Come è bello che i fratelli stiano insieme

Quando finisce la notte? Questa la domanda che un rabbino pose ai suoi allievi, per scoprire il momento preciso in cui inizia il giorno. Nessuna risposta fu adeguata, per cui così concluse il saggio ebreo: «Quando, guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel punto è ancora notte nel tuo cuore». 

La notte è regnata per millenni, e ancora in tante parti regna, là dove non è ricercato il fondamento della fraternità. Lo constata tristemente Martin Luther King: «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli».

Alla base dell’esperienza della fratellanza c’è la rivelazione di Cristo che Dio è Padre di tutti, come ha ben compreso e vissuto la comunità delle origini: «Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. (…) Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo» (Atti degli Apostoli 2,42-47).

Ha approfondito il fondamento teologico della fraternità l’apostolo Paolo: «Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Galati 3,26-29).

«Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Efesini 4,1-6).

 

La bellezza d’essere fratelli. L’Antico Testamento, al di là di tutte le norme che regolano il vivere da fratelli – 613 precetti! – presenta la bellezza di questa esperienza, con parole che così riassume un canto familiare nelle nostre assemblee liturgiche, tratto dal Salmo 133:

Com'è bello, come dà gioia che i fratelli stiano insieme.
È come unguento che dal capo discende,  giù, sulla barba di Aronne.
E' come unguento che dal capo discende,  giù, sugli orli del manto.
Come rugiada che dall'Ermon discende, giù, sui monti di Sion. 

Le cose spirituali, l’amore e la fratellanza non s’impongono con una legge: regnano in virtù propria per quanti, al di là di ogni sentimentalismo, si sentono fratelli perché figli dello stesso Padre, redenti da Cristo, resi uno dallo Spirito Santo. Tutti fratelli. Nessuno superiore all’altro. Tutti grandi in virtù del battesimo che ci rende profeti, sacerdoti, re, missionari e… Cristo. Non cristiani, ma Cristo! E, come Lui, desiderosi di abbattere ogni presunto concetto di superiorità e di grandezza: «Ma voi non fatevi chiamare “Rabbì” perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste» (Matteo 23 8-9).

Gesù stigmatizza in questo brano l’errore che rovina la vita: la sete del potere. Propone un capovolgimento di logica: il più grande è colui che serve e che ama di più. Insegna che, per rifiorire, il mondo non ha bisogno di ricchezze, ma di un supplemento d’amore. Una persona è grande quanto è grande la sua capacità d’amare gli altri. Amore traducibile nella divina follia del servizio.

Meraviglia, anima della fraternità cristiana.  Il cristiano ama i fratelli perché ha una conoscenza viva della paternità di Dio e vive in unità con Cristo, grazie all’Amore che lo sostiene, lo Spirito Santo. L’unità nella Trinità beata è il presupposto perché si senta uno con i fratelli, nella libertà e nell’uguaglianza.

Il comportamento etico della fraternità si basa sull’“ordo amoris” che per Sant’Agostino prende questo volto: l’amare se stessi, gli altri e le cose secondo la dignità “ontologica” (che riguarda la conoscenza dell’essere, della realtà, dell’oggetto in sé) che è propria di ciascuno. L’ordo amoris è il principale criterio di riferimento. Nelle vicende dell’uomo e del mondo, la categoria dominante e assoluta non è più quella del sapere, ma è quella dell’amore. 

Sarebbe interessante approfondire questo tema alla luce del pensiero di Max Scheler: per lui l’ordo amoris è il nucleo fondamentale dei valori, degli atti 

d'amore e odio dell'individuo e la fonte originaria di ogni sua autentica esperienza etica. All’ordine soggettivo – il centro dinamico della persona –corrisponde un ordo amoris assoluto e universale, capace di strutturare l'intera realtà, dal granello di sabbia fino ad arrivare a Dio. 

…L’ordo amoris secondo Agostino, Max Scheler, Pascal, con la sua intuizione che il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce… Tema affascinante dal punto di vista filosofico. Tema affrontabile anche da chi non è familiare con la filosofia, ma al buon senso unisce il senso della meraviglia che sfocia in preghiera. Con queste premesse il credente, sperimentando la verità del motto di Sant’Agostino («Ama e capirai»), coglie l’essenza della fraternità cristiana: la gioia di riconoscere l’altro come fratello.

Certo, la “globalizzazione dell’indifferenza” – che impera nella civiltà del benessere, dove i beni materiali hanno ricoperto le orme dell’Uomo di Galilea e hanno depositato una spessa coltre adiposa sui cuori appesantiti – lambisce anche il mondo dei credenti. Dall’alba delle origini ai nostri giorni, abbiamo spesso bisogno di lasciarci inquietare da un richiamo forte che ci interpelli: «Dov’è tuo fratello?».

Da uno scritto di Renato Kizito Sesana, missionario comboniano in Africa, riporto: «Riconosco in ogni persona la nostra comune umanità, fonte di dignità e diritti. Solo successivamente vedo le differenze, le quali mi completano, anzi, mi creano e mi danno vita, perché senza non potrei essere me stesso. Mi sento in comunione con Francesco, il papa Pastore che abbraccia i fratelli sofferenti, non per calcoli diplomatici o equilibri geopolitici, ma “solo” perché essi “sono la carne di Cristo”. 

La porta di Lampedusa è un grande segno di speranza per i vivi.

Con Francesco non facciamo solo memoria di quei poveri corpi in fondo al mare. Riconosciamo che loro, che hanno già attraversato un’altra porta – quella che si apre sull’incontro con l’Infinito, con colui che è davvero e definitivamente l’Altro – avevano capito ciò che noi fatichiamo a intravedere: che la fraternità è il nostro orizzonte». 

Se fisseremo lo sguardo a questo orizzonte, vedremo spuntare quella lama di luce che irromperà nelle tenebre delle nostre notti e ci permetterà di riconoscere nell’altro il nostro fratello. E allora, gioiremo per la paternità universale di Dio, che ci regala una così immensa famiglia.

Valentino