Ponte Nossa, 4 Dicembre 2007

Il nero corvo dai bianchi capelli

Nel villaggio dei gufi tutto procedeva secondo regole immutabili: sveglia al calare del sole; preghiera ecumenica, nel rispetto della fede dei singoli credenti; prima colazione alle diciannove e, quando tutto era buio, si partiva per il lavoro o per la scuola. Rosalba, fin dall’infanzia, aveva seguito e rispettato queste norme. Ma improvvisa e inaspettata era arrivata l’adolescenza. L’amore per la sua famiglia e il rispetto per le leggi del villaggio erano entrati in conflitto con il desiderio di cose nuove e vere che sentiva crescere dentro.

Suo papà era severo, burbero e si appellava sempre alla tradizione. La mamma era dolce, comprensiva e tenera. I fratellini le volevano bene, ma non potevano capire i suoi improvvisi silenzi, il suo cambiamento d’umore, la sua periodica tristezza
La tradizione non permetteva a Rosalba di evitare la scuola, benché tutti sapessero che il maestro, con quei ridicoli occhiali quadrati sui rotondissimi occhi da vecchio gufo, insegnasse cose discutibili e non all’altezza delle esigenze di quel gruppo vivace e curioso di adolescenti.

Quella notte il maestro si stava gloriando nel dettare la sua più grande intuizione: «L’essenza delle cose è il nero. Esiste solo il nero. Le cose si conoscono grazie al buio, al nero, alla notte».

Rosalba osò dubitare di questa affermazione e il maestro la chiamò alla cattedra; le ordinò di stendere bene le zampine e, preso un righello di legno, sferrò un dolorosissimo colpo che fece piangere di dolore la povera gufina.

Tornata a casa, l’adolescente si rigirava sul suo ramo senza prendere sonno. Fu così che vide profilarsi all’orizzonte una tenue lama di luce rosa. S’illuminò di gioia e attese, trepidante, le novità che si prospettavano interessanti. E, quando s’alzò il sole, spiccò un volo nell’ignoto dei colori.

La luce le faceva tanto male, ma le dilatava il cuore. E quando venne la notte, a scuola, parlò con entusiasmo della sua esperienza. Il maestro le disse che era un sogno e i compagni la sbeffeggiavano. Poiché Rosalba insisteva, fu espulsa dalla scuola e suoi amici l’abbandonarono.

Il papà la rimproverò per non essere stata fedele alla tradizione. La mamma si limitò ad asciugare una lacrima, con la sua ala, mentre l’adolescente si avviava verso il deserto, per meditare sulla sua grande esperienza, sulla sua chiamata alla luce.

Spiccato il primo volo, si posò su un albero, a guardare ancora una volta al suo villaggio e scoppiò in pianto. L’udì un nero corvo dai bianchi capelli, si commosse delle sue lacrime, capì la situazione senza che Rosalba fosse costretta a parlare e, poggiata la sua ala sulle spalle dell’adolescente, disse: «Ma tu hai visto la luce! Hai visto i colori! Hai visto il giorno! Certo, la luce fa male. I colori affascinano e turbano. Il giorno ha molte cose da dire alla notte. Ora tu non sei più quella di prima. Non si può vedere la verità senza ‘morire’, senza decidersi di cambiare vita. E perché il cambiamento sia efficace, ritirati con me, in montagna con uccelli di tutte le specie: tutti alla ricerca di un supplemento di luce».

Ubbidì Rosalba e fece l’esperienza più bella della sua vita. I suoi occhi si dilatarono all’inverosimile. Sembravano voler contenere tutto il cielo. Divenne l’alunna preferita dal nero corvo dai capelli bianchi. Egli la rimandò poi nel villaggio dei gufi, supplicandola di non dire nulla.

Ma ora dal suo corpo usciva una grazia che affascinava tutti. Il papà decise di andare oltre alla tradizione e stese l’ala sul capo di Rosalba. La mamma pianse, questa volta di gioia. I fratellini chiesero di dormire tutti e quattro nel lettone, dopo aver invitato i genitori a fare una passeggiata, in attesa dell’alba. Il maestro diede la dimissioni. E tra gli amici, Pietra, Giacomina e Giovanna decisero di incontrare il corvo nero dai bianchi capelli e i suoi amici volatili, quelli che non accettano di essere dei “qua qua ra qua”, ma nel cuor dell’inverno si ritirano sui monti, là dove la luce fa male agli occhi, ma fa bene al cuore.

Valentino