; 22-23).

Come l’anziano Apostolo, l’uomo di fede vede la Chiesa santa, bella, risplendente della gloria di Dio. Nel Vangelo di Giovanni riecheggia quanto San Paolo scrive agli Efesini: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, […] e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (5,25-27).

Chi segue Gesù non pretende di trovare una Chiesa conforme alle sue aspettative. Sa che la Chiesa siamo noi, battezzati. Conoscendo il suo limite e il suo peccato, non si scandalizza per l’incoerenza degli altri, non scaglia la prima pietra, non punta il dito contro i cristiani incoerenti. Convinto che la bellezza e la bontà salvano il mondo, cerca di convertirsi e di santificarsi, per  mettersi al servizio della Chiesa e santificarla, renderla bella. E la ama così come è.

Ama la sua Chiesa locale non necessariamente perché è bella, ma perché il suo amore la rende bella. Così hanno fatto tanti cristiani dotati di spirito profetico. Hanno denunciato il male. Sono stati emarginati, estromessi dalla  comunità, a volte accusati ingiustamente… Molti sono stati pure ammazzati per amore di Cristo e della Chiesa. La santità dei perseguitati e il sangue dei martiri hanno reso e rendono la Chiesa sempre più bella.

«Cristo sì, la Chiesa no!»: questo slogan sta diventando sempre più frequente sulla bocca di troppe persone, che considerano la Chiesa come una delle tante istituzioni. E anche chi dimostra di essere fervente cristiano, ritiene che la Chiesa stia sbagliando con una serie d’interventi strumentalizzabili e strumentalizzati dai mass media.

Rispetto alle nuove generazioni, che vedono la Chiesa come istituzione antiquata e incapace di creare gioia di vivere, Benedetto XVI dice: «Specialmente gli adolescenti e i giovani, che avvertono prepotente dentro di sé il richiamo dell’amore, hanno bisogno di essere liberati dal pregiudizio diffuso che il cristianesimo, con i suoi comandamenti e i suoi divieti, ponga troppi ostacoli alla gioia dell’amore, in particolare impedisca di gustare  pienamente quella felicità che l’uomo e la donna trovano nel loro reciproco amore».

La Chiesa non è nemica dell’amore, anzi ne è garante.  Propone – come nelle culture e religioni orientali – una felicità legata alla moderazione, al distacco dai beni materiali e all’abbattimento degli  idoli, che ci rendono schiavi. Ci mostra una cammino affascinante proprio perché faticoso: un viaggio verso quella Gerusalemme che prospetta una croce. Ma la salita al monte Calvario è alleggerita dalla convinzione che lì nessuno può parcheggiare più di tre ore. Se oltrepassasse quell’orario, ci sarebbe la rimozione forzata. Parcheggio di sole tre ore. Poi, due notti agli inferi. Infine, spunta l’alba radiosa della speranza, della vera libertà, della resurrezione.

«La Chiesa è lo spazio che Cristo offre alla storia per poterlo incontrare». Questa è una delle affermazioni più belle del Messaggio dei vescovi, a conclusione del Sinodo sulla nuova evangelizzazione. I Padri sinodali hanno ribadito a tutta la cristianità che «la fede si deci­de tutta nel rapporto che instauriamo con la persona di Cristo». Rapporto personale, reso possibile nella vita della Chiesa, i cui membri testimoniano il Signore vivo tra noi, in ciascuno di noi.

Povera, fraterna, libera e liberante, semplice, generosa, gioiosa e orante: questa la Chiesa che Papa Francesco sogna.Sogno espresso con i gesti, più che con le parole che sempre additano la serena e certa speranza cristiana e invitano alla gioia, quale visibile segno dell’incontro con il Salvatore.

E tra i segni  che mostrano il volto bello della Chiesa – bello perché profetico – vale la pena sottolinearne alcuni:

-          Una Chiesa orante: papa Francesco prega molto e s’impone ogni sera una lunga adorazione davanti al Santissimo. Confessa che ogni tanto si addormenta in chiesa, ma non lo reputa un problema: è lì, accanto al Signore. Ecco perché, di fronte alla minaccia della guerra contro la Siria, ha indetto un’adorazione pubblica in San Pietro e lui è stato lì, inginocchiato per quattro ore davanti all’ostensorio. La pace si fa in ginocchio, dopo aver digiunato. E molti pensano che anche grazie a questa iniziativa i bombardamenti siano stati sospesi.

-          Una Chiesa fraterna: sulle orme di Paolo VI, papa Francesco va ripetendo: «Ogni uomo è mio fratello». Tutti figli dello stesso Padre. Tutti importanti davanti al Signore. Tutti, con la sottolineatura che il cristiano è chiamato ad un amore “preferenziale” – cioè basato sui bisogni dei più deboli – per i poveri, «carne di Cristo», per gli ammalati, per chi è vittima della guerra. Il credente non può macchiarsi della colpa dell’«indifferenza fratricida». Non può vivere in una bolla di sapone. Deve sentire come proprio il dolore di ogni fratello.

-          Una Chiesa gioiosa è presentata nel viaggio in America Latina, per incontrare i giovani di tutto il mondo. A Buenos Aires, assieme ai pellegrini della gioia, danzano anche le pietre.

-          Una Chiesa povera: appartamento modesto in Santa Marta, anziché nei palazzi pontifici; macchina popolare; rifiuto di mitrie e croci d’oro; scarpe comuni anziché le papali “scarpe rosse”; il conto pagato alla cassa, in fila con i clienti; l’invito incessante affinché il popolo preghi per lui, e quei piedi lavati ai carcerati… Ognuno di questi gesti vale quanto un’enciclica o forse di più perché, specialmente in Italia, si legge poco, ma si guarda molto alla televisione che – assieme a tanta spazzatura – ogni tanto mostra anche esempi da imitare.

           Libera e liberante è la Chiesa, guidata da pastori che gioiscono con chi gioisce e soffrono con chi soffre. Pastori che si sentano a loro agio sempre e dovunque: quando c’è il bagno di folla, un ammalato da abbracciare, un afflitto da consolare, un deluso da incoraggiare… È quello che Bergoglio faceva come prete e vescovo nella sua diocesi, e che cerca di fare ora, come vescovo di Roma. Lui che si sente papa nella misura in cui governa bene la sua città, seguendo l’insegnamento dei Padri della Chiesa: il papa è il capo della cristianità, «presiedendo nella carità».

-          Semplice e generosa: questo volto della Chiesa è riassunto nel nome che il Papa si è scelto, al momento dell’elezione a successore di Pietro. Sulle orme di San Francesco, l’uomo di Dio canta: «… e le cose semplici sono le più belle. Sono quelle che alla fine sono le più grandi».

Un ideale di Chiesa troppo grande? Non per chi si sente, come Bergoglio, un peccatore che è stato guardato dal Signore. A lui Cristo, come a Pietro, chiede tre volte: «Mi ami tu?». Non  dubito che papa Francesco risponda: «Tu sai che io ti amo». Ma mi sia permesso azzardare un’ipotesi: forse non è importante sapere quanto io ami il Signore. È più importante sapere che il Signore ama me. Ama questa Chiesa.

 

Valentino