In adorante ascolto del mistero

«Per mantenere la fede, secondo i miei famigliari, bisogna stare sempre alla presenza del Signore. Mai stancarsi di adorarlo. Non ne capisco il motivo. Serve a Dio la mia adorazione?»

“L’immensa tenda-chiesa di Taizé contiene migliaia e migliaia di giovani provenienti da tutte le parti del mondo e qui convocati per amalgamarsi nel canto, nella lode, nell’adorazione del Signore.

I canoni biblici, cantati melodiosamente in tante lingue, accompagnati dai diversi strumenti musicali, immergono in un’atmosfera di mistica bellezza che rende quasi inevitabile percepire una Presenza. Non si calcola il tempo donato a Dio. Il comune desiderio di incontrarlo è già una stupenda preghiera. L’essenzialità del rito, l’abbondanza dei versetti biblici, le litaniche preghiere dei fedeli rendono inutili le spiegazioni e le omelie: parla il silenzio orante.

Ed ecco che molti giovani si prostrano a terra, nella penombra vivificata da innumerevoli lumini, per permettere al loro corpo di esprimere al Signore ciò che la parola non sa e non osa dire”.

Così pregavo negli anni Settanta, con tanti amici che a Taizé si abbeveravano dallo Spirito Santo, lì percepito come Forza vitale, Padre dei poveri e Datore di ogni bene.
Quando, tornato in Italia, gli amici mi vedevano prostrato davanti al Santissimo, quasi sempre mi accostavano e si prostravano a terra, sia perché ciò faceva loro piacere, sia perché – forse – volevano evitare l’amorevole rimprovero: «Non avete potuto vegliare una sola ora con me».

Pure ora, ovunque mi trovi, sono solito prostrarmi a terra, durante la notte, nelle cappelle dei seminari, dove le tenebre sono rotte solo dalla tenue fiammella protetta da un rossa lampada votiva, davanti a Gesù eucaristico. Adorante Silenzio. Rossa fiammella. E la prostrazione con tutto il vecchio corpo, davanti all’eternamente giovane mio Signore. Lui e io. Soli.

La mancanza degli amici rende più difficile il pregare, perché la comunità facilita l’incontro. Ma pure nella solitudine o nell’aridità, la nostra presenza è già preghiera: «Tu, Dio, basti a riempire la mia vita. Con te non sono mai solo. Sono qui unicamente per te. Voglio solo lodarti, ringraziarti, adorarti».

“Adorazione”: mano alla bocca, in rapito stupore davanti al Mistero. “Mistero”: mano portata alla bocca, quasi trattenendo il fiato, per la meraviglia di essere inondati di pura luce. Adorazione del Mistero per il fascino di essere immersi in una realtà seducente, fonte del proprio essere, muoversi, vivere.

Il prostrarsi in adorazione risponde innanzitutto ad un bisogno di fedeltà a quel Dio scoperto come origine della propria vita, sostegno della precaria esistenza e causa della più intima gioia nel fare la volontà del Padre. Volontà che si concretizza innanzitutto nell’appassionato invito di Gesù a pregare incessantemente. Se il Signore lo vuole, significa che ciò serve a Lui che si aspetta la nostra adorazione, e serve soprattutto a noi che diventiamo ciò in cui crediamo e per cui preghiamo.
Dio vuole essere adorato, messo cioè al primo posto nella nostra esistenza. Attratti da Lui, noi credenti – non senza limiti e difficoltà – sperimentiamo che la sua volontà è la nostra pace e ci dichiariamo disposti a lasciarci guidare là dove lo Spirito Santo ci chiama, per testimoniare gioiosamente la nostra fede. Gioiosamente, anche quando il cammino porta verso quell’orizzonte dove è predominante l’ombra della croce.

Dio vuole essere adorato: esige un rapporto di intima amicizia, scambi di sentimenti e una presenza motivata dalla bellezza di stare con l’Amico. Un riconoscimento che Lui, Lui solo è il motivo primo e ultimo della nostra esistenza.
Dio vuole essere adorato nel silenzio. Ma appena si cerca il silenzio dei sensi interni, quando, finalmente, si arriva a gustare la preghiera, nasce subito un combattimento tra il bene al quale aspiriamo e la polvere della quale siamo impastati. Una volta creato in noi il deserto, si fa avanti il tentatore. Si è lì per cercare di avere un rapporto intimo con il Signore, e ”l’aspra solitudine”, “la vasta distesa di segatura”… il deserto, si popola dei fantasmi più strani e petulanti. Fantasmi che vanno sì scacciati, ma dopo averli guardati in faccia. Quelli che più ricorrono nelle nostre tentazioni ci additano quale sia l’idolo che maggiormente dobbiamo abbattere, se vogliamo essere veri adoratori del Dio vivente.

Dio vuole essere adorato, infine, per il gusto di essere adorato: l’elogio della gratuità. L’umanità sembra muoversi attorno a questi slogan: «Niente si fa per niente»; «Nessuno regala niente a nessuno»; «Se gratis, c’è l’inganno». Sembra che tutto si svolga in vista di un interesse ben preciso, che ruota intorno al successo, al potere, al denaro: misere misure della nostra incapacità di amare il nostro prossimo come noi stessi. E dicendo “prossimo” si deve intendere innanzitutto il primo “Prossimo” in senso assoluto: Dio.

Invitandoci a stare con Lui, in adorazione, il Signore ci addita la bellezza di metterci al suo servizio e al servizio dei poveri, guidati dal suo perentorio comando: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Gesù non dimostra la validità della sua affermazione. Il suo magistero non poggia sulle parole, ma sulla sua persona. Ci chiede intimità: «Vi ho chiamato amici». Ci raccomanda il distacco da tutti e da tutto. Ci invita a “stare con Lui”, poiché la nostra fede è il risultato della luce che promana dalla Parola, del nutrimento del Pane di vita, del sostegno della carità di tanti fratelli che, in diverse parti del mondo, giorno e notte, ci sono vicini adorando l’affascinante Mistero.

Valentino