Più che le parole servono i riti

«Ci vogliono i riti».  «Non si conoscono che le cose che si addomesticano», disse la volpe. «Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!». «Che bisogna fare?» domandò il piccolo principe. «Bisogna essere molto pazienti», rispose la volpe. «In principio tu ti sederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino...».

Il piccolo principe ritornò l'indomani. «Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora», disse la volpe. «Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti». «Che cos'è un rito?» disse il piccolo principe. «Anche questa è una cosa da tempo dimenticata», disse la volpe. «È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore».

Questo brano de “Il Piccolo Principe” di Saint-Exupéry ci introduce all’importanza dei riti per rieducare la presente generazione ai valori umani, quale presupposto per l’apertura ai valori divini. Il rito è necessario per celebrare la vita, bella se vissuta come armoniosa fusione di umano e di divino, come avviene nel mistero dell’Incarnazione. Dio si fa carne, si fa corpo, per danzare la vita; fonda la Chiesa perché “addomestichi” i fedeli attraverso i riti sacri; dona la sua parola per preparare il cuore dei fedeli all’incontro con l’Amato, com’è mirabilmente descritto nel “Cantico dei Cantici”.

«Odio le tue feste»?I teologi lamentano la mancanza di studi approfonditi e sistematici sulla teologia del rito. Di questo ha estremo bisogno la nostra fede, che si nutre dei sacramenti e vive della grazia che essi comunicano.

Forse è stata data troppa importanza alla veemente reazione del profeta Osea (6,6), ripresa da Matteo (12, 7): «Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa». Innanzitutto si noti che in Osea il detto si riferisce all'uomo, a ciò che Dio vuole da lui. Dio vuole dall'uomo amore e riconoscenza, non sacrifici esteriori e olocausti di animali. Sulla bocca di Gesù, il detto si riferisce invece a Dio. L'amore di cui parla non è quello che Dio esige dall'uomo, ma quello che dona all'uomo. E significa: voglio usare misericordia, non condannare. Come dice anche Ezechiele: «Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva». In questione non è quindi il rito, ma la conversione.

Analogo discorso si può fare per il primo capitolo di Isaia: «Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni».

Dio non detesta il rito, ma fa attenzione al cuore di chi lo compie. Pure Gesù non si è sottratto alla ritualità del suo popolo e si può pensare che abbia vissuto tutta la sua esistenza come un gioioso rito: lo dimostra lo spirito di gratitudine con il quale si rivolge continuamente al Padre, lodandolo per i fiori dei campi, gli uccelli del cielo, i pani che sta moltiplicando e per Lazzaro che sta richiamando in vita.

Gesù si sottomette al rito del battesimo di Giovanni, rivoluzionandone il significato: il Battista proclama il battesimo come mezzo di conversione per sfuggire all’ira di Dio, Gesù si serve di questo rito per proclamare che il regno di Dio è in mezzo ha noi. Ci insegna cheil rapporto con Dio non può mai essere puramente intellettuale ma ha bisogno di mediazioni simboliche, di gesti e di una comunità che celebra la misericordia del Signore e implora la grazia che tutti possano vivere da fratelli.

Armonia tra rito e vita morale.La cultura moderna ha banalizzato e svuotato i riti.Non è mancato chi ha insistito sulla necessità di uscire dalle chiese per camminare sulle strade del mondo – soprattutto quelle delle periferie più emarginate –, rispondendo all’invito del Vangelo di cercare e trovare Cristo nell’impegno a favore dei più poveri.

Si è creata una scissione tra rito e vita morale, con il risultato di impoverire molto quest’ultima, perché sganciata dal necessario riferimento alla storia della salvezza, alle cose meravigliose che Dio ha operato nel passato e continua tuttora ad operare. Come è possibile comprendere i comandamenti, sganciati dal lorofondamento: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal Paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù»?Senza un forte aggancio alla parola di Dio e senza quei riti che ne implorano la grazia, non si può vivere il comandamento del Signore.

Del resto anche Gesù, prima di dare il comandamento nuovo, durante l’Ultima Cena («Amatevi come io vi ho amato») pone un gesto molto concreto: lava i piedi ai discepoli. Agisce e insegna in un contesto di preghiera e di ritualità: la cena ebraica.

Vita, rito, insegnamento e preghiera devono formare un tutt’uno. Separare la morale dal rito significa condannarsi a non comprendere la bellezza della nostra vita, l’essenza del cristianesimo, la gioia di essere un corpo che forma un’unica realtà con lo spirito. Significa svuotare il mistero dell’Incarnazione del Verbo divino.

La parola “unica”, irripetibile e nuova del cristianesimo in confronto con tutte le altre religioni è proprio questa (ripetuta all’inverosimile in tutti i miei scritti e attinta dai Padri della Chiesa): «Dio si fa uomo, perché l’uomo si faccia Dio». Questo è il fondamento per creare una morale gioiosa, centrata sulle Beatitudini e finalizzata a celebrare la vita. Questa vita. Adesso. Perché «il regno di Dio è in mezzo a noi», dentro di noi. Ciò è possibile se in noi opera quella grazia che scaturisce dal rito, vissuto in una comunità che continuamente rivive il mistero della morte e resurrezione del Signore, nella celebrazione eucaristica.  

Valentino