«Beata te che hai creduto»

«Per il fatto di essere stata concepita senza il peccato originale, fu facile per la Madonna credere in Dio o ha fatto anche lei fatica come tutti noi? Inoltre, era proprio necessario che Dio mettesse alla prova la sua fede attraverso tante sofferenze al punto che Maria è chiamata “la Donna dei dolori”?».

Elisabetta ha cantato la grandezza della Vergine Madre: «Beata te che hai creduto». Ma, nonostante la sua grandezza, Ella era pur sempre un essere umano. Come tutti noi, è stata messa alla prova con le stesse tentazioni sperimentate anche da Gesù nel deserto: prosperità, popolarità, potere. Ha dovuto compiere un cammino di fede. Fede messa alla prova da una vita che senz’altro fu bella per la presenza del Figlio di Dio, ma che è passata attraverso tanta sofferenza: non a caso, l’iconografia spesso la rappresenta con il cuore trafitto da sette spade.

Dio a lei, come a tutti noi, ha dato la grazia di intuire che dopo il buio viene la luce, dopo l’inverno la primavera e dopo il temporale l’arcobaleno… Ma prima dell’alba c’è la notte. Prima che spunti la spiga di grano, il seme deve marcire. Prima di godere della resurrezione si deve passare attraverso la morte.

Maria ha vissuto il dogma che proclama il mistero dell’Incarnazione: «Discese dal cielo», ma ha pure vissuto, in maniera tragica, lo sconcertante «Discese agli inferi». Ha imparato dal dolore, assieme a Gesù, che cosa voglia dire essere una creatura, che senso abbia l’ubbidienza al Padre, che cosa significhi bere fino alla feccia al calice del dolore.

Associata nella passione a Cristo, ne condivide ora la gloria: assunta in Cielo con il suo corpo, è viva, e ha il potere di aiutarci a trasformare il dolore in una opportunità per crescere in sapienza e grazia, a convertire la sofferenza in un mezzo per completare ciò che manca alla passione di Cristo, a trasformare l’ultimo respiro nel primo sorriso in Cielo, a fare di ogni fine un nuovo inizio.

È bello contemplare la Vergine come la più bella espressione di una creazione che attende, ascolta, spera, ubbidisce e ama. Ella si erge a vessillo di fedeltà per ciascuno di noi. Fedeltà alla Parola dell’Antico Testamento; a suo Figlio, non tenuto per sé, ma donato al mondo; al suo popolo, che ammazza il più bello tra i figli dell’uomo; alla Chiesa nascente, con la quale spera, adora e attende lo Spirito; a quest’umanità che tarda a rinascere e ad accettare lei come Madre.

La fedeltà può nascere solo dalla fede. E per descrivere che cosa sia questa fede che “crea il santo”, non c’è immagine più bella di quella descritta da Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov” nel brano del “Grande Inquisitore”, là dove la fede è presentata come un bacio che brucia.

La fede è un bacio, qualche cosa di bello, affascinante: dà senso e pienezza a una vita. Ma quel bacio brucia, perché spesso il cielo si copre di nubi, scompare il volto di Dio e altro non resta se non il tempo della fedele attesa.

Fede: un bacio che brucia. Bruciore lenito dalla preghiera alla comune Madre, che non resta indifferente in Cielo quando così a lei ci rivolgiamo, ritenendola grande perché ha creduto:

«Vergine beata, che cosa provasti alla sconcertante richiesta di diventare la madre del Salvatore?

Forse udisti solo una voce interiore, una chiamata ad abbandonarti totalmente alla volontà del Padre. E a Lui, pure turbata, desti il tuo assenso, Tu, la Donna del “sì”.

Maria, vedesti solo porte chiudersi al tuo passaggio, quando cercavi un luogo in cui dare alla luce la Luce del mondo e, fiduciosa, continuasti a credere, Tu, la Donna fedele all’eterna Parola.

Profuga, nella straziante fuga verso l’Egitto, quanti dubbi dovesti scacciare, contemplando il bambino Gesù tra le tue braccia: “Ma Tu, figlio mio, sei Dio o pericolosa pietra d’inciampo?”. Tu, Donna beata perché hai creduto.

E quando al tempio, dopo tre giorni di penosa ricerca, trovasti Gesù – un po’ trasgressivo e misterioso come tutti gli adolescenti –, di fronte al dolore di Giuseppe e tuo, pur non comprendendo continuasti a credere che era Dio Colui che quasi ti sfidava: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.

…Ed eccolo al Giordano, in fila con i peccatori a farsi battezzare in remissione dei peccati: “Ma Gesù è Dio o uno dei tanti peccatori?”, ti sarai chiesta. Tormento scacciato con un atto di fede nella misteriosa volontà divina.

La tua fede operò il miracolo dell’acqua cambiata in vino, a Cana di Galilea, dopo aver perdonato parole dure come pietre: “Ti emoi kai soi gunai?” (“Che cosa tra me e te, donna?”). Povera Vergine Maria, chiamata “donna” e non “Mamma”!

Tu accettasti che Gesù indirizzasse ad altri – agli ascoltatori della Parola – la lode rivolta a te per averlo generato. Così pure non ti lamentasti quando rifiutò di darti udienza: “Chi è mia madre?”, o forse ti sentisti doppiamente madre per aver concepito la Parola nel tuo cuore, prima di concepirla nella carne? In entrambi i casi, comunque, continuasti a credere.

Vergine addolorata ai piedi della croce, accettasti di “privarti” di una maternità divina, di “perdere” un così grande Figlio, per diventare madre di chi stava ammazzando il tuo Signore, il tuo Dio, l’unico tuo sostegno e conforto, l’unico tuo grande Amore.

E in Lui credesti quando te lo depositarono, morto, tra le braccia. Un Dio morto?…

Nel supremo dei dolori, solo il mistero di Dio poteva illuminare il mistero della sofferenza che, come trivella, perforava il tuo cuore alla ricerca dell’acqua viva, la grazia, fulgida luce che dissipa le tenebre della morte con il fulgore della resurrezione.

E nell’alba radiosa del primo giorno della settimana, il Risorto, forse, venne a ringraziare te, Donna del sabato santo, per aver tenuta viva la fede dei discepoli, per averli aiutati a credere e a sperare. Forse ti ringraziò con le sublimi parole di Elisabetta: “Beata te che hai creduto”.

A te, Donna che ascolta, crede e si abbandona totalmente al Mistero; a te, Donna il cui latte è diventato il sangue di Dio, nel suo e tuo Figlio, Gesù; a te, Donna che danzi cantando il “Magnificat” e hai il privilegio di sentirti chiamare “Mamma” dal Salvatore del mondo; a te, che pure io invoco come “Madre mia e mia fiducia”, chiedo il dono di credere come Tu hai creduto. La fede dilati gli orizzonti della speranza e si consumi nell’amore, affinché, quando busserò alla porta del paradiso, Tu mi corra incontro gioiosa, rivolgendo pure a me l’entusiastico encomio: “Beato te che hai creduto”».

Valentino