Dinamismo di crescita nello Spirito

La gioia di seguire il Maestro.  Paolo VI venne un giorno, inaspettato, al seminario di San Giovanni in Laterano, a Roma. Era stanco e aveva un aspetto triste. Dopo una preghiera fatta in silenzio si diresse all’ambone e, aperta la Bibbia, lesse l’appendice al Vangelo di Giovanni.

Dopo una lunga pausa di silenzio, il Papa improvvisò un discorso, parlando dell’amore che Pietro nutriva per Cristo e dell’amore che questi riservava a Giovanni, il più giovane dei discepoli. Un amore non esclusivo, ma rivolto anche a Simone, che lo seguiva con il peso delle sue contraddizioni, con entusiasmi e depressioni, con alte intuizioni e tradimenti. A questo povero uomo, il Risorto ha fatto la proposta di seguirlo, additandogli una croce. E a Giovanni?… Di nuovo Paolo VI fece una lunga pausa e spiegò il senso della risposta di Cristo a Pietro: «Se io voglio che egli resti fino a che io ritorni, che cosa t’importa? Tu, seguimi!». 

 Dopo di che, il Papa concretizzò il discorso per noi studenti di teologia, giovani dai diciannove ai venticinque anni: «L’ultima volta che venni a voi, avevo un regalo per ciascuno. Oggi vengo a mani vuote… Non solo, ma vi leggo un Vangelo in cui si parla di una sequela che porta alla croce». Richiamandosi al testo evangelico, il Papa si domandò come fosse possibile rivolgersi ai giovani con un: «Tu, seguimi» tanto esigente. Quel “mondo”, che Giovanni presentava come tenebra, era tutt'altro che simbolo del male per dei ventenni, testimoni del progresso della fine degli anni Sessanta. Il mondo offriva tante speranze alla nostra giovane età e il Papa non aveva nulla da offrirci? Veramente veniva a noi a mani vuote? «No, un regalo ce l’ho, e lo prendo dal mio cuore: una croce. Io non mi rammarico di proporre una croce ai seminaristi, agli studenti teologi della mia diocesi, perché legato alla croce c’è un enorme potenziale di gioia. Molte volte, sì, anch’io sono triste, ma la mia tristezza è dovuta al fatto che non riesco a comunicare agli altri la profonda gioia che si prova a seguire Cristo, portando dignitosamente la propria croce».


Oltre la spontaneità dei desideri. Un enorme potenziale di gioia, legato ad una croce! Possiamo crederci proprio perché risuona come assurdo. La morale evangelica lega il soddisfacimento del proprio potenziale di felicità a un’esistenza che si realizza non nel ricevere, ma nel dare, non nel vivere a livello istintuale, ma nell’impegno costante di aiutare tutti a realizzarsi nel miglior modo possibile.

Il messaggio evangelico è permeato da un invito molto esigente e proprio per questo affascinante: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,23-24). 

Sapeva, Cristo, di domandarci un sacrificio non indifferente nel rivolgerci l’invito: «Tu seguimi!», ma lo ha detto con la certezza che solamente nel mettere i nostri passi sulle sue orme conosciamo noi stessi, amiamo in pienezza la vita, diventiamo propositivi per gli altri (cfr. Gaudium et Spes, n. 22). E, cosciente della difficoltà che un credente può provare nel seguire il suo messaggio tanto radicale, ci ha promesso di restare con noi fino alla fine dei tempi, affiancandoci lo Spirito Santo: il Paraclito, il Consolatore, la Guida.


«Camminate nello Spirito» (Galati 5,16). Che dire dello Spirito Santo? Di Lui è stato detto che è impossibile parlare, come è impossibile tacere. Non ne possiamo parlare perché Dio è mistero, realtà inaccessibile, ineffabile: «L’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio» (1 Cor 2,14). È troppo lo scarto tra la sublime ricchezza del mistero e la povertà della mente umana.

