«… E le cose belle?»

Uomo: insondabile mistero. E ancora gabbiani, gabbiani provetti nel volo, abbandonati alla corrente dei venti, sulla deserta spiaggia di Scoglitti (Ragusa) flagellata da impietoso vento. Proprio come venticinque anni fa, quando – su questa stessa spiaggia – detti l’assoluzione a una prostituta che poi si fece monaca di clausura, in India.

Pure ora avanza verso di me un uomo, che spiava i miei movimenti, sicuro di un provvidenziale incontro per riconciliarsi con Dio. Nel giro di tre minuti ho in mano l’insondabile mistero di un essere umano: cinquant’anni di vagabondaggio, prima ignorando Dio e poi offendendolo nel prossimo, visto solo come fonte di effimeri, malsani amori che illudono il corpo, ubriacano i sensi e svuotano sempre di più il cuore.

Cinquant’anni. Tre minuti. E io, il confessore, sono lì a fare da ponte tra cielo e terra, ad ascoltare il sussurro di tanti peccati, per gridare l’amore misericordioso del Padre.

Ma prima di dare l’assoluzione, ecco una domanda d’obbligo: «E le cose belle?». Il penitente si schernisce, ribadendo il concetto che è lì per accusare i suoi peccati.
E le cose belle?… Se il verbo “confiteor” ha come primo significato: “lodo”, perché dovremmo temere di scoprire e proclamare la nostra bellezza, facendone motivo di lode al Signore? Forse temiamo la nostra bellezza più della nostra miseria. Questa è una tacita giustificazione a continuare nella mediocrità e nel peccato. La scoperta di essere belli è uno stimolo a diventare migliori e a testimoniare anche agli altri la gioia della conversione.

Al peccatore incontrato sulla riva del mare di Scoglitti do questa penitenza: quaranta giorni di sostanziale silenzio, in un luogo solitario, per ringraziare Dio d’averlo creato bello, molto bello ai Suoi occhi.

Non mi aspetto che diventi monaco. Ma dal suo abbraccio capisco, ancora una volta, che «Tutto è grazia».

Uomo: questo sconosciuto. A metà degli anni Sessanta, nelle facoltà di teologia e nelle università cattoliche italiane era di moda un libro di Alexis Carrel: “L’uomo, questo sconosciuto”.
Al di là di una conclusione inaccettabile – l’esaltazione della razza pura, tema legato alla sensibilità dei tempi in cui il libro fu scritto (1936) – interessante è la prima parte dell’opera, tesa a denunciare il mondo della scienza e della tecnica nella sua pretesa di esaltare tutti i campi del sapere, eccetto quello dell’uomo in quanto tale. Grande quesito: che cosa conosce l’uomo di se stesso?

Carrel presenta l’essere umano come un tutto indivisibile: è corpo e spirito che, assieme, formano una cosa sola. È corpo, intelligenza, volontà, libertà e autocoscienza: tutto ciò la tradizione chiama “anima”, forma di un corpo che non è – come affermava Platone – carcere dell’anima, ma immagine e somiglianza di Dio. Questa impronta del divino in noi ci porta a tendere al bene che consiste in ciò che è conforme alle tendenze essenziali della natura, quindi in ciò che favorisce i pensieri, gli atti e i sentimenti che hanno come fine la conservazione della vita, la propagazione della specie e l’ascesa spirituale dell’individuo. [Male] è tutto ciò che si oppone alla vita, alla sua moltiplicazione e al suo slancio spirituale.

Anche tra gli atei troviamo persone che intuiscono quanto sia illusorio confidare tanto nella scienza e nella tecnica, come se queste, prima o poi, potessero risolvere tutti i nostri problemi, ignare dell’affascinante mistero dell’essere umano. Da settecentomila anni si va ripetendo il ritornello che, per il momento, non abbiamo tutte le risposte ai nostri quesiti, ma verrà un tempo in cui… E intanto passano i millenni!

Uomo: al di sopra di tutto. L’affascinante mistero dell’essere umano, grande anche nel suo limite e amato così come è da un Dio infinitamente misericordioso – un Dio che vuole la nostra vera gioia – forma l’oggetto della continua catechesi di papa Francesco.

Scienza e tecnica pretendono di avere le risposte per la vera felicità di tutti, mentre in pratica non fanno altro che costruire “vitelli d’oro” a esclusivo vantaggio dei ricchi.Didascalia immagine
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Il vitello d’oro ha cambiato nome, ma esiste ancora. Nel Terzo Millennio si chiama «feticismo del denaro» o «dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano». Anche la Torre di Babele – pacatamente afferma il Papa – ha avuto un’evoluzione simile. Racconta un midrash ebraico che durante la sua costruzione il valore dei mattoni aveva superato di gran lunga quello degli uomini. «Così oggi, mentre in quelle moderne torri che sono i grattacieli a specchio della finanza si tengono grandi riunioni internazionali, in molti Paesi del cosiddetto terzo mondo si muore di fame. E in ogni caso il risultato è sempre lo stesso: la negazione del primato dell’uomo».

La presente crisi – ricorda papa Francesco – ha origine nel rifiuto di quell’etica che dà fastidio, perché ricorda l’esatto ordine dei fattori. L’uomo al primo posto – soprattutto i poveri – poi tutto il resto, compreso il denaro: «Il denaro deve servire e non governare». E per questo, citando San Giovanni Crisostomo, afferma: «Non condividere con i poveri i propri beni è derubarli».


Non riconoscere il mistero, la grandezza e la bellezza dell’essere umano vuol dire non aver capito nulla del cristianesimo e porre le basi per la distruzione di questa nostra civiltà: «Oggi è in pericolo l’uomo, la persona umana. (…) Si è instaurata la cultura dell’usa e getta; quello che non serve si getta nella spazzatura: i bambini, gli anziani (con questa eutanasia nascosta che si sta praticando), i più emarginati. Questa è la crisi che stiamo vivendo».

Queste le idee espresse a braccio dal Papa che, rivolgendosi agli ambasciatori accreditati alla Santa Sede, ribadisce gli stessi concetti, in termini più diplomatici: «Signori Ambasciatori, l’umanità vive in questo momento come un tornante della propria storia, considerati i progressi registrati in vari ambiti. Dobbiamo lodare i risultati positivi che concorrono all’autentico benessere dell’umanità, ad esempio nei campi della salute, dell’educazione e della comunicazione. Tuttavia, va anche riconosciuto che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo continuano a vivere in una precarietà quotidiana con conseguenze funeste. Alcune patologie aumentano, con le loro conseguenze psicologiche; la paura e la disperazione prendono i cuori di numerose persone, anche nei Paesi cosiddetti ricchi; la gioia di vivere va diminuendo; l’indecenza e la violenza sono in aumento; la povertà diventa più evidente. Si deve lottare per vivere, e spesso per vivere in modo non dignitoso. Una delle cause di questa situazione, a mio parere, sta nel rapporto che abbiamo con il denaro, nell’accettare il suo dominio su di noi e sulle nostre società. Così la crisi finanziaria che stiamo attraversando ci fa dimenticare la sua prima origine, situata in una profonda crisi antropologica. Nella negazione del primato dell’uomo! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr. Es 32,15-34) ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano».

Nel 2013 sulla spiaggia di Scoglitti, nel 1936 negli ambiti dell’“intelligenza” francese, e in Vaticano ai nostri giorni, identica risuona la domanda per l’uomo di tutti i tempi: «E le cose belle?».

Valentino