Bellezza che emerge dalla preghiera

«I miei genitori mi hanno sempre fatto pregare tanto fin da bambino. Per molti anni sono stato fedele alla messa domenicale. Ma ora il pregare non mi crea nessuna emozione. Devo continuare la mia vita di preghiera nonostante la mia aridità spirituale?».

Il direttore della pastorale giovanile di una piccola repubblica europea organizza una fiaccolata per commemorare i centocinquemila cristiani ammazzati nel 2012: uno ogni cinque minuti. Cosciente che gli uditori traggono maggior vantaggio dalla carica spirituale-emotiva del testimone rispetto alla quantità delle idee presentate, chiedo di avere il pomeriggio a completa disposizione per la preghiera, in una parrocchia in cui possa confessarmi e celebrare l’eucarestia senza guardare l’orologio.

Il silenzio di una chiesa di montagna crea l’ambiente ideale per le sette ore da consacrare al Signore, parlando con lui, prima di parlare di lui. Mi confessa un anziano prete che m’intrattiene una mezz’oretta a commentare la mia accusa: «Forse, se avessi più fede, ringrazierei di più il Signore per i doni ricevuti. Spesso, invece, sono triste pensando alla difficoltà e a volte all’incapacità di aiutare gli altri, specialmente in Africa». Mi cita san Giovanni: «L’amore scaccia ogni paura». M’invita ad amare di più la vita e quanti incontro, anche se può sembrare “terribile” l’invito di Cristo di vedere il suo volto sul volto del fratello. L’aggettivo “terribile” mi rimanda a una canzone della metà degli anni Sessanta: “La ballata dell’uomo vecchio”. «La tristezza che c’è in me, l’amore che non c’è hanno mille secoli./ Il dolore che ti do, la fede che non ho hanno mille secoli (…)/ Io vorrei vedere Dio, vorrei vedere Dio, ma non è possibile:/ ha la faccia che tu hai, il volto che tu hai e per me è terribile…». E quando l’anziano confessore per penitenza m’invita a stare ancora un momento in chiesa, mi torna alla mente la conclusione della ballata: «Ascoltami, rimani ancora qui, ripeti ancora a me la tua parola. Ripetimi quella parola che un giorno hai detto a me e che mi liberò».

Non mi costa restare in chiesa da solo, anzi è quello che cerco. Ma il “deserto” dura poco: un giovane prete desidera parlarmi. Lo invito a celebrare con me la messa, lui e io soli, confrontandoci alla presenza del Maestro: «Infatti, dove due o tre sono riuniti nel mio nome…».

In pochi minuti mi rivela un’esistenza affascinante e tremenda. Prete da cinque anni, ha avuto la sua prima crisi di fede proprio durante la celebrazione della prima messa. Pronunciate le parole della consacrazione, non provò la benché minima emozione. Anzi, era più emozionato quando faceva le prove della celebrazione eucaristica. Alzò l’ostia chiedendosi: «Sarà tutta la vita così?». Ma poi s’inginocchiò, sostò qualche secondo in quella posizione e capì che avrebbe vissuto il suo ministero presbiterale “inginocchiato nonostante tutto”. Inginocchiato per capire la quotidianità, aggrappandosi alla fede “come se Dio esistesse”, come se egli fosse innamorato. Inginocchiato davanti ad un “pane” che non dice nulla, e davanti a un essere umano che ha il volto di Dio.

Di nuovo, guardando questo giovane prete, penso a quel “terribile” della “Ballata dell’uomo vecchio” e propongo di confrontarci sul tema della fede. Fede che è dono e vita; salto nel buio; bacio che brucia; fiducia in una Presenza sulla quale si è disposti a scommettere, a giocare tutta la propria esistenza. Fede che richiede di camminare umilmente con Dio Padre, costruire sulla roccia che è Cristo, affidarsi allo Spirito Santo che è Amore: «Ama e capirai».

Non so quanto incisive siano le mie parole e quanto sia “utile” il mio parlare del Signore a questo prete, per cui lo coinvolgo nel parlare al Signore. L’eucarestia si snoda lentamente, intrecciando le nostre vite nel sacrificio di Cristo. Il giovane prete ha belle intuizioni: «Costruire sulla roccia che è Cristo… Io sono solo un sassolino. Lui la roccia. Ma anch’io, se accetto di essere quello che sono, possa fare cose grandi. Davide ha sconfitto Golia con un sassolino… Io accetto il mio limite, la mia aridità. Quando qualcuno viene a parlarmi male della Chiesa, io ribadisco il mio amore per lei, fatta di peccatori come me. Se fosse fatta di santi, non ci sarebbe posto per me. Così, con queste convinzioni, prendo in mano la particola da me consacrata senza emozioni, pensando che è Lei che regge me, perciò torno a inginocchiarmi…».

Sette ore di preghiera in quella chiesa di montagna, in preparazione alla fiaccolata dei giovani. Durante la processione mi aggiro tra di loro e vedendoli parlare, sorridere, mandare messaggini, sarei tentato di non dare la mia testimonianza. Ma, pensando a quel giovane prete, chiedo allo Spirito Santo che mi dia la forza di essere quel sassolino che abbatte Golia.

E lo Spirito Santo spazza via le idee critiche e negative con le quali vorrei iniziare il mio intervento, per cui esordisco elogiando quanti avevano marciato pregando: «Passando in mezzo a voi ho visto quanto erano belli coloro che camminavano umilmente con Dio, con il loro cuore aggrappato a lui. Erano come Gesù sul monte Tabor: la bellezza che era dentro di loro era messa in luce dalla preghiera. Il loro corpo emanava onde d’amore che mi facevano stare bene. Avrei voluto dire loro, emulando gli Apostoli: “…è bello per noi stare qui; facciamo tre tende …”».
I giovani ascoltano “in religioso silenzio” la mia testimonianza che termina con la citazione della “Ballata dell’uomo vecchio”: «La paura che c’è in me, l’amore che non c’è hanno mille secoli… Sono vecchio ormai, sono vecchio sì, ma se Tu vorrai mi salverai».

Molti di quei giovani mi rivolgono un nuovo invito per approfondire il tema della preghiera, intesa come bellezza che salva. Rispondo loro di non aspettarsi troppo da me, ma – anche quando i sentimenti e i sensi tacciono – di prepararsi all’incontro pregando tanto il “Bellissimo” che solo salva chi in Lui confida, chi su di Lui costruisce la sua casa, chi con gioia testimonia la sua morte e resurrezione.

Valentino