La saggia bellezza del «Lasa fa à Lü»

No, non è una espressione cinese o araba, bensì una sublime professione di fede dei cristiani bergamaschi. Di fronte ad eventi inspiegabili – non con un senso di rassegnazione, ma con la certezza che prima o poi Dio metterà a posto ogni cosa – il credente, nel passato, sussurrava fiducioso: «Lasa fa à Lü (Lascia fare a Lui)».

Così si esprimevano quanti avevano vivido il concetto della divina Provvidenza, confidando in quel Dio che – come scrisse Alessandro Manzoni – «Non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per procurarne loro una più certa e più grande». 

«Lasa fa à Lü», mi diceva mio padre quand’ero piccolo e andavo da lui a protestare perché, sentendo forte il senso della giustizia, non ammettevo che le cose non andassero per il verso giusto.

«Lasa fa à Lü», mi ha detto oggi un amico, quasi a velato rimprovero per aver espresso la mia amarezza perché, dopo tanti anni che prego, molte cose non si sono messe a posto secondo le mie richieste: non a mio vantaggio, ma a beneficio  di chi amo. E mi sono pure sentito rimproverare perché, alla mia veneranda età, dovrei pregare non per ottenere qualche cosa, ma perché sia fatta la volontà del Signore.

Alla ricerca di un esempio contemporaneo da proporre ai credenti nella linea del «Lasa fa à Lü», niente di meglio della vita passata e presente di papa Francesco che parla al mondo con gesti, più che con le parole e affascina il mondo intero con la sua sconcertante umiltà. Gesti che è inutile sottolineare, perché sono sotto gli occhi di tutti. Mentre vale la pena mettere in risalto alcune sue espressioni che hanno caratterizzato il suo essere cristiano, prete, arcivescovo, cardinale.

Era già papabile al tempo del conclave che poi si espresse con l’elezione di Benedetto XVI. Ma i tempi non erano ancora maturi per accogliere il futuro papa Francesco. Nel conclave del 2013  il cardinale Bergoglio, nella lista dei papabili, si trovava al 48° posto.  Ma Lui, lo Spirito Santo, ha spiazzato tutti… Ecco perché bisogna ripetere: «Lasa fa à Lü ».

Arriva così, nel cuore del cattolicesimo, un uomo dagli estremi confini del mondo ad indicarci la strada della santità, attraverso la gioia di abbandonarsi completamente alla volontà del Signore che, al momento opportuno, «volge lo sguardo all’umile» e lo fa grande, non per i suoi meriti, ma perché l’illogico Amore interviene ad “abbattere i potenti dai troni e a innalzare gli umili” che solo in Lui confidano.

Quando il cardinale camerlengo gli chiese se accettasse di essere papa  rispose: «Sono un peccatore, ma accetto». E da quel momento si è messo all’opera per rinnovare la Chiesa che vuole povera, fraterna, libera, semplice, generosa e gioiosa. Ecco le sue sfide, che brevemente commento, sulle orme di un collaboratore di papa Francesco quand’era vescovo di Buenos Aires:

-         La Chiesa (ogni cristiano) deve fare di tutto per non essere “autoreferenziale”.  Per paura di non essere compreso, Bergoglio spiega che non vuole una «Chiesa che si guarda l’ombelico, avviluppata in intrighi interni o bisogni mondani, anziché aprirsi, spendersi con gioia e servire con umiltà». La Chiesa deve essere missionaria e serva, non ripiegata su se stessa, ma a servizio della gente. Ai suoi preti nell’America Latina chiedeva che restassero disponibili al popolo, si mantenessero aperti alla ricerca e al dialogo, non fossero giudici implacabili, conservassero l’«odore delle pecore».

-    Continuamente chiede che si preghi per lui.  E’ consapevole  dei suoi limiti, per cui ha bisogno dell’aiuto costante di Dio e della preghiera degli altri. Commovente vedere il neoeletto Papa inchinarsi davanti alla folla radunata in S. Pietro per la sua elezione, chiedere un momento di silenzio per pregare per lui e dargli la benedizione del Signore. 

-    Stigmatizza quella società che crea gli “scarti”, gli “avanzi”, persone  che non trovano posto nella logica della produttività e del consumo. Chi non ha bellezza, denaro, potere o giovinezza viene buttato come spazzatura nel cestino dell’oblio. E questo è uno scandalo, una vergogna e un sacrilegio, come ha ribadito a Lampedusa accusando tutti noi, e se stesso, per l’indifferenza fratricida. 

-     Predica l’umiltà quale virtù indispensabile  per non rovinare le opere migliori: «Umiltà, perché il Signore possa continuare a fare grandi cose. Umiltà che si esprime nella gratitudine, nel ringraziamento: solo i grandi sanno ringraziare, coscienti che tutto è dono.

 -     Invita ad essere audaci quanti si sottovalutano o si lasciano vincere dalle paure. Secondo lui, nulla è mai del tutto perduto: «Coraggio. Rialza la testa e non lasciare che ti rubino la tua dignità». Questo invito del Papa dovrebbe risuonare come sublime musica agli orecchi di chi, compiuto un peccato, non si perdona. Di chi, di fronte al fallimento del proprio matrimonio, non frequenta più la Chiesa, non si fa più vedere nella sua comunità e giunge al punto da cambiare paese, schiacciato da un malsano senso di colpa. E così facendo dimostra di non credere in quel Dio che «fa più festa in cielo per un peccatore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione». 

-     Invita gli operatori pastorali ad andare nelle “periferie esistenziali”, là dove non va nessuno: «Uscite dalle catacombe, uscite dalle sacrestie... Meglio correre il rischio di essere investiti da un’auto che starsene rinchiusi». Non ha forse fatto così anche Gesù, che dedicava il suo tempo al cieco lungo la strada, al lebbroso, alla peccatrice?

-    Augura che i cristiani siano animati da una “passione apostolica”. Avere un fuoco interiore, come quello che consumava il profeta Geremia: «Tu mi hai sedotto, Dio e io mi sono lasciato sedurre. Hai fatto violenza, hai prevalso».

-     Cerca di incoraggiare gli uomini di buona volontà a cercare tutto ciò che avvicina, unisce, affianca, crea contatti tra le persone e i gruppi. È appassionato del bene comune e dell’amicizia sociale. Vuole che si sviluppi la cultura dell’incontro”.

-     A chi esercita un’autorità chiede di “prendersi cura della fragilità del popolo”. Nessuno riceve potere o forza per ricavarne benefici o glorie mondane, ma piuttosto perché si prenda cura della gente, per sostenere e promuovere i più deboli.  Modello del «prendersi cura» è  San Giuseppe, colui che dalla Provvidenza ha avuto l’incarico di custodire la vita del Figlio di Dio.

-    E infine, la perla: «Lasciati misericordiare». I papi e i poeti possono permettersi il lusso di inventare un termine che dica, in maniera forte, il meglio del loro messaggio. A chi è schiacciato dai sensi di colpa ribadisce quanto ho già commentato parlando dell’audacia: se sei misero, lascia che la misericordia di Dio ti inondi, lasciati abbracciare dalla tenerezza di un Padre prodigo che fa festa in cielo quando riconosci la tua colpa, chiedi perdono e ti affidi a Lui, accogliendo come grazia chi ti ricorda: «Lasa fa à Lü».

Valentino