È comunque impossibile tacere dello Spirito Santo: «Voi lo conoscete perché egli dimora presso di voi e sarà in voi», ci ha garantito Gesù (Gv 14,17). E San Paolo: «Noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato» (1 Cor 2,12). 

Lo Spirito è in noi. Ci abilita a parlare  e ci dà forza per testimoniare: è Lui la nuova legge di crescita del cristiano. È Spirito, ma non si oppone al corpo. È Amore e butta nell’esistenza con entusiasmo. È Luce e dirada le nostre tenebre, indicandoci un cammino sempre in salita e dandoci vitalità, slancio e dinamismo per conformarci sempre più all’ideale dell’Uomo perfetto: Cristo. 


Lo Spirito è la nuova legge di crescita della nostra vita morale. Inondati dallo Spirito, grazie al Battesimo, facciamo in modo che la legge dell’amore si converta nell’amore per la nuova legge, proclamata da Cristo sul monte delle Beatitudini. Legge non legata alla costrizione, ma all’attrazione, tipica dell’amore. Lo Spirito Santo opera il miracolo di uniformare la nostra volontà a quella di Dio, abbattendo in noi il desiderio malsano di onnipotenza (Prometeo), di autodistruzione (Sisifo), di autocontemplazione asfissiante (Narciso).

La nuova legge non riguarda tanto il nostro sforzo per arrivare a Dio – mettendo in pratica leggi, precetti, comandamenti – quanto piuttosto il nostro desiderio di accogliere in noi lo Spirito d’Amore e di “amare nello Spirito”. Ciò significa: accogliere l’amore, lasciare che l’Amore ami in noi, godere d’essere amati e realizzarsi facendo circolare l’Amore. 

Amiamo perché l’amore è stato infuso nei nostri cuori: Dio ci ha amati per primo. Il suo amore ci rende amabili e amanti. 


Una formazione permanente. Una formica era stanca di lavorare per trasportare materiale da un formicaio all’altro. Era un insetto filosofo: si chiedeva se avrebbe trascorso tutta la sua vita lavorando e basta. Un giorno, uscendo dal formicaio, vide il cielo. Era bellissimo! Ma non poteva fermarsi a contemplarlo, perché tutte le altre compagne la spingevano da ogni lato. Si coricò contenta al pensiero di rivedere il cielo.

Il mattino seguente si ripeté la stessa situazione, così neppure quel giorno poté contemplare il cielo. Andando a dormire, disse a se stessa: «Domani, capiti quello che capiti, mi fermerò a contemplare il cielo!» Così fece, incurante di venire calpestata e schiacciata dalle altre formiche. 

Quando, satura di cielo, volle rimettersi in moto, non ci riuscì. Tutte e sei le zampette erano paralizzate, mutilate, schiacciate. Chiese aiuto. Venne la formica capo e le disse: «Disgraziata! Ti sei fermata. Non hai prodotto e hai ostacolato il cammino delle tue compagne. Per te non chiamerò la formica infermiera. Tu morirai». «Io morirò – sussurrò la formica – ma ho visto il cielo».

Vedere il cielo. Contemplare il cielo. Anelare al cielo. Questa è l’essenza della morale che mira ad educare le coscienze a una permanente contemplazione della Verità e dell’Amore, aiutandoci a scoprire in noi lo Spirito Santo che ci suggerisce la legge della santità, il cammino dell’autorealizzazione (l’uomo si realizza nell’amore) e il privilegio di avere la legge scritta nel nostro cuore. Il Paraclito ci aiuta a non sentire i comandamenti come pesante fardello esterno, ma come mezzo per rimuovere gli ostacoli che impediscono la corsa verso la salvezza integrale del corpo e dello spirito, per raggiungere la verità. 

E una volta scoperta la verità, occorre tradurla nella propria vita, esercitandosi nel compiere il bene. Ciò produce la “virtù”, che è appunto la facilità nel praticare i dettami di una coscienza retta. La facilità di fare il bene, attratti dalla bellezza dell’ordine morale.

Valentino